Da Corriere della Sera del 11/04/2006

L'arresto di Provenzano è l'ultimo di una serie di blitz

I boss di Cosa Nostra finiti in manette

Da Leoluca Bagarella a Giovanni Brusca, da Nitto Santapaola a Totò Riina: i capimafia catturati negli ultimi anni

di AA.VV.

Articolo presente nelle categorie:
Storia del crimine organizzato in Italia1. Mafia
La latitanza ultraquarantennale di Bernardo Provenzano è finita in un casolare non lontano da Corleone, dove i poliziotti hanno trovato una macchina per scrivere e gli ormai leggendari «pizzini» usati per impartire ordini ai suoi luogotenenti. Ma nella guerra tra mafia e Stato, sono molti negli ultimi anni i boss finiti in manette al termine di blitz più o meno spettacolari delle forze dell'ordine.

- Il 24 giugno 1995, fu Leoluca Bagarella, fratello di Antonietta Riina, moglie di Salvatore, a cadere nella trappola tesagli dalla Dia: «Luchino», esponente di primo piano dei corleonesi e fama di killer spietato, era già finito all'Ucciardone nel settembre del '79 dopo l'esecuzione del commissario Boris Giuliano, per tornare latitante tredici anni più tardi nel pieno dello scontro con il clan Aglieri.

- Il boss di quest'ultimo, Pietro, detto «ù signurinu» per la sua eleganza, originario del rione palermitano della Guadagna, studi in seminario e servizio militare come parà della Folgore, fu arrestato il 6 giugno del '97 alla periferia di Bagheria: nel suo covo gli investigatori trovarono una piccola cappella votiva e numerosi testi sacri e filosofici, alimentando l'equivoco di un possibile pentimento. Due anni prima il britannico «The Guardian» lo aveva indicato, provocatoriamente, come l'italiano più conosciuto al mondo.

- La cattura di Giovanni Brusca, detto «ù verru» (il maiale), tristemente noto soprattutto come il «boia di Capaci» - fu lui ad azionare il telecomando che fece esplodere l'autostrada lungo la quale transitavano in auto il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta - data 20 maggio 1996: le forze dell'ordine lo sorpresero a Cannitello, in provincia di Agrigento, in compagnia del fratello Vincenzo. Tra i numerosi omicidi addebitatigli, quello di Giuseppe, il figlio undicenne di Santino Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido dopo una prigionia di due anni per convincere il padre a ritrattare.

- Benedetto «Nitto» Santapaola, «il cacciatore», dopo undici anni di latitanza, fu catturato all'alba del 18 maggio 1993 in una masseria di Mazzarone, nelle campagne tra Catania e Ragusa, al termine dell'operazione denominata in codice «Luna Piena». L'ex venditore ambulante di scarpe e articoli da cucina, già titolare di una concessionaria di auto, finì con l'imporsi come uno dei capi mafia più potenti e sanguinari della Sicilia orientale. La sua ascesa fu senza dubbio agevolata dal patto di ferro stretto con Totò Riina, ma diversi collaboratori di giustizia avrebbero denunciato le commistioni tra lui e il «comitato d'affari» composto da politici, imprenditori e magistrati corrotti che controllava Catania negli anni '80.

- Il 20 febbraio dell'86 a finire nelle mani della polizia era stato Michele Greco, ribattezzato «il papa» per la sua riconosciuta abilità nel mediare le dispute tra le diverse famiglie. Frequentatore dei salotti della Palermo bene, la sua tenuta di Ciaculli, «La Favarella», era aperta a politici, banchieri, professionisti e aristocratici decaduti, ma era anche sede di covi sicuri per i latitanti e di una raffineria di eroina. Mandante, con il fratello Salvatore, dell'omicidio del consigliere istruttore Rocco Chinnici, fu liberato con altri boss dalla Cassazione nel marzo del 1991 per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva: un decreto voluto da Falcone avrebbe poi ripristinato la detenzione per lui e per i suoi colleghi.

- Giuseppe «Pippo» Calò, il «cassiere» di Cosa Nostra, noto come «la salamandra» per la capacità di uscire indenne dalle situazioni più scabrose, finì in manette invece il 30 marzo 1985, in una villa a Poggio San Lorenzo, in provincia di Rieti: nel suo covo fu ritrovato un vero arsenale da guerra. Il capo del mandamento di Porta Nuova, all'inizio degli anni '70 si trasferì a Roma dove, sotto la finta identità di Mario Agliarolo, antiquario, fece numerosi investimenti nel settore edilizio e riciclò, per conto delle cosche, ingenti quantità di denaro stringendo alleanze anche con la banda della Magliana.

- Nell'aprile del 1992, la settimana santa - proprio come oggi a Provenzano - fu fatale a Leonardo Messina, detto «Narduzzo», catturato mentre stava per tendere un agguato mafioso ad un altro uomo d'onore, suo rivale nella corsa alla guida della famiglia di San Cataldo. Era già finito in carcere due volte in precedenza, ma stavolta la paura di ritorsioni nei confronti dei familiari lo spinse a collaborare con la giustizia: dai verbali delle sue dichiarazioni originò uno spettacolare blitz delle forze dell'ordine, la cosiddetta «Operazione Leopardo», che il 17 novembre del 1992 portò all'esecuzione di oltre duecento ordini di cattura in tutta Italia.

- La latitanza di Gaetano Badalamenti, a lungo nascosto in Brasile, finì in Spagna, a Madrid, nell'aprile del'84: da qui fu estradato negli Stati Uniti, dove era emigrato clandestinamente da giovane, prima di iniziare una carriera criminale che l'avrebbe portato, tra l'altro, ad ordinare l'omicidio del militante di estrema sinistra Giuseppe Impastato che, dai microfoni della radio locale »Aut Aut«, ne denunciava i traffici di droga.

- In un ovile, con addosso i biglietti e gli appunti degli »affari« da portare a termine (appalti, racket, favori da concedere) finì nell'aprile 2002 anche la fuga di Antonino Giuffrè, detto »Manuzza« per via della mano destra strappata da una fucilata durante una battuta di caccia: qualche anno addietro gli uomini della Dia erano già arrivati al suo rifugio di Caccamo, ma il boss era riuscito a dileguarsi uscendo dalla porta di servizio.

- Totò Riina, l'altro superboss della mafia, fu arrestato il 15 gennaio 1993 dopo una lunga latitanza. La sua «carriera» fu parallela, soprattutto agli inizi, a quella di Provenzano. Entrambi infatti respirarono l'aria di mafia guidati dall'allora boss Luciano Liggio. Quando quest'ultimo, nel '74, fu arrestato, per i due boss si spalancarono le porte dell'ascesa al vertice. Conquistato a colpi di kalashnikov.

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