Da La Repubblica del 04/06/2005

Il presidente regionale di Confindustria scrive a Ciampi e chiede l'intervento dell'esercito

Calabria, allarme ‘ndrangheta "Lo Stato non ha più il controllo"

Callipo: "Persino l'Antonveneta chiude a Gioia Tauro"

I boss sono i veri padroni del territorio Molti di noi si sentono più sicuri quando sono protetti dai criminali
Mio figlio mi ha chiesto se dopo la laurea a Milano deve tornare qui. Non gli ho ancora risposto

di Attilio Bolzoni

Articolo presente nelle categorie:
Storia del crimine organizzato in Italia3. 'Ndrangheta
ROMA - E' vero che la sua Calabria oggi è un inferno in terra? «Un sindaco di un piccolo paese delle Serre mi ha appena ricordato che è semplicemente una regione militarizzata». Militarizzata?
«Sì, dai boss della `ndrangheta. Sono loro i padroni del territorio». Cosa pensa di fare adesso, dopo l'appello al Presidente Ciampi? «Se non accadrà nulla, allora mi rivolgerò alle Nazioni Unite e poi anche al Padreterno». Avete proprio tanta paura voi imprenditori? «Abbiamo paura. E c'è tanta sfiducia, c'è la consapevolezza di essere stati quasi abbandonati. E, forse, in molti si sentono più sicuri quando sono protetti dalla `ndrangheta invece che dallo Stato». Cosa sta facendo lo Stato per fronteggiare la `ndrangheta? «Le istituzioni non hanno una reale cognizione del problema criminale, fenomeno che è stato sottovalutato per troppo tempo. E adesso, a Roma, in tanti non si rendono conto di cosa sta veramente succedendo in Calabria».

E' solo Filippo Callipo, imprenditore del tonno e presidente della Confindustria Calabria che ha scritto a Ciampi per denunciare lo strapotere dei clan. E' solo lui e sono soli tutti quegli altri costruttori e commercianti e industriali che ogni giorno versano il «pizzo» o vedono saltare in aria le loro ruspe o i loro stabilimenti, soffocati dal racket, non adeguatamente difesi dalle forze dell'ordine, prigionieri di un «sistema» che li strangola.

E' vero che molti imprenditori se ne sono andati, che hanno lasciato per sempre la Calabria per quella «tassa» imposta dal crimine?
«Chi può, investe altrove. Ma così si uccide il futuro di tutti noi e dei nostri figli. Proprio oggi ho ricevuto una comunicazione nella mia veste di presidente regionale della Confindustria, una lettera che era un annuncio: l'Antonveneta chiuderà dal primo luglio la sua agenzia di Gioia Tauro».

E perché?
«Mi hanno detto che lì hanno ricevuto certe pressioni.. «.

Che tipo di pressioni? Un'estorsione, la richiesta di favorire forse operazioni sporche?
«Non lo so... e poi bisognerebbe chiederlo a loro. Io posso dire soltanto che gli impiegati ogni mattina non vogliono più andare a lavorare in quel posto. E l'agenzia tra meno di un mese chiude per sempre».

Presidente, ci racconti come si è deciso a scrivere a Ciampi.
«Ho bussato a tutte le porte e tutti mi hanno allargato le braccia. Ho incontrato anche il capo della polizia Gianni De Gennaro, in Confindustria a Roma. Ero con altri due imprenditori. Gli ho spiegato la tragedia della Calabria, gli ho detto: `Eccellenza, la situazione è gravissima'. Lui mi ha risposto... ricordo le sue testuali parole... che aveva `un altro spaccato' della realtà calabrese. Insomma dalle relazioni di polizia risulta che la Calabria sia un'altra cosa rispetto quella che viviamo drammaticamente noi imprenditori».

Quale opinione si è fatto di tutto ciò?
«Credo che in quelle relazioni ci si preoccupi più che altro di ordine pubblico, di agitazioni, di scioperi, del clamore di certi crimini. E credo pure che il fenomeno mafioso negli ultimi anni sia stato trascurato, tanto trascurato che ora non sanno più cosa è realmente diventata la Calabria».

E dopo quell'incontro con il capo della polizia, che altro è successo ancora?, a chi si è rivolto per avere un po' di attenzione?
«Con De Gennaro siamo rimasti che ci saremmo rivisti un mese e mezzo dopo. Ma proprio un mese e mezzo dopo nelle 5 prefetture calabresi alcuni funzionari del Ministero degli Interni hanno portato una scheda da consegnare ai rappresentanti di Confindustria, di Confagricoltura e di Confcommercio. Un questionario banale e anche offensivo. Ho paura che siamo proprio all'anno zero in materia di lotta al crimine in Calabria».

Ci parli del questionario...
«Innanzitutto devo precisare che Sua Eccellenza De Gennaro con questa vicenda non c'entra nulla, il questionario è arrivato in Calabria autonomamente attraverso il Dipartimento anti racket del ministero dell'Interno. E' una scheda con una sfilza di domande puerili. Tipo: "a tuo parere, quali sono i motivi che possono indurre a violare le leggi? Oppure: "quali sono i reati che, secondo te, sono più frequenti nella tua città?" E ancora: "a tuo parere, la criminalità condiziona la tua vita?" Ma stiamo scherzando? Qui viviamo in una trincea infuocata e loro distribuiscono quelle schede con quelle domande?».

Presidente Callipo, quando ha subito l'ultimo attentato?
«L'anno scorso a giugno. Hanno fatto fuoco sugli uffici del mio stabilimento a Maierato. Ma c'è chi sta peggio, molto peggio di me. Ad esempio l'imprenditore Vincenzo Restuccia di Vibo Valentia, ne ha avuti più di quindici di attentati. E sei solo nell'ultimo mese. Gli hanno fatto saltare in aria una betoniera. E poi l'incendio. E poi ancora, alle due del pomeriggio, i colpi di pistola contro l'azienda. Alle due del pomeriggio e non alle due di notte, in pieno giorno».

E' forse per questo che invocato l'invio dell'esercito in Calabria? Vuole davvero un'operazione Vespri come fu in Sicilia all'indomani delle stragi del 1992?
«La mia è stata solo una provocazione. Se fanno gli attentati anche di giorno, è evidente che il territorio in Calabria non è sufficientemente controllato dalle forze dell'ordine. E allora mandino tremila poliziotti in più. E allora mandino duemila carabinieri in più. Ma se non ce la fanno a far arrivare più poliziotti e più carabinieri, mandino anche i soldati a presidiare certi obiettivi. Io sono stato a Palermo in quell'estate di 13 anni fa. E un giorno mi hanno fermato lungo una strada proprio due soldati. In quel momento due poliziotti o due carabinieri stavano svolgendo le loro indagini. Capisco che può sembrare eccessivo, ma il territorio non può stare nelle mani della `ndrangheta».

Chi è il sindaco che le ha ricordato la storia della Calabria già militarizzata?
«E' Demasi, il sindaco di Nardodipace, il comune che gli istituti di statistica indicano come il più povero d'Italia. Mi ha telefono proprio qualche ora fa e mi ha detto: "Ma perché vuoi i militari, i militari in Calabria ci sono già, sono quelli cattivi ma ci sono. Più militarizzati di così..."».

Presidente, crede che dopo quest'altro grido d'allarme rivolto al Capo dello Stato qualcuno finalmente la ascolterà?
«Io spero sempre. E poi devo una risposta a mio figlio che mi ha chiesto: papà, dopo l'Università a Milano devo tornare a Vibo Valentia o non tornare più? Quella risposta a mio figlio prima o poi dovrò dargliela. Speriamo che anche a Roma capiscano quanto è grave il caso Calabria. Prima che sia troppo tardi».

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