Da Il Resto del Carlino del 01/02/2005

Una vicenda giudiziaria ferma da dieci anni. Il sospetto di Cossiga: la pista araba

2 agosto 1980

La Corte di Cassazione confermò, il 23 novembre 1995, la sentenza della Corte d'Appello di Bologna: ergastolo per Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Cossiga ha 'il dubbio grave' che la bomba del 2 agosto sia stata 'un atto di terrorismo arabo'

di Lorenzo Bianchi

La storia giudiziaria della strage del 2 agosto 1980 è ferma da dieci anni. Il 23 novembre del 1995 la Corte di Cassazione ha messo il sigillo finale all’inchiesta tormentata e a un rosario di verdetti contrastanti durati tre lustri.

I giudici del terzo grado stabilirono che doveva essere confermata la sentenza della Corte di appello di Bologna secondo la quale gli autori dell’eccidio erano stati Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, "stelle" di prima grandezza dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari), banda armata della destra estrema. Aggiunsero che dopo la carneficina, il maestro venerabile della Loggia P 2 Licio Gelli e Francesco Pazienza tramarono assieme a due ufficiali del Sismi, il servizio di controspionaggio militare, per dirottare le indagini verso l’alveo fuorviante dell’estremismo neofascista francese e tedesco. Secondo quel dispositivo, gli ex ufficiali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte fecero trovare sul rapido Taranto – Milano, l’ 11 gennaio del 1981, una valigetta piena di armi e di esplosivo identico a quello usato alla stazione per sviare i sospetti dai veri autori del massacro.

La pubblica accusa aveva sostenuto che la bomba "fu la spallata finale al compromesso storico e all’avanzata della sinistra", un modo truculento per mantenere l’asse politico della Repubblica "su posizioni conservatrici di centro". Fioravanti e Mambro furono condannati all’ergastolo. Gelli e Pazienza a dieci anni, Musumeci a otto, Belmonte a sette e undici mesi per calunnia aggravata. La motivazione di quel verdetto si basava soprattutto, ma non esclusivamente, sulla testimonianza di Massimo Sparti, un malavitoso romano che l’11 di aprile del 1981 aveva riferito di aver visto Giusva Fioravanti e la Mambro due giorni dopo la mattanza di Bologna. Il giovane avrebbe commentato l’accaduto con la frase "hai visto che botto?", avrebbe rivelato che alla stazione si era travestito "da turista tedesco" e avrebbe chiesto con urgenza un documento falso per la sua compagna che, ad ogni buon conto, si era già tinta i capelli. Sparti ha ritrattato e si è rimangiato la ritrattazione.

Un secondo elemento di sospetto è legato al fatto che Luigi Ciavardini, il ragazzo (all’epoca aveva solo 17 anni) che avrebbe depositato la valigetta piena di esplosivo nella sala di aspetto di seconda classe, rinviò il viaggio della fidanzata e di due suoi amici da Roma al Veneto in programma per il primo agosto. Per il giorno fatidico Fioravanti e la Mambro sono riusciti a ricordare un alibi nel settembre del 1995. Solo allora rivelarono al giudice milanese Guido Salvini che il 2 agosto del 1980 erano andati a trovare a Padova "Zio Otto", ossia l’ex ordinovista Carlo Di Giglio, assieme a Gilberto Cavallini. Di Giglio ha confermato. Cavallini ha ricordato la trasferta, ma non l’incontro con l’ex dirigente di Ordine Nuovo. Subito dopo la Cassazione ha confermato le condanne emesse al termine del processo di appello.

Da quel lontano 1995 non si è mosso più nulla. Salvo la condanna a trenta anni di Luigi Ciavardini, pronunciata dalla Corte di Appello di Bologna il 13 dicembre del 2004.Giusva Fioravanti e Francesca Mambro hanno sempre ammesso il loro passato di lotta armata (e i reati relativi), ma rifiutano la macchia orribile del due agosto. Nel frattempo si sono sposati e hanno avuto una figlia. La donna ha usufruito della sospensione della pena quando è diventata mamma. Giusva, Valerio per l’anagrafe, ha ottenuto la libertà condizionale dal giudice di sorveglianza nel 2004. La verità giudiziaria sui burattinai politici, sui cervelli che si servirono della manovalanza legata ai Nar, la scheggia della destra terrorista che uccise il giudice Mario Amato, continua a latitare.

Di recente il senatore a vita Francesco Cossiga, presidente del consiglio in carica nel 1980 e da tempo scettico sui verdetti dei giudici di Bologna, ha rispolverato alcune carte sepolte nel dossier Mitrokhin che lo indurrebbero a resuscitare una "pista" antica. In una lettera a Enzo Fragalà, capogruppo di An nella commissione di inchiesta parlamentare sulle rivelazioni dell’ex spia sovietica, ha manifestato "il dubbio grave" che la bomba del 2 agosto sia stata "un atto del terrorismo arabo''. L’ex capo dello stato allude al patto "stipulato sulla parola tra la resistenza e il terrorismo palestinese e il governo per tenere l’Italia al riparo dagli atti terroristici di quelle organizzazioni".

La traccia da approfondire sarebbe una segnalazione dell’Ucigos al Sisde, il controspionaggio interno, secondo la quale l’Italia era a rischio perché deteneva nelle sue galere un rappresentante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina guidato da George Habbash, un estremista legato al terrorista Carlos. Secondo Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione fra i familiari delle vittime della stazione, è una rivelazione dalle polveri bagnate: "Cose vecchie e già sentite che non stanno insieme l’una con l’altra". Il volto di chi ha preteso 85 vite il 2 agosto del 1980 resta nell’ombra.

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