Da L'Unità del 24/04/1978

Responsabilità degli intellettuali.

di Eugenio Garin

Il filosofo prof. Eugenio Garin è intervenuto mercoledì al convegno su “Intellettuali e libertà” organizzato dal Comune di Firenze. Dal suo intervento riproduciamo qui un'ampia parte in cui lucidamente egli delinea il ruolo e le responsabilità della cultura nella lotta per la difesa e l'espansione dei valori fondamentali della democrazia. Chi visse le esperienze della distruzione delle libertà da parte del fascismo emergente soffrendole, talvolta non senza debolezze o errori, ha imparato a proprie spese varie cose: e, innanzitutto, le gravi responsabilità degli uomini di cultura, sia per la pretesa di alcuni di sottrarsi al preciso dovere di partecipare alla lotta, sia per le complicità aperte o equivoche di troppi con l'ideologia dominante. Ma altro ancora si e venuto dimostrando: la inscindibilità di educazione umana e libertà; la vocazione delle classi emergenti alla difesa della libertà proprio perché la loro liberazione è legata alla rottura della situazione, rottura che non può maturare se non nella dinamica delle antitesi e nella forza di nuove idee. Non a caso le squadre fasciste d'azione furono largamente alimentate dai figli di una piccola borghesia inquieta e insoddisfatta, o di gruppi privilegiati tesi a difendere posizioni in pericolo. Non a caso la violenza di rivoluzioni immaginarie, esaurite nell'esaltazione verbale della fantasia, è riuscita solo a bloccare di fatto le ascese reali. Per questo quelli che lavorano sul serio, che hanno imparato a riconoscere la severa logica delle cose, e che il mondo vogliono cambiarlo davvero, e farlo più giusto, sono in tutto alieni dagli infantilismi velleitari e, mentre costruiscono nella strategia dei tempi lunghi la loro forza, rifuggono dalla violenza sopraffattrice e incomposta. Per questo, purtroppo, anche se destinati a vincere alla fine, possono essere sorpresi e sconfitti, dall'attacco improvviso nella guerra lampo. E se è vero, come è vero, che democrazia è - come dice la parola - regime di popoli liberi, è pur vero che essa è terribilmente fragile. E' fragile perché vuole educare nella libertà, e col metodo della libertà, anche i negatori della libertà che rifiutano le regole del giuoco. Mentre “la libertà” - come ci ha insegnato Cattaneo - “è l'esercizio della ragione”, i nemici della democrazia, e della libertà, rifiutano la ragione ed esaltano l'irrazionale nelle sue forme più seducenti e insidiosi. Di qui la necessità di una ragione capace di riconoscere la funzione anche dell'irrazionale, così da combatterlo e superarlo dialetticamente nella sua sempre risorgente presenza; di qui la necessità di una forza capace di vincere la violenza senza farsi violenta: di una libertà, di una ragione, di una cultura. Insomma, sempre armata come Atena.… Gli intellettuali troppo spesso hanno mancato, sia sotto il fascismo che dopo, fino a ieri, fino a oggi. Se infatti l'attuale situazione italiana, con la sua drammaticità, invita tutti a precise prese di posizione, costringe anche a rigorosi esami di coscienza. Coloro a cui spettava per competenza la difesa, e prima ancora la determinazione di quei fini e valori, dove erano e che cosa facevano quando saliva la marea dell'intolleranza - quando, prima del terrorismo armato, imperversava quello delle parole e delle ideologie, quando minoranze rissose e tracotanti soffocavano con generiche condanne ogni sia pur pacato dissenso - e questo nelle aule degli stessi massimi istituti di cultura? E' giusto rivendicare la libertà, combattere la violenza, proclamare l'identità di libertà e cultura, di libertà e ragione, esecrare atti che rievocano oggi le punte estreme della barbarie nazista, con la totale degradazione dell'uomo a animale da macello, da uccidere a freddo per diffondere terrore. Tutto questo è giusto e noi siamo qui anche per manifestare condanna ed esecrazione - ma non solo per questo. Verremmo meno proprio alla funzione che ci e propria, se non ci domandassimo perché. Perché in fondo a ognuna di queste vie dell'orrore - droga, violenza, morte - troviamo tanti giovani e scuole e studenti: e scuole più che fabbriche? Perché angoscia e colpa, e atteggiamenti disumani, troviamo così spesso maturati e alimentati dalla scuola, con tutto il seguito di debolezze, di oscure complicità, che costituiscono una sorta di alone sinistro intorno a troppe scuole? Le cui droghe, diciamolo almeno una volta, non sono solo l'eroina e gli allucinogeni, ma troppi discorsi pseudorivoluzionari, troppi “slogans”, troppi cattivi prodotti della industria culturale, dall'editoria allo spettacolo, che sotto il segno della liberazione in realtà hanno contribuito solo alla degradazione dei più indifesi, perché meno esperti e maturi? Non è qui il luogo di analisi lunghe e amare. Ma se vogliamo che la cultura si unisca al moto onesto e chiaro di tanta parte delle forze del lavoro: “se non vogliamo aggiungere solo uno svolazzo retorico” a quella che è una tragedia, allora dobbiamo davvero avviare un'inversione di marcia nel punto decisivo per un'attività culturale degna di rispetto. La forza di una cultura, infatti, si misura nella formazione delle nuove generazioni: si realizza nelle scuole. La sconfitta dell'antifascismo si rivela a pieno nella mancata riforma della scuola, che a cominciare dal 1945 avrebbe dovuto essere radicale è totale, anche se per necessità scandita nel tempo. Voglio credere che le colpevoli compiacenze, le complicità, le viltà, che hanno travolto tanta parte degli istituti scolastici e di cultura - e v'ha, chi, non soddisfatto, non sa ancora parlare che di distruzione - voglio credere, dico, che quanto di male è stato fatto alla gioventù italiana dalle colpevoli indulgenze di tanti dei cosiddetti intellettuali italiani, sia il frutto di una sorta di complesso di colpa per la precedente lunga indifferenza, spesso coperta dal comodo alibi che il fascismo era stato come la famosa invasione dei re pastori in Egitto: una onda di piena che aveva lasciato indenni scuola e cultura. Purtroppo il dramma che oggi ci travaglia ha radici lontane, profonde e molteplici. La reazione unanime di tanta parte del popolo ci offre tuttavia un'occasione da non perdere. Assolva la cultura qualcuno dei suoi compiti. Abbia il coraggio, oltre che di una diagnosi severa, di un'autocritica impietosa, e di interventi decisivi nei campi che le sono propri. Contribuisca a ristabilire i rapporti, in positivo, come in negativo, con quel passato storico che ci condiziona, e che non si cancella con l'ignoranza e col rifiuto isterico. Richiami energicamente al rispetto di quei valori fondamentali che costituiscono la sostanza di ogni società umana. Smascheri gli equivoci nascosti sotto il continuo appello a una crisi di valori, giustificatrice di ogni trascorso. Senza dubbio le tavole dei valori cambiano, come mutano gli istituti sociali, ma non a capriccio, e, soprattutto, almeno finché dall'uomo non sarà nato un essere tanto diverso dall'uomo, quanto l'uomo dalla scimmia, certi principi fondamentali, certe norme, certe condizioni dell'esistenza e della coesistenza, non muteranno; fra questi il rispetto dell'uomo per l'uomo, e per la vita umana. Io rifiuto la pena di morte, e non perché i tribunali possono sbagliare, o perché non serve: la rifiuto perché non riconosco a nessun uomo il diritto di dare la morte all'uomo. Mi sia concesso concludere con un testo di tanti anni fa - della prolusione del mio rettore del 15 novembre 1945, in memoria degli studenti e dei professori dell'università di Firenze morti per la libertà. Sono parole lontane, ma forse non senza qualche eco presente. “Nelle bande partigiane - disse allora Calamandrei - studenti universitari, e contadini e operai erano affratellati: avevano ritrovato di fronte al pericolo questa sensazione di fratellanza umana, questo rispetto della libertà sentita non come individualismo, ma come altruismo, senza il quale è vano sperare in un domani migliore. Questa stessa ispirazione di fratellanza e di solidarietà deve continuare nella vita civile... Le diversità di opinioni politiche sono essenziali in ogni convivenza democratica, ma alla base ci deve essere questo sentimento di fede nell'uomo, di rispetto della dignità dell'uomo, che è poi una grande ed eterna idea cristiana; e gli studenti... bisogna prima di tutto, che non si appartino dai grandi ideali umani che accomunano… tutti gli uomini di buona volontà”.

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