Da La Stampa del 22/04/1978

Gli agenti di polizia dicono “Lo Stato non può trattare.

di Liliana Madeo

Roma - “Io voglio sapere questo: se le BR mi ammazzano, sono loro molto preparate o è lo Stato che non mi ha messo in condizione di fronteggiare adeguatamente l'aggressione?”. L'agente di polizia che parla è giovane, con la barba scura su un volto dai lineamenti delicati. Indossa abiti borghesi. E' appoggiato a una berlina scura, davanti all'ingresso della dc in piazza del Gesù. Dalle macchine vicine agenti addetti ai servizi di scorta dei parlamentari democristiani riuniti. La situazione è tesa. Da quando cinque uomini sono caduti nell'agguato di Via Fani e l'onorevole Moro è stato sequestrato, la tensione è andata crescendo tra le forze dell'ordine. Sono carichi di risentimento gli uomini della Criminalpol e dei servizi antiterroristici, fra i quali di preferenza vengono scelti quelli da destinare alle scorte. Per tutti da allora il lavoro non ha più avuto orario, per fronteggiare l'emergenza. L'ipotesi di una trattativa per salvare la vita del presidente della dc suona alle loro orecchie offensiva. Molti a titolo personale hanno telefonato a sedi di partiti e sindacati per protestare. Anche la notizia che il governo ha varato aumenti per la categoria non modifica i loro umori: “Ogni volta che c'è un morto ci danno un aumento - dice uno -. E' una storia che ormai abbiamo capito anche troppo bene. Non si può monetizzare tutto. E' inutile che tentino di ridurre l'intera questione della nostra sicurezza a un fatto di soldi”. C'è chi aggiunge: “Uno scambio di prigionieri in cambio della vita di Moro sarebbe uno schiaffo morale per chi, come noi, sacrifica la propria vita in difesa delle istituzioni”. Un altro incalza: “Noi abbiamo rispetto per Moro e per il dolore della sua famiglia, ma esiste un pericolo di vita anche per l'agente di scorta che scende in strada, per il maresciallo delle guardie di custodia che passa la sua giornata in carcere. C'è qualcuno disposto a barattare qualcosa per la loro sicurezza?” E ancora: “Con gli assassini non si tratta, d'accordo. Ma che cosa si fa intanto perché la nostra vita venga tutelata? Da ogni regione partono gli uomini che a turno, per 15 giorni, prestano servizio a Torino, da quando s'è iniziato il processo Curcio. Il disagio è grande”. I toni sono duri. Una guardia così articola la sua polemica: “Io non condivido chi dice: 'Né con lo Stato né con le BR'. Io sono per lo Stato, ma per sollecitarlo a tener fede ai suoi principi e responsabilità democratiche. Lo Stato perde la faccia accettando di trattare per la vita di Moro? Non è il male peggiore, rispetto alle inadempienze che lo Stato ha accumulato”. Pur nella varietà delle voci non emergono discorsi qualunquisti. Lo riconoscono i rappresentanti dei lavoratori della p.s. aderenti alla Federazione sindacale unitaria, che oggi hanno tenuto a Roma una riunione dell'esecutivo nazionale. In un documento approvato nel pomeriggio si afferma: “Chiediamo al governo di applicare la necessaria fermezza nei confronti delle BR escludendo qualsiasi mediazione che infici l'essenza e l'integrità dello Stato”. Il generale Vincenzo Felsani, del direttivo, afferma: “Io dico no allo scambio. Tecnicamente non è possibile. Chi si prende la responsabilità di mettere in libertà gente sotto processo per omicidi o altri reati? Chi si prende la responsabilità degli eventuali futuri omicidi, attentati, stragi che costoro possono attuare? E per quale motivo la morte di un agente di custodia non ci dovrebbe spingere a trattare con i brigatisti, per impedire altre 'esecuzioni'?”. Il maresciallo Raffuzzi, già comandante partigiano, ravennate, amico personale di Zaccagnini, aggiunge: “Trent'anni fa, abbiamo speso tutte le nostre energie per fare questa Repubblica e abbiamo subìto dolorosissime perdite. Oggi purtroppo, per difendere questa Repubblica, abbiamo già una carrettata di morti e il numero delle vittime continua a crescere. Non concepiamo che si possa trattare con i criminali, dandogli la possibilità di rafforzarsi sul sangue dei nostri caduti”. L'agente Miani, segretario della sezione pugliese, dice: “Noi denunciano anche gli errori politici per cui le forze dell'ordine vengono lasciate impreparate nell'affrontare attentati organizzati con una tecnica tattico-militare sofisticata. Il nostro movimento da anni denuncia le carenze della preparazione professionale del singolo poliziotto e dell'intera istituzione di polizia, facendo proposte concrete per superare queste inefficienze. Siamo rimasti inascoltati. Nel discorso della salvaguardia dello Stato deve rientrare anche quello della salvaguardia di chi spende la propria vita per tutelare la civile convivenza”.

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