Da ecomancina.com del 24/09/2004

L'omicidio di Ilaria Alpi. Intervista con Giorgio e Luciana Alpi

di Francesco Barilli

Francesco Barilli
L’omicidio di vostra figlia e di Miran Hrovatin di recente è tornato sotto la luce dei riflettori per due diversi motivi: prima il bel film di Ferdinando Vicentini Orgnani, "Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni"; poi, poche settimane fa, la notizia dell’istituzione di una commissione Parlamentare sul caso (votata all’unanimità da tutti i gruppi parlamentari). Come avete vissuto il riaccendersi dell’interesse dell’opinione pubblica dopo il film? E quali speranze riponete nell’operato della nuova commissione?

Luciana Alpi
Per la verità dobbiamo dire che l’opinione pubblica non ci ha mai abbandonato; direi anzi che siamo sempre stati seguiti e supportati moltissimo, sia dall’opinione pubblica che dalle "piccole Istituzioni", se così vogliamo chiamare i Comuni "minori" o quelle piccole realtà che spesso ci chiamano perché vorrebbero che noi partecipassimo a qualche iniziativa in ricordo di Ilaria. Tante volte siamo costretti a rinunciare; questo perché, come puoi capire, per noi parlare di Ilaria è ben più che doloroso. Il nostro non è certo un parlare "asettico", ma è qualcosa che ci stravolge ogni volta… Però abbiamo sempre sentito e sentiamo con piacere l’affetto e l’interesse dell’opinione pubblica. Chi ci aveva abbandonato erano le Istituzioni; non voglio certo generalizzare e puntare il dito indiscriminatamente: a Roma, per esempio, le iniziative in memoria di Ilaria continuano da anni. Parlo, per esempio, del premio "Roma per Roma – Ilaria Alpi", aperto agli alunni delle quinte classi delle scuole elementari, promosso dall’Associazione Stampa Romana in collaborazione con il Comune di Roma. Il premio giornalistico-televisivo "Ilaria Alpi" (promosso da Regione Emilia Romagna, Comune di Riccione, Provincia di Rimini e con la collaborazione di altre Istituzioni) è nato nell’immediatezza dell’evento ed è già arrivato alla nona edizione.Quindi direi che, se proprio dobbiamo parlare di un risveglio, più che dell’opinione pubblica parlerei di un risveglio delle Istituzioni, o di certe Istituzioni. E noi ci auguriamo che analogamente ora sia la Procura di Roma a "svegliarsi", ravvedendosi delle manchevolezze che in questi nove anni hanno contraddistinto l’inchiesta. In un certo senso hai anticipato la mia seconda domanda. Nel senso che abbiamo parlato di una riattivazione del "caso" sul piano mediatico, sfociato nell’apprezzabilissima decisione di istituire la commissione parlamentare. Ma sicuramente voi aspettate una risposta soprattutto dalla Magistratura… Tra l’altro, come ho avuto modo di dire nell’articolo, leggendo il libro di Carazzolo, Chiara e Scalettari ho scoperto che la pista relativa al traffico di rifiuti e armi è stata ampiamente approfondita e sviscerata: mi sembra che da "ipotesi possibile" sia diventata qualcosa di ben più concreto… Sul piano delle azioni giudiziarie ci sono speranze che questi approfondimenti portino a degli sviluppi?

Giorgio Alpi
Per ora no. Basta pensare che c’è uno "stralcio" fermo da ormai 4 anni, dalla fine del processo di primo grado. Ci sono un sacco di cose irrisolte, riconosciute dallo stesso apparato giudiziario. Le prove sull’esistenza dei mandanti oggi ci sono, ma al momento non sono utilizzabili in aula, perché sono informazioni fornite da fonti che la Digos di Udine e il Sisde non vogliono svelare. Questo mi sembra il paradosso a nostro avviso più grave e tremendo: in aula il capo del Sisde ha dichiarato che le fonti (tanto quelle di Udine quanto quelle di Roma) sono attendibilissime, che i loro informatori sono di sicura attendibilità… Ci siamo sentiti gelare quando abbiamo sentito che, in nome dell’art. 203 del Codice di Procedura Penale non possono essere fornite le notizie date dagli informatori perché questo metterebbe a repentaglio la loro sicurezza. Questa è una cosa che dico sempre perché mi sembra importante e paradossale: come saprai, quando i processi finiscono le parti hanno diritto ad avere tutta la documentazione; e così fu, ovviamente, anche per noi. La Digos, durante i dibattimenti, presentò questa lista dei presunti mandanti dell’omicidio. Sono presenti sia somali che italiani. Questi nomi, per i motivi citati in precedenza, non sono stati utilizzati nel dibattimento; il Presidente, pur dichiarandoli inutilizzabili, ha comunque acquisito agli atti questo documento, e questa è stata un’iniziativa apprezzabile. Conseguentemente noi siamo in possesso, oltre che di tutta la restante documentazione, dei nomi dei presunti mandanti dell’omicidio di nostra figlia…Però se li comunicassimo in questa intervista finiremmo in guai giudiziari molto seri. E questo non è solo paradossale, ma soprattutto molto frustrante… Nell’articolo accenno a diversi dubbi circa il coinvolgimento di Hashi nella morte di vostra figlia. O, per meglio dire, accenno al fatto che il modo in cui maturarono le accuse a suo carico mi sembra dubbio. La perplessità più grande consiste nell’arrivo in Italia di Hashi, il quale viene spontaneamente (come detto per testimoniare presunte violenze subite da militari italiani) e si ritrova coinvolto nell’omicidio come uno degli esecutori materiali. Mi sembra incredibile che per partecipare ai lavori della Commissione (nell’ipotesi di ottenere un improbabile risarcimento per quanto subito) Hashi si sia esposto ad un rischio così grande quale l’essere accusato di un duplice omicidio…Non avendo conosciuto personalmente il somalo e non avendo assistito ai vari processi, non posso che chiedere a voi un’opinione su questo cittadino somalo che (se colpevole) avrebbe commesso un’ingenuità al limite del comprensibile.

Luciana Alpi
Direi che c’è di più: anche secondo noi, in base ai documenti che abbiamo raccolto, le prove a carico di Hashi sono molto dubbie, per motivi che tu stesso hai evidenziato nell’articolo. Ma la prima cosa strana è la presenza dell’autista di Ilaria nel primo viaggio di Hashi in Italia. Quell’autista che, giunto in Italia per essere ascoltato dai Magistrati, non solo non riconosce Hashi, ma neppure nessun altro componente del commando… Ma dopo una pausa di due ore individua improvvisamente Hashi. Ma c’è dell’altro: questo giovane si è sempre detto innocente… Questa potrebbe essere chiaramente un’ovvietà, ma dobbiamo unirla ad altre considerazioni. Al termine del processo di primo grado, che si concluse con l’assoluzione, Hashi tornò in Somalia. Successivamente questo ragazzo, pur se sconsigliato dal proprio avvocato, tornò in Italia per presenziare al processo di appello!!! A me non sembra certo l’atteggiamento di una persona colpevole; credo che un colpevole avrebbe saggiamente seguito il consiglio dell’avvocato e se ne sarebbe rimasto in Somalia…

Giorgio Alpi
Aggiungerei che la sentenza di primo grado di assoluzione di Hashi conteneva pure una considerazione del Giudice che parlava espressamente del Somalo come di un capro espiatorio "offerto" a noi per placare il nostro desiderio di giustizia… E, riguardo al ritorno in Italia di Hashi per l’appello, devo dire che noi abbiamo parlato con molti avvocati: non è mai successo che una persona assolta in primo grado torni appositamente (e senza costrizioni) per affrontare il rischio del secondo grado. E’ una cosa totalmente fuori logica. Per cui direi proprio che la colpevolezza di questo ragazzo è davvero molto dubbia.

Francesco Barilli
L’ipotesi che l’omicidio di Ilaria e di Miran sia stato conseguente alle loro ricerche su "traffici sporchi" è stata avanzata quasi da subito. Però solo col tempo si è capito quanto un’attività criminale "classica" come il traffico d’armi si sia saldata con un’attività criminale relativamente "nuova": il trasporto illecito dei rifiuti tossico/nocivi/radioattivi. Interessandomi al caso di vostra figlia mi è venuta l’impressione che questo sia un business ancora più delicato e da occultare di quello delle armi. Immagino che voi, nella ricerca dolorosa della verità sulla morte di Ilaria, vi siate trovati costretti ad affrontare la questione di questi traffici non solo in relazione alla vostra specifica vicenda, ma anche più in generale: che impressione vi siete fatti di questo mondo di traffici "sotterranei"?

Giorgio Alpi
Credo che il traffico di rifiuti tossico/nocivi con i paesi del "terzo mondo" sia un altro segno di decadenza della società. L’idea di trattare paesi in stato di povertà e difficoltà estreme come se fossero la discarica di una società del benessere come la nostra rende questo traffico ancora più odioso. Innanzitutto è bene sottolineare che generalmente ci si trova a trattare con dittatori sanguinari o con regimi di certo non democratici, favorendo uno scambio che più o meno suona così: "Tu mi dai la tua terra, io ti avveleno e in cambio ti dò pure delle armi, con cui potrete andare avanti a massacrarvi tra voi…". Così facendo una nazione civilizzata produce una sorte di doppia morte: la gente di quei paesi morirà per l’inquinamento dovuto allo stoccaggio dei rifiuti tossici (in questo senso esiste una fitta documentazione; non si tratta più solo di voci…) e morirà anche per le guerre, le faide locali che noi con le nostre armi siamo andati ad alimentare. Sì, direi che questo traffico rifiuti/armi possiamo definirlo un traffico di una tragicità nuova, che ci parla di una società ancora più corrotta e cattiva…

Francesco Barilli
Documentandomi sul caso di vostra figlia ho vissuto due momenti di emozione "particolare". Nel documento della Commissione Governativa fra i vari giornalisti menzionati figura pure Raffaele Ciriello. In altri documenti ho trovato la figura di Maria Grazia Cutuli (che su Epoca scrisse già nel 1994, dopo due mesi dall’agguato di Mogadiscio, un pezzo proprio su Ilaria: "E' morta per ciò che sapeva, ma nessuno indaga").Due colleghi di Ilaria, proprio come Ilaria uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro. Ciriello è stato ucciso il 13 marzo 2002 a Ramallah da militari israeliani; la Cutuli ha trovato la morte assieme a tre colleghi in un agguato in Afghanistan, il 19 novembre 2001. Ma la scia di sangue che perseguita i giornalisti più esposti in zona di guerra non accenna ad interrompersi. Sembra che nel mondo di oggi, dominato (nel bene e nel male) dalle esigenze dei media, i giornalisti siano fra le "categorie" meno protette. Voi e (se siete in contatto) i familiari di Ciriello e della Cutuli non sentite, a volte, la responsabilità di essere anche "dei simboli" (scusatemi l’orrenda definizione…) di un giornalismo che non si accontenta del semplice "passaggio di notizie" ma cerca invece di elevare la professione a qualcosa di più nobile?

Luciana Alpi
In molti e in diverse circostanze in effetti hanno parlato di Ilaria come di "una giornalista brava e coraggiosa"… Io penso che, semplicemente, fosse una professionista che faceva il proprio lavoro con passione. Dopotutto quale dovrebbe essere il dovere di un giornalista a cui arriva fra le mani un’inchiesta come quella che capitò ad Ilaria? Seguire la cosa fino in fondo, cercare di portare il fatto all’attenzione pubblica, questo sarebbe il suo dovere… Aggettivi come "coraggiosa" eccetera mi sembrano ridondanti. Credo di parlare anche per Giorgio quando dico che nostra figlia era una persona che amava il suo lavoro, che aveva seguito una preparazione, finalizzata al futuro esercizio della professione, molto seria. Prima l’università, poi tre anni e mezzo al Cairo per apprendere la lingua araba… Insomma, era una donna che amava il proprio lavoro e faceva di tutto per farlo seriamente. E sottolineo "donna": non mi piace quando si riferiscono a lei come ad una ragazza, perché dietro al termine "ragazza" mi sembra ci sia una sorta di mancanza di rispetto. Qualcuno per Ilaria parlò addirittura di "coraggio sventato", una cosa che mi sembrò totalmente inaccettabile; Ilaria prima di morire aveva trovato una pista e l’aveva seguita fino in fondo: questo non è coraggio sventato, ma serietà professionale. Credo che gli stessi colleghi di Ilaria (e questo specialmente nei primi tempi) abbiano sottovalutato la sua morte, addebitandola ad un caso sfortunato e chiedendosi "perché proprio a lei?"… Io credo che gli anni abbiano spiegato perché è successo "proprio a lei"!… E credo abbiano spiegato che non si trattò di un "caso sfortunato"…

Giorgio Alpi
Anche a me preme sottolineare quanto diceva Luciana sulla vocazione di Ilaria al giornalismo: lei aveva scelto e preparato anche la sua ultima missione con meticolosità. A volte molti dimenticano, quando si chiedono i motivi della sua morte, che Ilaria aveva preparato il viaggio a Bosaso già da Roma. Su quel famoso foglio del block notes che ci fu restituito era contenuto un suo appunto: "Dove sono finiti i 1400 miliardi della cooperazione italiana?" ed erano segnati i nomi della città di Bosaso e di Omar Mugne, proprietario della Shifco. Insomma, quel viaggio non era nato per caso, ma si arrivò a persino a dire che Ilaria era andata a Bosaso "perché c’era un bel mare"…

Francesco Barilli
Praticamente, se ho capito bene, Ilaria era tornata in Somalia appositamente (o perlomeno principalmente) per la "pista Bosaso"?

Luciana Alpi
Sì; lo posso testimoniare personalmente. Ilaria mi telefonò due ore prima di essere uccisa. E mi disse che, se la RAI le avesse dato il permesso, era sua intenzione fermarsi ancora qualche giorno; questo un po’ perché voleva riprendere la vita dei somali senza la presenza dell’UNOSOM, un po’ perché voleva andare a Kisimaio, altro porto del sud della Somalia dove con molte probabilità si svolgevano traffici illeciti. E noi di questo abbiamo la prova, perché Ilaria aveva già fatto la richiesta al comando UNOSOM per poter partire il 21 marzo…

Giorgio Alpi
Mi sembra doveroso spendere due parole su Raffaele Ciriello e Maria Grazia Cutuli, che hai nominato. Ciriello è stato il più bel fotografo di Ilaria. Anche le foto che vedi in questa stanza sono state scattate da lui nel marzo 94. E anche per la sua morte, una morte "strana" e tremenda come quella di Ilaria, non c’è giustizia…A proposito della Cutuli, l’articolo che scrisse pochi mesi dopo parlava di "una verità che non ci sarà mai…" Mi sembrò strano sentire una cosa del genere detta da una giovane giornalista che parlava di una sua collega. E pensare questo a distanza di tempo, quando pensiamo alle "verità che non ci saranno mai" anche per Ciriello o la Cutuli ci fa davvero un’enorme impressione…

Francesco Barilli
Ho parlato di un’emozione "particolare". Ora devo parlare anche di un fastidio, per così dire, "particolare": ogni volta che il caso Alpi/Hrovatin torna alla ribalta delle cronache si torna a parlare anche della cosiddetta ipotesi Aloi (sulla quale non mi dilungo, avendola già affrontata nell’articolo). Visto che prima abbiamo parlato di un giornalismo "nobile", mi sembra che al contrario l’insistere su questa ipotesi sia fuorviante, e che attesti la tendenza, da parte di una certa stampa, ad alimentare un sensazionalismo fine a se stesso. E questo, lo ripeto, indipendentemente dal fatto che le denunce circa gli abusi commessi dai nostri militari in Somalia non siano certo da liquidare come invenzioni…Volevo chiedere a voi un’opinione su questa vicenda, ed in particolare sull’utilizzo, a mio avviso improprio, della "ipotesi Aloi" sulla possibile causa della morte di Ilaria. Tra l’altro: voi avete mai sentito direttamente Aloi?

Luciana Alpi
Sì, lo abbiamo conosciuto, è venuto anche a casa nostra. La prima volta ci telefonò tramite la sua compagna per dirci che voleva parlarci. Fummo noi, allora, ad andare da lui, e devo dire che ci andammo con molta circospezione, facendoci accompagnare da un amico. Tutto questo nel 1997, quando scoppiò "il caso" del suo memoriale. In quell’occasione non ci dette il famoso diario, ma ci raccontò di questa sua amicizia con Ilaria… Più tardi venne da noi a Roma, assieme alla sua compagna, e ci consegnò il famoso diario. Noi lo abbiamo letto, e devo dire che alcune cose hanno trovato riscontri. Effettivamente le date in cui si parla di una presenza contemporanea di nostra figlia e di Aloi coincidono… Però devo dire che immaginare Ilaria che esce di sera con la macchina fotografica per riprendere uno stupro mi sembra inverosimile… Ilaria era tutto fuorchè una "cronista d’assalto" o una cacciatrice di facili scoop. E poi devo dire che concordo con quanto tu dici nell’articolo: se Ilaria avesse saputo di uno stupro o l’avesse addirittura fotografato, non si sarebbe certo tenuta il fatto per sé, ma l’avrebbe denunciato a chi di dovere.

Giorgio Alpi
Ricordiamoci che Ilaria aveva saputo di maltrattamenti a somali da parte di militari italiani. E fu lo stesso generale Bruno Loi a confermarci che Ilaria fu durissima con lui, dicendogli che se avesse raccolto prove di maltrattamenti avrebbe diffuso immediatamente la notizia…Tornando ad Aloi, mi sembra comunque un uomo che ha sofferto molto. Noi, dopo i fatti che ti ha raccontato mia moglie, l’abbiamo visto al processo, e l’abbiamo trovato assolutamente irriconoscibile. Occhio spento, confuso… Sembrava come drogato, un automa… Penso che lui non ci abbia neppure riconosciuti. E pensa che appena si seppe che eravamo in possesso del suo memoriale (anzi!, a dire il vero ancora prima, quando ancora non lo avevamo ma si diceva ne fossimo in possesso) abbiamo subito un vero e proprio assedio! Intervenne addirittura la Procura Militare, ed il Procuratore Capo venne a casa nostra e voleva sequestrarlo. Questo solo per dirti l’importanza che, secondo molti, aveva quel memoriale…

Francesco Barilli
In conclusione di questa intervista mi sembra corretto parlare anche di Miran…

Luciana Alpi
Ilaria aveva conosciuto Miran esattamente un mese prima, nel febbraio del 94. Doveva andare a Belgrado e a Zagabria, e lui copriva per la RAI queste zone dell’est europeo, per ovvie ragioni di conoscenza della lingua e del territorio. Ilaria quando tornò a Roma ci parlò con entusiasmo di quell’operatore, gentile, educato e soprattutto molto professionale. Pochi giorni dopo Ilaria si trovò in difficoltà per organizzare la sua ultima missione a Mogadiscio, che lei voleva fortemente: tre diversi operatori furono interpellati, ma rifiutarono l’incarico per diversi problemi (vuoi personali, vuoi per il budget risicato che la RAI aveva stanziato per la missione). Per cui Miran fu chiamato da Ilaria… e dal suo destino, se così vogliamo chiamarlo…

Francesco Barilli
Avete più avuto contatti con i suoi familiari?

Luciana Alpi
No, non ne abbiamo da tempo. La moglie di Hrovatin ha fatto un altro tipo di scelta, rispetto a noi, ed ha preferito il silenzio dei media sulla sua vicenda personale. Scelta opposta alla nostra, ma rispettabilissima, è chiaro… Però noi abbiamo pensato che se anche noi avessimo scelto il silenzio in fondo avremmo tradito proprio nostra figlia. Perché se lei aveva cominciato questa inchiesta era perché voleva scoprire i colpevoli di questo traffico di armi e di rifiuti tossici. E voleva, se non altro, che quel traffico si interrompesse. E noi andiamo avanti in nome suo. Probabilmente non riusciremo a finire il suo lavoro; non faremo in tempo a sapere tutti i nomi delle persone coinvolte in quel traffico. Ma continueremo a provarci…

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