Da L'Unità del 25/04/1978

Editoriale

Peggio che un assassinio

I terroristi che tengono prigioniero Aldo Moro hanno portato al culmine il loro atroce ricatto. L'ultimo messaggio è la voce di chi, già macchiatosi di tanti delitti, pretende di dettare condizioni sotto la minaccia di commetterne un altro. E tanto più agghiacciante risuona, questa voce, in quanto, nel silenzio trascorso dopo l'ultimatum di sabato, qualche spiraglio era sembrato aprirsi per la speranza. Siamo purtroppo abituati a questa crudele regia che gioca sulla tensione dei sentimenti più umani. Il messaggio parla con una terribile chiarezza. Conferma che il prezzo richiesto dai brigatisti per risparmiare la vita di Moro è tutto politico. Chiedendo la scarcerazione dei principali terroristi detenuti o imputati, si chiede per il loro riconoscimento della condizione di prigionieri politici. Si chiede allo Stato nient'altro che la resa: il riconoscimento, anzi la legitimizzazione, dell'esistenza di un partito armato. Si chiede alle istituzioni democratiche di decretare da se stesse la propria fine. Abbiamo già detto molte volte quali sarebbero le conseguenze di un simile cedimento, e qui non ci ripeteremo. Basta soltanto riflettere al fatto che tra i detenuti di cui si pretende la messa in libertà figura quel Piancone che ha preso parte, dodici giorni fa, all'assassinio dell'agente di custodia Cutugno. Ciò che vogliono i terroristi è semplicemente via libera alla guerra tra bande, quella che si scatenerebbe nel nostro paese se si cedesse al loro ricatto. Il messaggio mette tutti brutalmente di fronte alla realtà. Cadono nel nulla i tentativi di contrapporre un fronte delle “colombe” a non si sa quali “falchi”, e svaniscono le polemiche sulla possibilità o meno di sondare il terreno, di esplorare, di accertare le intenzioni dei brigatisti. Eccole le loro intenzioni. Anche degli appelli umanitari essi si fanno beffe: lo dice l'irrisione e il sarcasmo con cui trattano perfino la nobile lettera di Paolo VI . Il fatto è che le loro intenzioni sono state politiche, fin da principio: scompaginare le basi della vita democratica, lacerare la DC, dividere i partiti, rendere vano l'impegno comune di risanamento e di rinnovamento. Questo è il vero prezzo del ricatto. La democrazia non può pagarlo. E noi dicendo questo abbiamo anche sott'occhio le incredibili parole della lettera a firma Moro che gli aguzzini hanno diffuso nella serata. Parole sconvolgenti perché rivelano fino a che punto costoro siano riusciti a demolire una mente: fino al punto di far apparire il loro prigioniero come nemico del suo partito e dei suoi amici, sostenitore delle tesi più assurde (basti pensare alla richiesta di riconoscere la guerriglia per vedere gli ispiratori), chiuso in un rancore senza fine. Vogliono un duplice assassinio: fisico e morale. Abbiamo esitato a pubblicare questa lettera, ma forse è giusto farlo, perché essa dice meglio di ogni proclama delle Br chi abbiamo di fronte: belve umane, dicemmo, ed è così. Bisogna risalire nei secoli della storia italiana, al Medioevo, per ritrovare tanta ferocia, unita al gusto per rituali da incubo. Non ricordiamo gente capace di infliggere a freddo sofferenze così atroci: e pensiamo ai familiari, agli amici, a Zaccagnini. Anche se non valessero le ragioni della legalità democratica, basterebbe questo per dire no ad ogni contatto, compromesso, trattativa con simili individui, che la società italiana deve soltanto estirpare. In queste ore, forse decisive, non resta che rinsaldare il muro della solidarietà democratica tra tutti gli italiani degni di questo nome. La sola cosa che può ancora fermare la mano degli assassini è il senso di un isolamento totale, di una condanna generale e assoluta. Lo grideremo, oggi, 25 aprile, in tutte le piazze: no al nuovo fascismo.

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