Da La Repubblica del 02/06/2006
Originale su http://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/spettacoli_e_cultura/guido-ro...

Giuseppe Ferrara: "Eroe e operaio ecco il Guido Rossa del mio film"

di Paolo D'Agostini

ROMA - Il 24 gennaio del 1979, otto mesi e mezzo dall'assassinio di Aldo Moro, un commando delle Brigate Rosse uccide a Genova sotto casa sua (a due passi dalla "base" di via Fracchia dove la polizia avrebbe poi fatto irruzione colpendo a morte il principale responsabile Riccardo Dura) un operaio dell'Italsider, delegato della Cgil, militante del partito comunista. Guido Rossa. E' la prima volta che la formazione terrorista colpisce un operaio, un sindacalista, un comunista. Ai funerali in piazza De Ferrari accorre una folla enorme, dal palco Luciano Lama, accanto a lui Pertini e Berlinguer, dice che se Rossa non si fosse trovato solo, isolato, forse la sua vita sarebbe stata risparmiata, non avrebbe pagato un prezzo così alto per il suo coraggio.

Qual è la "colpa" per cui Guido è stato "punito" dai brigatisti? Secondo le indicazioni centrali del sindacato e del partito, impegnati soprattutto a partire dal sequestro Moro in una guerra radicale al terrorismo rosso, Guido ha denunciato un compagno di lavoro "postino" del materiale propagandistico brigatista in fabbrica. Ma, per i (comprensibili) timori e anche per le divisioni tra gli operai e i sindacalisti della fabbrica, e anche per la superficialità della vigilanza interna, Guido si trova alla fine da solo a sporgere denuncia, e quel che è più grave perfettamente identificabile.

Mai del tutto chiarita la dinamica dell'azione brigatista: a quanto pare si sono scontrati quella mattina di gennaio due orientamenti, uno al semplice ammonimento ("gambizzazione") e l'altro più radicale che evidentemente è prevalso. Col senno di poi sappiamo che il sacrificio di Rossa non è stato del tutto invano, il suo omicidio segna - dopo il culmine "militare" del caso Moro - l'inizio della fine per il brigatismo. Il valore simbolico dell'assassinio di un operaio comunista perpetrato "in nome del comunismo" fa cadere la maschera, e il relativo radicamento o favore o complicità o consenso o non ostilità conquistati dalle Br nelle grandi fabbriche del triangolo industriale cede il posto al vuoto e all'isolamento.

Tutto questo è storia ma è anche materia di due libri, uno ("Colpirne uno educarne cento" di Giancarlo Feliziani) uscito nel 2004 e l'altro, "Guido Rossa, mio padre", scritto con la collaborazione del cronista giudiziario Giovanni Fasanella (autore di altri studi sugli anni di piombo) dalla figlia di Guido Rossa, Sabina, adolescente nel '79 e oggi neoeletta senatrice Ds. Resoconto toccante di un suo viaggio interiore prima che dell'inchiesta che l'ha portata dopo lunghi anni di rifiuto a ripercorrere tutte le tappe della vicenda. Non senza un legame con il secondo libro e la sua genesi e soprattutto con la sua autrice, oggi Guido che sfidò le Brigate Rosse è un film diretto da Giuseppe Ferrara veterano di un cinema che ha ostinatamente esplorato gli angoli oscuri della storia italiana recente - da Dalla Chiesa a Moro, da Falcone a Calvi - e interpretato da Massimo Ghini nel ruolo di Rossa e Anna Galiena in quello di sua moglie Silvia, da Gian Marco Tognazzi nei panni di Dura e Mattia Sbragia in quelli di Mario Moretti, all'epoca numero uno delle Br.

Come ha costruito il suo film, secondo quale lettura?
"L'attualità della lezione che ci ha lasciato Rossa: la difesa della democrazia. Nel momento in cui Berlusconi e la Lega tentano di distruggere la Costituzione ho sentito puzza di Brigate Rosse, che volevano distruggere la democrazia in Italia: se avessero vinto sarebbe stato l'esatto contrario del '68 e delle sue istanze di libertà. E poi l'aver capito con lucidità e coraggio, tanto da rimetterci la vita, che le Brigate Rosse andavano combattute quando nella sinistra qualcuno definiva i brigatisti "compagni che sbagliano"".

Più facile dirlo con il senno di poi che sul momento? Rossa morì anche perché era solo.
"Certo, oggi chi gli darebbe torto? Rossa è stato un precursore. E il tema mi stava così a cuore anche per l'insoddisfazione che ho provato all'uscita di Buongiorno notte di Bellocchio. (Che il 7 giugno andrà in onda su RaiTre, ndr). Malgrado la mia ammirazione, ho pensato che fosse un film 'di regime', adatto al salotto di Vespa. Ho sentito la resistenza del pregiudizio diffuso dei 'compagni che sbagliavano': è stato un movimento che non ha prodotto nulla ma partiva da buone intenzioni. Mi si accappona la pelle. In una trasmissione tv poco tempo fa Luigi Manconi diceva: finalmente la dietrologia è stata buttata alle ortiche. Ma quali ortiche: io non credo affatto che tutto sia chiarito e conosciuto, che 'dietro' non ci sia niente. Tutta la sinistra in piedi per Bellocchio: e via...!".

Lo trova giustificazionista?
"Cinque uomini della scorta trucidati: c'è nel film? Non se ne parla nemmeno. Moro viene torturato per 55 giorni: il Moro del film è quasi coccolato, e tutti a pentirsi, sembra che dicano 'che l'abbiamo rapito a fare'? Non giudico dal punto di vista artistico: è bello, ma anche i film di Leni Riefenstahl lo erano, la bellezza non ha tessera. Ma è reazionario, ingiusto, antistorico, falso, omertoso. Importante da un punto di vista sociologico: è il punto d'arrivo di un'Italia dove va bene tutto, di un'Italia che cinematograficamente ha tradito il Neorealismo per adagiarsi nella commedia all'italiana, un'Italia dove i brigatisti in fondo amavano gli uccellini. Hanno ammazzato senza pietà Moro, e hanno ammazzato Guido Rossa, uno che difendeva gli operai".

Le Brigate si chiamavano Rosse perché pensavano di esserlo, però, si dichiaravano comuniste e dalla parte degli operai.
"L'arcipelago della sinistra è sempre stato variegato. Non credo però che le Br siano figlie del Pci, di quel Pci di allora. Anche se le aveva sottovalutate".

La via d'uscita, secondo lei, dai dubbi e dai dolori di quegli anni?
"Cito Sciascia: se questo paese non scoprirà perché è morto Moro non è salvabile, è perduto. E non verrà mai fuori perché lo hanno lasciato morire. Tutta la verità non la sappiamo e non la sapremo. Salvo una cosa: i brigatisti predicavano la rivoluzione e invece hanno favorito la destra eversiva e antidemocratica. Ancora Sciascia: 'Ssono di una micidiale imbecillità'. Ho fatto il film per spiegarlo. E perché credo che l'omicidio di Rossa sia l'episodio di svolta di questa tragedia: con quel gesto, dopo aver inguaiato l'Italia, i brigatisti si sono scavati la fossa, rovinando le proprie vite di giovani che avrebbero potuto mettere le loro energie al servizio del paese".

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