Da Diario del 10/09/2005

La memoria

L’11 settembre 1973 e le sue conseguenze

di AA.VV.

QUELLO CHE SUCCESSE. Tra le 6 e le 13 di martedì 11 settembre (ora locale) le forze armate cilene abbattono il governo liberamente eletto del Cile. L’azione parte dalla Marina a Valparaiso e si sviluppa nella capitale Santiago con il bombardamento aereo del palazzo presidenziale, la Moneda. Assediato, il presidente socialista Salvador Allende si suicida. Il generale Augusto Pinochet assume il potere. Migliaia di prigionieri vengono concentrati nello Stadio Nazionale. Più di 1.800 oppositori vengono uccisi nei primi giorni, con esecuzioni di massa o dopo torture.

CHE COSA C'ERA PRIMA. Unidad popular, coalizione di sinistra, aveva vinto le elezioni con il 36,6 per cento dei voti nel 1970. Allende, che governava con l’appoggio della Democrazia cristiana, aveva nazionalizzato banche, miniere di rame, espropriato 5 mila latifondi e istituito l’istruzione obbligatoria e gratuita. Una crescente opposizione alla sua politica si era prodotta in manifestazioni di piazza e serrate. Con l’appoggio della Casa Bianca (presidente Nixon, segretario di Stato Kissinger) i militari erano stati invitati a risolvere una situazione che andava contro gli interessi Usa. La maggioranza della Dc cilena appoggiò l’operazione, nel timore di una evoluzione «castrista» della situazione.

UN GOLPE MODERNO. Il colpo di Stato cileno stupisce per la violenza, la spettacolarità e l’alto livello di organizzazione. Nasce una potentissima polizia segreta (la Dina, diretta dal generale Manuel Contreras) che agisce in tutta l’America Latina (l’Operazione Condor), oppositori vengono inseguiti e uccisi in mezzo mondo. Pinochet sarà studiato dai militari argentini che tre anni dopo prenderanno il potere a Buenos Aires, con ancora maggiore violenza, ma con meno esibizione.

GLI EFFETTI IN ITALIA. Furono importantissimi. Molto lodevole fu il comportamento della nostra diplomazia che, in particolare per l’iniziativa dell’ambasciatore Tomaso de Vergottini, salvò migliaia di oppositori che erano riusciti a rifugiarsi nell’ambasciata. Nella sinistra italiana, che considerava Unidad popular un interessante esperimento, le reazioni furono diverse. Il Pci con Enrico Berlinguer sviluppò la teoria del «compromesso storico», ovvero di una stabile unione con la Democrazia cristiana per sottrarla a tentazioni golpiste. L’estrema sinistra vide in quella tragedia la necessità di «armare il proletariato» e di porre solide basi nelle Forze armate. In questo ambiente diventarono eroi popolari due membri del Mir, il giovane medico Bautista Van Schouven e il segretario di quel piccolo partito, Miguel Enriquez, ambedue uccisi. Il giovane Bettino Craxi si recò avventurosamente sulla tomba di Allende a Valparaiso, e riuscì a leggere un suo elogio funebre prima di essere fermato dai carabineros e poi espulso dal Paese. Ma, in generale, il Cile rimase tra noi con centinaia di esuli accolti nelle metropoli, ma anche in piccoli paesi, la fascinazione per Pablo Neruda, l’appoggio militante al Mir (il movimento di estrema sinistra che più pagò nella repressione), l’assistenza da parte della Dc italiana al dirigente della Dc cilena Bernardo Leighton gravemente ferito con la moglie in un attentato a Roma. Divenne molto popolare un gruppo folkloristico, gli Inti Illimani, che si esibì per vent’anni cantando «El pueblo unido jamas sera vencido». Molto contestata fu la decisione (1976) di giocare la finale di Coppa Davis nello stadio di Santiago dove gli oppositori erano stati tenuti prigionieri (a Roma un corteo sfilò scandendo: «Panatta 6-0, Panatta 6-1, Panatta sei un fascista»).
Erano tempi di grande instabilità sociale e di eversione nera. Il New York Times nel 1973 titola un pezzo sull’Italia: «Spaghetti in salsa cilena», intendendo che anche l’Italia, come il Cile, fosse matura per un colpo di Stato. Seguirono anni di terrorismo rosso e di grande attività (sotterranea) della criminalità organizzata. Qualche anno dopo, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro segnò la fine del «compromesso storico». Recenti indagini giudiziarie hanno raccontato il ruolo che l’estrema destra italiana ebbe nel sostenere la polizia segreta di Pinochet. Il famoso bandito milanese Renato Vallanzasca, di simpatie politiche di destra, passò un periodo della sua latitanza a Santiago del Cile, ma ha dichiarato di non aver apprezzato i loro metodi – «portavano via la gente con le macchine» – e quindi di non aver offerto collaborazione ai fascisti cileni.

UN BANCO DI PROVA DEL LIBERISMO. I militari che presero il potere in Cile offrirono a una teoria economica un Paese in cui sperimentare le loro tesi. Arrivarono così in Cile i Chicago boys, accademici sostenitori del monetarismo del premio Nobel Milton Friedman. In un clima dittatoriale che mai contestarono, questi economisti promossero il «libero mercato» senza i lacci e i lacciuoli di un sindacato messo fuorilegge. Per alcuni anni venne vantato il «miracolo economico cileno» (un grande balzo nelle esportazioni, soprattutto di prodotti agricoli) e la soluzione del problema pensionistico, affidato a organizzazioni private. Dopo trent’anni il bilancio è quantomeno dubbio. Una parte della società cilena ha effettivamente migliorato le proprie posizioni (erano quelli che avevano contestato Allende), una larga parte della popolazione ne ha fortemente sofferto. Il «modello pensionistico privato» ha fatto registrare un disastro di fallimenti e truffe. I Chicago boys non hanno finora elaborato una riflessione per quanto riguarda la realizzazione di un libero mercato sotto la protezione dei mitra dei militari.

EFFETTI COLLATERALI. Il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges non ottenne il premio Nobel perché i giurati non gli perdonarono alcune sue dichiarazioni di appoggio alla giunta militare cilena (lo vincerà Gabriel Gárcia Márquez). Hollywood finanzia nel 1982 il film-denuncia Missing di Costa Gavras, in cui un americano tranquillo (Jack Lemmon) scopre le infamie della dittatura e le compromissioni del suo Paese. Scrittori come Luis Sepúlveda (all’epoca di Allende un militante della sinistra) e Antonio Skarmeta (oggi diplomatico) raggiungono un successo internazionale con i loro libri (Il Postino, con Massimo Troisi, esce nel 1995). Ariel Dorfman scrive La morte e la fanciulla, da cui viene tratto un famoso film di Roman Polanski (si parla dei rapporti tra vittima e carnefice). Gárcia Márquez scrive la storia di Miguel Littin, clandestino in Cile. Il nome Allende resta molto popolare e ne beneficia la cilena Isabel Allende, che poi per meriti propri diventa una delle più popolari scrittrici di oggi. Nel 1976, in un clima di piena Guerra fredda, il segretario del Partito comunista cileno Luis Corvalán viene scambiato con il dissidente sovietico Vladimir Bukovskij (il primo, vero stalinista, morirà a Mosca contestando la svolta di Gorbaciov; il secondo diventerà un importante saggista con base a Oxford). Nel 1982 il generale Pinochet si dimostrò un importante alleato militare del governo inglese di Margaret Thatcher durante la guerra delle Falkland contro la giunta militare argentina.

QUANDO TUTTO SEMBRAVA FINITO... Il 16 ottobre 1998, su richiesta del giudice spagnolo Baltasar Garzón, la polizia inglese arresta il generale Pinochet in clinica a Londra per un intervento chirurgico, all’interno di una delle sue usuali visite di business (armi) e relax. L’inaudita iniziativa giudiziaria scuote tutto il mondo.
A quel tempo il generale, ottantaduenne, era senatore a vita e comandante in capo dell’esercito. Aveva perso però il comando formale del Cile con un referendum nel 1988; il governo era da cinque anni nelle mani di Eduardo Frei jr, democristiano, figlio di quel Frei che aveva appoggiato il golpe. Il giudice spagnolo gli contesta crimini che descrive con agghiaccianti dettagli e ne chiede l’estradizione in Spagna perché alcune delle sue vittime erano di cittadinanza spagnola. Il caso politico-giudiziario durerà più di cinquecento giorni (i supremi giudici della Camera dei Lords voteranno in favore della richiesta di Garzón). Alla fine dei quali il governo inglese libererà Pinochet «per motivi di salute». Partito da Londra in apparente stato crepuscolare, su una carrozzella, Pinochet sbarcò a Santiago del Cile e improvvisamente si dimostrò vispo e arzillo. Il quotidano londinese Daily Mirror commentò: «La più grande resurrezione dai tempi di Lazzaro». In Cile il suo ritorno fu accompagnato da violenti scontri tra suoi sostenitori e suoi oppositori, in un Paese governato dal socialista Ricardo Lagos. Una perizia lo dichiarò «demente» e quindi «non processabile». Oggi in Cile, alcuni luoghi simbolo della dittatura, come la «Villa Grimaldi» usata come centro di tortura, sono diventati musei e luoghi di riflessione. Le indagini continuano a scoprire un livello intollerabile di violenza e sadismo, oltreché le alleanze internazionali che la dittatura di Pinochet ebbe, dai suoi inizi alla sua fine. A Washington, numerosi documenti della Cia sono stati «declassificati» e hanno dimostrato l’estrema compromissione che Richard Nixon e Henry Kissinger ebbero con il colpo di Stato a Santiago del Cile.
I trent’anni (1973-2003) del colpo di Stato in Cile saranno ricordati oggi in particolare, per la fatidica data «11 settembre», perché, come per le Torri, si trattava di un martedì, perché in ambedue i casi vennero usati gli aerei.

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