Da La Repubblica del 31/07/2005

L´occhio indiscreto del cinema

In precedenza i presidenti Usa erano stati rappresentati come eroi, o impersonati da attori dal volto onesto e rassicurante. Al limite si poteva arrivare alla commedia dai toni blandamente dissacratori

di Maria Pia Fusco

Sono passati quasi trent´anni dall´uscita di "Tutti gli uomini
del presidente", la pellicola sull´inchiesta giornalistica contro Richard Nixon che per la prima volta spezzò un tabù: attaccare il simbolo stesso della democrazia americana. Da allora i leader di Washington sono stati protagonisti
dei copioni di Hollywood sempre più spesso. Fino a diventare, nei lavori di registi
come Michael Moore, materia di documentario
«Dovremo tutti andare a lavorare per vivere», dice in Tutti gli uomini del presidente un redattore del Washington Post quando è sempre più evidente l´alto livello di potere che toccherà l´inchiesta sul Watergate dei colleghi Carl Bernstein (Dustin Hoffman) e Bob Woodward (Robert Redford). Una volta tanto però il potere ha la peggio e, se mai, è il presidente Nixon a doversi cercare un lavoro. Nella realtà come nel film. Che, con il suo successo, restituì la serenità al direttore del Washington Post Katharine Graham, terrorizzata dall´uso nel film del vero titolo del quotidiano (è vero anche il numero che Redford compone, 4561414: era il centralino della Casa Bianca) ma anche un´ondata di rispetto per i professionisti dell´informazione che, almeno sullo schermo, l´avevano perduto da tempo, per colpa di una serie di film e di documentari che denunciavano il silenzio e la viltà della categoria durante il maccartismo e di capolavori degli anni Cinquanta, come Un volto nella folla o L´asso nella manica che avevano lasciato l´idea del giornalista ambizioso, cinico, senza scrupoli. Resisteva in positivo solo la figura del romantico Gregory Peck di Vacanze romane che sacrifica lo scoop all´amore.
Ma l´impatto più significativo di Tutti gli uomini del presidente fu sul cinema stesso, in cui cominciò a frantumarsi un tabù: il Potere si poteva toccare, senza troppe remore né cautele. Un potere, quello della Casa Bianca e dei suoi abitanti, che da sempre avevano sollecitato la curiosità del cinema. È del 1901 il primo documentario sulla residenza presidenziale e, nel 1933, il presidente fu impersonato da Walter Huston in Gabriel over the White House, un presidente che, dopo un incidente, da bonario e liberale diventa autoritario, decisionista, spietato con i cattivi. Era un film di Gregory La Cava, voluto da William Randolph Hearst (Citizen Kane) come stimolo per la politica di Roosevelt e che, guarda caso, è riemerso di recente in dvd per l´assonanza con l´America di Bush.
Negli anni ´40 e ´50, il potere ha i volti rassicuranti e onesti di attori come James Stewart, Mr. Smith va a Washington di Frank Capra, un candidato che con la sua fede incrollabile nella democrazia americana, è il simbolo della filosofia del New Deal o come Spencer Tracy in Lo Stato dell´Unione (ancora di Capra) che quando si accorge di essere strumentalizzato da industriali corrotti rinuncia alla presidenza. Poi è la commedia blandamente dissacratoria ad entrare nella Casa Bianca, con il film Kisses for my president che porta la prima donna al comando nella stanza ovale (in crisi per alcuni guai del marito) – la stessa storia di First man, annunciato per il 2006 con Meryl Streep e Robert De Niro – e The president´s analyst con James Coburn, psicanalista del presidente che si sente in pericolo per i torbidi segreti che viene a sapere e per questo finisce nel mondo hippy. Nello spirito degli anni Sessanta il thriller fantapolitico Sette giorni a maggio di Frankenheimer: il presidente, Fredric March, firma un accordo di disarmo con l´Urss contro il parere del generale Burt Lancaster che trama un colpo di stato, sventato dal fedele colonnello Kirk Douglas: le colombe vincono sui falchi. Ma sulla guerra tra falchi e le colombe il capolavoro resta Il dottor Stranamore di Kubrick.
Dopo lo scossone di Tutti gli uomini del presidente, ci volle tempo prima che il cinema tornasse alla Casa Bianca, era più forte il tema del Vietnam e delle sue conseguenze, c´era l´America mortificata da raccontare. Furono i documentari a cercare di recuperare prestigio per la presidenza con una serie di biografie agiografiche dei presidenti del passato e con curiosità interne, come Backstairs at the White House che affidava il racconto dei personaggi del potere ad anziani assistenti, portieri, domestici e lavoratori dei "piani bassi" che vivevano all´interno da decenni. Solo alla fine degli anni Ottanta gli sceneggiatori riportano Casa Bianca e presidenti sullo schermo, con ricostruzioni di vicende vere o con storie spesso feroci che, pur stemperate nella finzione, usano comunque spunti di realtà riconoscibile.
Per l´influenza sulla realtà, un film in parte vicino a Tutti gli uomini del presidente è JFK – Un caso ancora aperto che, mettendo insieme inchieste ufficiali e giornalistiche, riuscì a raggiungere almeno parzialmente l´obiettivo di far riaprire l´indagine. L´autore è il passionale Oliver Stone che quattro anni dopo, nel 1995, con la stessa tecnica di mischiare finzione, repertorio e documentario, gira Nixon – Gli intrighi del potere, un ritratto del presidente forse più odiato e discusso della storia contemporanea, segnato da un complesso di inferiorità nei confronti dei Kennedy e dalla consapevolezza di non essere amato. Memorabile la battuta che Nixon rivolge a Kennedy: «Guardano te e si vedono come vorrebbero essere, guardano me e si vedono come sono». Malgrado l´impopolarità, o proprio per questa, Nixon continua nel tempo ad ispirare il cinema. È del 1999 Le ragazze della Casa Bianca, con Kirsten Dunst e Teri Garr, una parodia sfacciata del Watergate, in cui le Gole profonde sarebbero due, le due ragazze assunte da Nixon come accompagnatrici dei suoi cani che, scoperti i pessimi comportamenti privati del presidente, ne parlano in giro, anche con quelli del Washington Post. Più interessante The Assassination dell´anno scorso, la storia vera di un venditore di mobili di Baltimora interpretato da Sean Penn, deciso a realizzare il suo sogno americano eliminando Nixon, e che nel 1974 prepara un folle piano per ucciderlo, sventato solo per caso.
Gli anni Novanta abbondano di cinema sul potere. C´è di tutto. Satire impietose e scatenate alla Tim Burton di Mars Attacks!, con gli alieni cattivissimi, eppure più simpatici dei terrestri, che invadono il Congresso e arrivano ad uccidere il Presidente, un esilarante Jack Nicholson dubbioso sui valori della civiltà terrestre, che non prova neanche a reagire. Ci sono perfide commedie come Dave: presidente per un giorno con Kevin Kline che, per la forte somiglianza con il capo della Casa Bianca è assunto come sua controfigura e quando il vero presidente è colto da un ictus durante un amplesso con l´amante, è costretto a partecipare ad incontri ufficiali che non sa come gestire. Ci sono storie eroiche come Air Force One con Harrison Ford che da solo sconfigge un gruppo di terroristi appropriatisi dell´aereo presidenziale o edificanti come Il presidente – Una storia d´amore di Rob Reiner, protagonista Michael Douglas, vedovo con una figlia adolescente, che riafferma la sua dignità e i suoi doveri di primo cittadino d´America ma, innamorato di una sua assistente, proclama anche il diritto alla felicità personale, un film che molti considerarono uno spot elettorale per Clinton. I riferimenti a Clinton e al "Sexgate" sono chiari nella commedia I colori della vittoria di Mike Nichols con John Travolta (che imita persino il modo di parlare di Clinton), candidato democratico, amatissimo da tutti finché non emergono le sue avventure extraconiugali e la sua vita diventa un inferno, con la moglie sorridente in pubblico ma furiosa in casa. La morale è che se un uomo è un grande politico, "chi se ne frega" della sua inaffidabilità nel privato.
Tutt´altro che benevolo il tono di Potere assoluto di e con Clint Eastwood nel ruolo di un onesto scassinatore che durante un colpo assiste non visto all´omicidio di una donna da parte del presidente Usa e che fino alla fine lotta per liberarsi degli intrighi della polizia e dei servizi segreti che accusano lui dell´omicidio. Il film fu preceduto e accompagnato da una serie di dichiarazioni che garantivano la finzione della storia e «nessun riferimento a fatti o personaggi reali». Dalla parte di Clinton sono usciti parecchi documentari sulle sue campagne – il più bello è War Room, che segue gli entusiasmi e le stanchezze della campagna elettorale del 1993, ed è dell´anno scorso The Hunting of the President, una documentazione accurata degli intrighi e dei complotti che per dieci anni tentarono di oscurare la suo figura. Ma il più feroce dei film recenti è senz´altro Sesso e potere di Barry Levinson, uscito fra l´altro nei mesi caldi del "Sexgate" di Clinton: Robert De Niro e Dustin Hoffman preparano un finto documento sull´Albania aggredita pur di dichiarare una guerra e distogliere l´attenzione da piccoli scandali sessuali del presidente.
Subito dopo arriva l´era di Bush jr, il quale, da Fahrenheit 9/11 di Michael Moore in poi è protagonista di una lunga serie di documentari che affermano le verità sulle ragioni e le bugie della guerra in Iraq in contrapposizione alle mistificazioni dei media ufficiali. Per ora il cinema di finzione, frenato dalla cautela e dalla realtà del terrorismo, lo ha risparmiato. Ma non è difficile prevedere che nel tempo Bush jr diventerà protagonista dello schermo almeno quanto Nixon.

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