Quadro storico-politico

07. L' organizzazione Gladio

Documento aggiornato al 17/02/2006
e prime indicazioni circa l'esistenza di una struttura occulta, parallela al Servizio Segreto Militare, all'epoca unico Servizio Segreto italiano, emersero in sede giudiziaria intorno alla metà degli anni settanta (64). Devono però trascorrere altri dieci anni perché da parte di estremisti di destra (in particolare Vincenzo Vinciguerra) giungano alla Magistratura inquirente più precise indicazioni circa l'esistenza di una struttura segreta, consituita in ambito NATO, da civili e da militari a scopo di condizionamento del quadro politico (65). Finalmente, il 2 agosto 1990, accogliendo un ordine del giorno presentato dall'on. Quercini e da altri deputati, il presidente del Consiglio Andreotti si impegnava davanti alla Camera dei deputati ed informare la Commissione Stragi in ordine all'esistenza, alle caratteristiche ed alle finalità di una struttura occulta operante all'interno del servizio segreto militare, poi definita Gladio. A meno di un anno di distanza dalla caduta del muro di Berlino il Governo prendeva atto della irreversibilità dei mutamenti nello scenario internazionale e sceglieva così di disvelare il segreto - custodito dal dopoguerra alla fine della contrapposizione Est-Ovest - intorno ad una organizzazione i cui compiti si ritenevano ormai esauriti e della cui esistenza numerose autorità giudiziarie e alcune Commissioni parlamentari di inchiesta avevano raccolto indicazioni e prove (66). Immediatamente audito dalla Commissione Stragi, il 3 agosto il presidente Andreotti riferì in ordine alla organizzazione Stay behind e, a partire dal successivo mese di ottobre, ebbe inizio l'acquisizione - non sempre agevole, in verità - della documentazione in materia. Alla organizzazione Gladio, operativa per quasi un quarantennio, la Commissione ha dedicato nel corso della X legislatura un'ampia ed approfondita inchiesta, sulla base delle cui risultanze ha già riferito al Parlamento dapprima con una pre-relazione comunicata alle Presidenze il 9 luglio 1991 (con annessi gli atti del dibattito svoltosi sul documento stesso), quindi - e sia pure in maniera dichiaratamente non conclusiva - con la relazione approvata al termine della legislatura e comunicata alle Presidenze il 22 aprile 1992 (67). Nel frattempo, sempre nell'ottobre del 1990, aveva luogo il casuale ritrovamento, in via Monte Nevoso a Milano, di materiale documentale relativo al caso Moro; in alcuni documenti inediti Moro, interrogato dai suoi carcerieri, risponde in ordine a reparti addestrati alla "guerriglia da condurre contro eventuali forze occupanti o controguerriglia da condurre contro forze nemiche impegnate come tali sul nostro territorio" (68). Il memoriale di Via Monte Nevoso conteneva altresì l'opinione dello statista scomparso in merito ai fatti del 1964, il cosiddetto caso SIFAR. Ed ecco che sul volgere del 1990 il Governo assume l'autonoma decisione di rimuovere il segreto di Stato a suo tempo apposto su gran parte degli atti delle inchieste amministrative Lombardi e Beolchini. Si trattava di materiale di indubbio rilievo che illumina a dovere le preoccupazioni e le "doppie fedeltà", di cui si dirà apresso, di parte delle gerarchie militari e della classe di governo dell'epoca.

a ricostruzione operata delle modalità con cui la struttura Gladio venne a costituirsi e quindi a modificarsi nel tempo, nonché le valutazioni e i giudizi espressi dalla Commissione (opportunamente modulati su di una periodizzazione delle varie fasi evolutive della rete clandestina) appaiono tuttora validi nella quasi totalità. E' conclusione questa, cui la Commissione ritiene di poter giungere dopo aver nella presente legislatura proceduto ad un aggiornamento dell'inchiesta, dove peraltro non sono emersi, anche con riferimento alle indagini giudiziarie tuttora in fase di svolgimento, elementi di novità tali da determinare modificazioni, se non marginali, in un giudizio complessivo che appare pertanto meritevole di conferma. Talché sufficiente appare in questa sede un rinvio ai contenuti dei due citati documenti già consegnati al Parlamento, accompagnato dalle considerazioni che seguono tese ad inserire la vicenda Gladio nell'ambito di una ricostruzione generale delle vicende nazionali ed internazionali oggetto della presente relazione.


L'organizzazione Gladio è infatti un tassello importante nella storia occulta del Paese che la Commissione si è accinta a ricostruire; la sua importanza non va però enfatizzata o comunque sopravvalutata, pena un possibile effetto distorsivo nella ricostruzione di accadimenti e responsabilità. Questo pericolo fu già avvertito, all'interno della Commissione, nel corso dell'approfondito dibattito che portò all'approvazione della pre-relazione 9 luglio 1991. In tale sede fu, infatti, sottolineata la necessità di evitare l'errore di individuare in Gladio la chiave interpretativa di tutte le vicende della strategia della tensione e delle stragi in Italia, per non incorrere in un involontario, quanto grave autodepistaggio. Preoccupazioni analoghe - come la Commissione ha potuto constatare in questa legislatura - sono opportunamente ora nutrite anche in sede giudiziaria, dove avvertito è il pericolo di "andare fuori pista" ove si insistesse nel pensare di apprendere da Gladio la storia stragista dell'Italia e quindi sentita la necessità di vincere la tentazione "di appendere a Gladio lo stragismo e gli stragisti" (69). In realtà lo stragismo fu un momento di una storia più complessa; svelarne le cause ed i fini - che coincide con l'investigare sulle ragioni che hanno ostacolato l'individuazione delle relative responsabilità - può essere possibile soltanto se si riesce in maniera completa o quasi completa a ricostruire un mosaico, di cui Gladio costituisce un tassello importante, ma pur sempre un tassello. Esiste, peraltro, un analogo e opposto rischio che va ugualmente evitato; e cioè quello di una considerazione del tassello avulsa dal contesto in cui lo stesso è destinato ad inserirsi; di una considerazione, cioè, di Gladio come una monade isolata, con effetti di volontaria o anche involontaria minimizzazione. L'effetto distorsivo non sarebbe meno grave di quello cui condurrebbe una visione enfatizzata; perché molti degli aspetti di Gladio non sono spiegabili se non in funzione della contemporanea esistenza di altre tessere del mosaico; così come, per converso, molte vicende e numerosi accadimenti, che pur non appartengono alla storia di Gladio, non sono comprensibili se non in funzione di Gladio, nel senso che hanno avuto un determinato svolgimento o hanno assunto una determinata conformazione perché in qualche modo "Gladio c'era".


Va quindi confermata, rafforzandola, una scelta metodologica già compiuta dalla Commissione nell'ampia inchiesta di cui ha fatto oggetto l'organizzazione Gladio nella X legislatura. Ed infatti già nella pre-relazione 9 luglio 1991 si avvertì l'esigenza, per comprendere gli avvenimenti oggetto di inchiesta, di "considerarli inseriti nel contesto della politica di sicurezza italiana nel dopoguerra, caratterizzata da "due referenti esterni privilegiati: la NATO e gli USA in forte interazione tra loro", ma comunque tra loro distinguibili e distinti. Ed infatti è solo tale riferimento esterno a rendere pienamente leggibile la scelta iniziale che caratterizzò negli anni 1951-1956 la nascita di Gladio e cioè da un lato l'iniziale rifiuto di associarsi al Comitato di pianificazione (Clandestine Planning Comittee) clandestina costituito da USA, Inghilterra e Francia, dall'altro l'affidare la costituenda organizzazione ad un sistematico rapporto bilaterale tra il nostro servizio e quello americano; (scelta quest'ultima - d'indubbio rilievo storico-politico - che appare davvero semplicistico attribuire invece soltanto all'ampia disponibilità di mezzi finanziari della CIA e quindi alla sua capacità di venire incontro alle esigenze del Ministero della Difesa, che avrebbe avuto scarsa possibilità di sostenere l'iniziatuva). Come è stato esattamente osservato, è indubbio - ma è anche storicamente e politicamente significativo - che Gladio nasce da un accordo tra due servizi segreti, uno indubbiamente molto importante, quello statunitense, l'altro, quello italiano, molto meno, legati quindi tra loro da un rapporto (se non formalmente, sostanzialmente) non equiordinato. Ma anche di tale rilievo - di tipo esterno, ma che nella sua oggettività appare difficilmente contestabile - non può cogliersi pienamente il senso se non avendo riguardo al complessivo scenario che caratterizzava la situazione interna del Paese intorno alla metà del secolo. Alcuni degli aspetti più significativi di tale situazione sono già stati evidenziati. E' infatti nella specificità di un clima politico internazionale ed interno che non solo la scelta di costituire Gladio, ma le modalità della sua costituzione e lo stesso modulo organizzatorio adottato, assumono significato e divengono pienamente comprensibili. Vuol sottolinearsi cioè come il problema dell'intesa SIFAR-CIA del 1956 non può essere (tanto meno nell'ambito di una inchiesta parlamentare) affrontato e risolto in termini esclusivamente giuridico-formali, e cioè investigando soltanto da un lato sulla discutibile capacità del nostro servizio militare di porsi come soggetto di diritto internazionale abilitato alla conclusione e sottoscrizione di accordi, dall'altro sulla altrettanto discutibile possibilità di individuare in tale accordo del '56 un momento di attuazione ed esecuzione del trattato NATO del 1949 già approvato con legge, al fine di giustificare la mancata sottoposizione dell'accordo del 1956 all'approvazione del Parlamento in applicazione dell'art. 80 Cost. In contrario appare evidente come, in sede di ricostruzione storico-politica l'accordo SIFAR-CIA del 1956 non può essere valutato come avulso dal contesto degli obiettivi strategici perseguiti dalla politica estera degli USA (negli anni che immediatamente seguivano alla conclusione del secondo conflitto mondiale) e del ruolo che nel perseguimento di tali obiettivi alla CIA veniva assegnato nel medesimo periodo: gli uni e l'altro (obiettivi e ruolo) ormai quasi pienamente ricostruibili sul piano delle certezze documentali, cui si è già fatto ampio riferimento nel capitolo precedente. La correttezza di un simile approccio metodologico non appare revocabile in dubbio, sol che si rifletta come lo stesso derivi da elementari canoni ermeneutici che rendono dovuta l'interpretazione di ogni accordo nel contesto delle vicende che portano alla sua conclusione e lo accompagnano nella sua esecuzione concreta. Perché è tra l'altro solo su basi di correttezza metodologica che può, senza alcuna enfasi, ma per docuta obiettività, attribuire rilievo alla circostanza che l'accordo del 1956 appare anche formalmente strutturato come una revisione di accordi precedenti, che pur non conosciuti nella loro oggettività documentale possono nel loro contenuto essere, sia pure per grandi linee, evinti dal generale contesto. Né vi è dubbio che ciò vale anche per vicende interne che hanno preceduto la costituzione di Gladio, ma dalle quali non può prescindersi, se il senso complessivo dell'operazione costitutiva vuol cogliersi, a tanta distanza d'anni, con chiarezza e con serena obiettività.


Vi è già ampiamente riferito, ad esempio, in ordine alla vicenda della Osoppo e cioè di una divisione partigiana che, dopo il '45, viene ricostituita per essere utilizzata clandestinamente e segretamente dallo Stato Maggiore dell'Esercito nelle regioni nordorientali; una vicenda che può a buon titolo considerarsi emblematica nella sua irriducibilità ad un parametro di legittimità formale: un reparto partigiano clandestinamente organizzato dall'Esercito, nei cui ranghi pure non è ufficialmente inserito; e che poi viene trasformato - in un momento in cui il quadro democratico uscito dal dopoguerra andava consolidandosi - addiruttura in una organizzazione clandestina posta direttamente sotto il controllo del Servizio segreto militare. Una situazione che dura fino al 1956 quando l'organizzazione viene sciolta perché Gladio è stata costituita, tanto è vero che la prima confluisce nella seconda sia pure all'interno di una vicenda che per molti profili è destinata a restare in qualche modo confusa e indeterminata, ma che nella sua essenza non può essere negata. E si è già visto che la Osoppo non fu fenomeno isolato, perché altre organizzazioni del medesimo tipo devono essere esistite se di alcune è stato possibile alla Commissione rinvenire inequivoche ancorché labili tracce documentali.


2.3 Appare quindi evidente come il contrasto tra le valutazioni cui la Commissione è giunta nel 1992 sulla complessiva illegittimità della struttura e le opposte valutazioni formulate in altre sedi istituzionali (in particolare nel parere 7 gennaio '91 reso al Presidente del Consiglio dei Ministri dall'Avvocato Generale dello Stato e nella relazione 4/3/92 del Comitato Parlamentare per i Servizi di informazione e Sicurezza e per il Segreto di Stato (70)) derivi naturalmente dalla diversità dei metodi di approccio al problema che sono stati adottati. Sicché è la convinzione sulla correttezza del metodo seguito che spinge ora la Commissione e ribadire l'esattezza delle conclusioni cui è giunta, nel meditato convincimento, tra l'altro, che un metodo diverso apparirebbe del tutto incongruo al perseguimento del fine istituzionale specifico di cui la Commissione è investita: far chiarezza, nei limiti in cui ciò oggi è divenuto possibile, sulla co mplessiva storia occulta del Paese in cui si determinò nel periodo 69-84 la conflagrazione dello stragismo e del terrorismo. Non vi è dubbio infatti che soprattutto il parere reso dall'Avvocato Generale dello Stato si limiti esclusivamente ad un'indagine di natura giuridico-formale sulla documentazione che gli era stata fornita (sulla cui incompletezza e quindi parziale inattendibilità in seguito si dirà) sulla costituzione e sullo sviluppo di Gladio; senza alcun riferimento al contesto internazionale ed interno in cui Gladio nacque e fu operativa per oltre un quarantennio. Sostanzialmente non diversa è la scelta metodologica che ispira la relazione del Comitato per i Servizi, dove peraltro, come va opportunamente sottolineato, alla generale valutazione di legittimità della struttura un profilo resta comunque sostanzialmente estraneo: e cioè la circostanza che almeno a valle dell'approvazione della legge numero 801 del '77 l'assoluta segretezza di cui ha continuato ad essere circondata la struttura appare in nessun modo riconducibile ad un parametro di legittimità formale. Anche in tale sede è stato infatti adeguatamente sottolineato (così riducendosi l'ampiezza e l'intensità del contrasto con le opposte conclusioni cui è giunta la Commissione): - da un lato che il Comitato stesso appariva sede indubbiamente idonea a ricevere informazioni governative (che invece sono state del tutto omesse) non solo sull'esistenza degli accordi riservati che avevano portato alla costituzione e alle successive modificazioni della struttura, ma anche sulle linee essenziali dei loro contenuti; - dall'altro l'esigenza di una più puntuale riconduzione della complessiva attività dei Servizi al potere di indirizzo e di vigilanza della autorità politica direttamente sopraordinata. Analogamente non appare metodicamente corretto nella ricostruzione dei compiti che furono affidati alla struttura (indubbiamente importante ai fini della formulazione di un ragionato giudizio sulla sua legittimita-illegittimità) "svalorizzare" indicazioni pur oggettivamente presenti nella documentazione acquisita (peraltro incompleta, come si è già accennato, e come meglio in seguito si chiarirà), sottolineandone l'eterogeneità rispetto al complesso delle altre indicazioni documentali. E ciò ancora una volta nell'ambito di una considerazione "isolata" di Gladio e cioè avulsa dal contesto di contemporanee vicende internazionali ed interne, che appaiono oggi suscettibili di una ricostruzione abbastanza completa ed ancorata a solide basi documentali. Specifico è il riferimento alla possibilità di una utilizzazione di Gladio anche in ipotesi di "sovvertimenti interni" contro i quali l'operazione sarebbe anche diretta, in dicazione che inequivocamente emerge dal noto documento 1/6/59 indirizzato dal vertice del SIFAR alla Superiore Autorità Militare Italiana (71). E' un dato oggettivo che non appare corretto svalorizzare sulla base di argomentazioni esclusivamente giuridico-formali centrate sulla inidoneità formale del documento ad incidere sugli oggetti e scopi dell'operazione quelli definiti nei documenti del 1951 e nell'accordo del '56 tra SIFAR e CIA. In realtà il riferimento a una operatività di Gladio anche nell'ipotesi di sovvertimento interno viene con sufficente precisione ad incastrarsi nel disegno strategico occidentale, cui nel precedente capitolo si è fatto ampio e documentato riferimento. Ad incastrarsi, cioè, come "tessera propria" in un mosaico di cui è oggi possibile un'agevole lettura e nel quale la vicenda Gladio va inserita per ricostruirne finalità e obiettivi, per esprimere in ordine alla stessa un sereno giudizio. Ed infatti non può sfuggire, in una prospettiva più ampia, la necessità, soprattutto in un'inchiesta parlamentare, di obbedire ad un criterio di "effettività istituzionale", dove ciò che conta è non solo il modello formale di Gladio ma anche il suo concreto atteggiarsi nella fase operativa. Perchè ciò che assume evidentemente importanza è non soltanto ciò che Gladio avrebbe dovuto essere, ma anche ciò che Gladio in concreto è stata. E se è vero che non esistono documentali certezze (salvo per ciò che attiene ai compiti informativi di cui in seguito si dirà), di una utilizzazione di Gladio ai fini interni (e cioè a prescindere dall'evenienza di un'occupazione militare del territorio nazionale, che in concreto non si è verificata), è anche vero che la larga incompletezza della documentazione rinvenuta e la certezza che consistente parte della documentazione è stata dist rutta nel momento in cui la rete clandestina stava per divenire, per decisione della autorità politica, conoscibile e conosciuta, esclude la fondatezza sul punto di conclusioni se non assolutorie, almeno fortemente tranquillizzanti (72). Vuol dirsi cioè che la certezza che Gladio non sia stata utilizzata a fini interni, malgrado le indicazioni documentali di tale sua possibile utilizzazione e la coerenza di tali indicazioni con il quadro più ampio in cui Gladio veniva ad inserirsi, potrebbe raggiungersi soltanto se della concreta attività di Gladio fosse stata offerta documentazione probante e completa. Così invece non è, e ciò lascia adito a dubbi di una qualche consistenza, valorizzati dal fatto che molti dei responsabili delle strutture hanno ritenuto di poter affermare la correttezza della propria attività direttiva, ma non hanno affatto escluso, ed in qualche caso hanno addirittura pesantemente adombrato, possibilità di un diverso impiego operativo di Gladio in periodi anteriori e/o successivi (in alcuni casi con forti accenti di reciproca polemica (73)). Vuol dirsi cioè che dubbi su tali, pur decisivi profili, vengono dall'interno stesso della struttura e non possono non essere dalla Commissione che registri, almeno come tali. E ciò senza indulgere, come pure è stato già avvertito, alla tentazione di voler utilizzare il persistente difetto di piena conoscenza sull'attività della struttura per ricondurre forzatamente alla storia di Gladio vicende che, allo stato delle acquisizioni, ddevono considerarsi alla stessa estranee, anche se alla rete clandestina comunque in qualche modo contigue e dall'esistenza di questa in qualche modo influenzate. Valga a mero titolo di esempio il collegamento, pur ipotizzato, tra Gladio e le vicende del 1964 che sinteticamente possiamo definire come Piano Solo. E' evidente, come meglio in seguito sarà chiarito, che il Piano Solo non è riconducibile a Gladio, anche se l'esistenza della sruttura clandestina era dal piano indubbiamente presupposta nel senso che il primo della seconda prevedeva una precisa utilizzazione.


3.0 Ritiene inoltre la Commissione che l'opzione metodologica operata può valere almeno in parte a superare alcune delle perplessità cui ha dato luogo una considerazione "isolata" della organizzazione Gladio, per effetto di incongruenze che in tale logica possono apparire insuperabili. E ciò con particolare riferimento ai due profili (peraltro indubbiamente connessi) della determinazione dei limiti dimensionali della struttura e della individuazione dei compiti precisi che alla struttura stessa possono ritenersi in concreto affidati.


3.1 Sul primo profilo è notissimo che tanto al Parlamento quanto all'Autorità Giudiziaria sia stata fornita dal Governo l'indicazione di seicentoventidue nominativi "esterni", che nel tempo sarebbero stati chiamati a far parte della rete clandestina. Tale numero è apparso assolutamente incongruo sia rispetto ad una struttura che risultava comprendere ben duecentottanta addestratori militari, sia avuto riguardo alla quantità degli armamenti di cui la struttura aveva disponibilità, dapprima nelle forme occultate dei NASCO, poi in forme diverse. La perplessità appare indubbiamente fondata sol che si pensi che il numero degli arruolati riguarderebbe l'intero periodo di attività della struttura; il che darebbe nei singoli periodi considerati un numero di aruuolati davvero minimale e quasi risibile. Al contempo perplessità ha suscitato la conservazione di documentazione relativa ad un numero molto superiore di soggetti (circa milletrecento) che sarebbero stati contattati, ma poi non arruolati, prevalentemente per una valutazione negativa. A ciò si aggiunga quanto successivamente emerso in sede giudiziaria: e cioè che l'indicazione delle seicentoventidue persone non ha costituito l'esternazione di un elenco preesistente, bensì il risultato cui si è giunti, in una situazione di apparente confusione, per approssimazioni successive mediante la compilazione di più liste, comprendenti dapprima il numero di settecentoventi, poi quello di seicentoquaranta, liste peraltro non corrispondenti tra loro, in quanto persone inserite in una lista non erano presenti nelle altre e in alcune delle liste erano presenti nominativi che alla stregua della documentazione acquisita sono risultati invece oggetto di valutazione negativa (74). Una situazione quindi estremamente confusa che appare scarsamente compatibile con quanto affermato da uno dei responsabili della struttura e cioè con l'affermazione che degli arruolati sarebbe esistito un "elenco completo... gelosamente custodito in un'apposita cassaforte a combinazione" (75). In realtà un ipotetico elenco originale non è stato fornito dal Servizio né all'autorità politica né all'autorità giudiziaria, né da quest'ultima è stato rinvenuto nelle acquisizioni documentali operate. Con la dovuta conseguenza di dover ritenere tale elenco mai esistito o addirittura volutamente distrutto. E ciò a riprova di una situazione assai meno lineare di quella descritta e che situa all'interno di una complessiva inattendibilità del materiale fornito, anche perché vi è certezza che tra la fine di luglio e gli inizi di agosto del 1990 una quantità consistente di documentazione, pur custodita sin dagli anni '50, è stata soppressa. Può cioè ritenersi assodato che la volontà politica di non opporre il segreto di Stato sulla esistenza e sulla natura della struttura clandestina è stata vanificata da decisioni di componenti del servizio (allo stato non ancora precisamente identificati) attraverso la distruzione o manipolazione del materiale che avrebbe dovuto essere fornito. Ciò è stato confermato alla Commissione, con valutazione unanime, da parte di tutti i magistrati inquirenti che, in epoche diverse e appartenenti a diversi uffici giudiziari si sono occupati della vicenda. In sede giudiziaria è stata altresì espletata una consulenza certamente esaustiva che dà conto della complessiva inattendibilità del materiale documentale acquisito (76). E' questo un dato che indubbiamente merita di essere sottolineato nella sua indubbia valenza, non già per riempire il vuoto di conoscenza determinato dalla incompletezza e inattendibilità della documentazione con ipotesi azzardate, ma per escludere la fondatezza di valutazioni minimizzanti fondate esclusivamente sulle risultanze documentali in sè considerate, senza farsi carico neppure della circostanza che tale incompletezza è il frutto di una deliberata volontà di soppressione. Su tali basi in ordine al problema relativo alla consistenza della struttura sembrano alla Commissione formulabili in alternativa due diverse ipotesi ricostruttive. Esse hanno peraltro una base comune: la pluralità degli obiettivi che la struttura era in grado di perseguire e in funzione della quale fu sostanzialmente costituita e strutturata, con notevoli modificazioni nel tempo che indubbiamente sarebbe errato ritenere ininfluenti sulla sua consistenza e qualità. Vi era innanzitutto il fine principale di un'organizzazione destinata ad entrare in azione soltanto in caso di conflitto e di occupazione nemica di parte del territorio nazionale per compiere attività di sabotaggio, propaganda, resistenza e guerriglia. Ma la struttura, per quanto si è già detto e per quanto meglio in seguito si dirà, fu pensata anche in funzione di altri compiti, alcuni - quelli informativi - sicuramente svolti (sia pure con intensità non esattamente accertabile) altri sul cui effettivo svolgimento non esistono riscontri documentali. Sul punto peraltro non può trascurarsi che la vicenda di Gladio appare alla Commissione soprattutto la storia di una potenzialità operativa che nel complesso si è, nel quarantennio di esistenza della struttura, assai poco attuaizzata; il che può valere a ridimensionare, ma non a minimizzare l'importanza del fenomeno, per l'indubbia influenza che tale potenzialità operativa ha potuto avere su m olte contigue vicende che in qualche modo l'hanno presupposta. La pluralità di compiti potenziali attribuiti alla struttura ne giustificherebbe - anche a livello di arruolati - un modulo organizzatorio per "cerchi concentrici" o addirittura per "ambiti distinti", ciascuno attivabile in ragione dell'obiettivo specifico che di volta in volta si sarebbe potuto voler perseguire. In tale prospettiva l'elenco dei seicentoventidue sembra prevalentemete composto (con le precisazioni di cui in seguito si dirà sui differenti criteri di selezione che appaiono oggettivamente seguiti nel tempo) da persone che furono arruolate in vista dello scopo principale (o comunque più ostensibile) per il quale lastruttura fu creata e cioè l'obiettivo dello "stare indietro" nell'ipotesi di conflitto e di occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Il che pienamente giustifica, sul piano soggettivo, la valutazione positiva della scelta operata dai "gladiatori", perché si trattava di un fine - è opportuno s ottolinearlo - non solo legittimo, ma ispirato ad importanti valori. E' certo però (ancora una volta documentalmente) che ben altra era la personalità di molti dei soggetti che furono contattati e che pur non furono inclusi nella struttura operativa composta dai seicentoventidue. Ritenerli del tutto estranei a Gladio è conclusione che solo in parte la Commissione ritiene di poter condividere, perché non giustificherebbe, tra l'altro, la circostanza che la documentazione relativa agli stessi sia stata conservata così a lungo e in stretta commistione con la documentazione relativa agli arruolati, il che appare al di fuori di ogni regola archivistica e sembra dare l'impressione che l'insieme dei nominativi costituisca in realtà, per taluni aspetti, un unicum. La Commissione sembrerebbe quindi individuare una più ampia o addirittura diversa struttura operativa che sarebbe potuta tornare utile, ove la organizzazione fosse stata attivata in ipotesi diversa da quella dell'occupazione bellica del territorio nazionale (ipotesi quest'ultima che con il pasare del tempo non può non riconoscersi a differenza di altre essere divenuta sempre più intensamente improbabile). Un'altra ipotesi ricostruttiva in ordine alla consistenza della struttura è peraltro possibile, quale esito naturale della scelta metodologica operata. La stessa muove dalla considerazione che Gladio nel quarantennio della sua esistenza non sia stata l'unica struttura clandestina operante nel Paese. E' anche questa una verità storica che appare innegabile alla stregua di documentali certezze. Per ciò che riguarda almeno gli anni cinquanta le certezze documentali sono quelle già evidenziate nel precedente capitolo con riferimento ad una pluralità di organizzazioni private che sorsero in Italia in funzione anticomunista e che operarono in maniera intensamente interattiva con apparati istituzionali. Alle stesse si aggiungano, sempre sulla base di certezza documentali, le strutture paramilitari che precedettero Gladio e di cui Gladio certamente ereditò uomini, finalità ed i parte armamenti. A tutto ciò si aggiunga infine l'emersione recente in sede di indagini giudziarie di ulteriori strutture più ampie, quali i Nuclei per la difesa dello Stato, di cui in seguito più ampiamente si dirà. Su tali basi diviene assolutamente logico ipotizzare che l'organizzazione Gladio abbia durante il quarantennio della sua esistenza costantemente presupposto una capacità di mobilitazione più ampia, attingente al parallelismo di altre struttu re appena disciolte e o addirittura coesistenti. Senza peraltro trascurare una ben possibile compresenza, nella effettività del modulo organizzatorio della struttura, delle due ipotesi innanzi considerate. E cioè sia quella della organizzazione di Gladio per cerchi concentrici o per ambiti distinti sia quella della capacità di Gladio di attivare una mobilitazione più ampia attingendo al parallelismo di altre strutture.


3.2 Le considerazioni che precedono valgono altresì a sciogliere almeno in parte alcuni dei nodi che ancora sussistono in ordine ai compiti che furono affidati alla struttura e che furono da questa concretamente svolti. I due profili (compiti attribuiti/compiti svolti) non possono ritenersi pienamente coincidenti alla stregua della già operata ricostruzione della vicenda Gladio come la storia di una sostanziale potenzialità operativa. Ciò é innegabile innanzitutto con riferimento al compito principale e più ostensibile per cui la struttura fu costituita: e cioé l'attività prevista per l'ipotesi mai verificata di occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Quanto ai compiti di contrasto di possibili sovvertimenti interni o più specificamente di contrasto a forze politiche legalmente riconosciute, si sono già esposte le ragioni che inducono la Commissione a ritenere che tali compiti rientrassero tra quelli verosimilmente attribuiti alla struttura. Anche in sede giudiziaria, e a valle delle valutazioni operate dalla Commissione nella X legislatura, si é riconosciuto, come meglio in seguito si dirà, che di una "originaria finalizzazione della struttura al contrasto di forze politiche legalmente riconosciute ... vi sono ampie tracce nella documentazione relativa alla costituzione della struttura e in genere agli accordi dei servizi italiani con le autorità statunitensi negli anni '40 e '50 (77). Sul punto quindi le conclusioni assunte dalla Commissione già nel '91-'92 e che vengono ritenute meritevoli di conferma hanno quindi ricevuto un autorevole avello in diverso ambito istituzionale. Tuttavia va riconosciuto che non esistono solide basi documentali (se non labilissime) che inducano a ritenere che per tali compiti la struttura sia stata effettivamente attivata. Peraltro la incompletezza della documentazione e la volontarietà con cui tale incompletezza é stata determinata escludono altresì la possibilità di pervenire sul punto ad un finale accertamento negativo. Per ciò che concerne invece le funzioni informative la Commissione ha già manifestato nella X legislatura il suo convincimento che trattasi di compiti assegnati alla struttura e da questa effettivamente espletati. La fondatezza di tale conclusione é stata fortemente contrastata con argomentazioni tese a contestare la significatività delle basi documentali che tale conclusione sorreggevano. Si è osservato in merito che l'attività di informazione avrebbe fatto parte di compiti propri della struttura ove fosse stata attivata nel verificarsi dell'eventualità di una occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Sicchè i documenti su cui la Commissione ha fondato l'accertamento del concreto svolgimento di compiti informativi, atterrebbero invece a mere esercitazioni con finalità addestrative di un personale che sarebbe divenuto operativo solo al verificarsi delle previste condizooni di impiego. La distinzione appare capziosa nell'evidente impossibilità di escludere che i risultati dell'addestramento (riferibili sin troppo ovviamente a situazioni geopolitiche concrete dei momenti e dei luoghi in cui l'attività addestrativa ebbe svolgimento) apparivano com unque utilizzabili da parte del Servizio che aveva la direzione della struttura (78). A ciò si aggiunga che è comunque certa la mobilitazione della struttura a fini informativi almeno in tre occasioni: e cioè nel corso delle indagini relative al sequestro Moro e al sequestro Dozier per ammissione di uno dei responsabili della struttura (79), nonché nel 1990 per una decisione assunta (e documentalmente provata) con riferimento ad attività informative da utilizzarsi nel contrasto alla criminalità organizzata e al narcotraffico in esecuzione di una direttiva autonomamente emanata dal direttore del servizio (80). Oltre a ciò vi è la vicenda del centro "Scorpione", istituito a Trapani nella seconda metà degli anni '80, che desta notevoli perplessità sia per l'ubicazione di questa struttura periferica, sia per la mancanza di chiarezza per quanto attiene ai compiti dalla stessa effettivamente svolti. Peraltro vi sono indici ulteriori che consentono di porre su base più ampia una conferma delle conclusioni su cui sul punto la Commissione è giunta e che attengono alle "qualità personali" del personale arruolato nell'ultimo periodo di operatività della struttura. Alla analisi della Commissione infatti è apparso chiaro come alla già operata periodizzazione della vicenda evolutiva di Gladio corrisponda una diversità dei criteri seguiti nell'arruolamento del personale civile. In una prima fase, il cui termine può temporalmente collocarsi nei primi degli anni settanta, l'arruolamento ha riguardato in prevalenza cittadini residenti nel Nord d'Italia, di profilo sociale medio basso e con attitudini individuali ad una utilizzazione armata (notevole la presenza di personale che aveva già prestato il servizio militare e anche di sottufficiali ed ufficiali). Tutto ciò appare pienamente coerente con le finalità dello stay behind e c ioè con la finalità di costituire una struttura destinata ad avere un consistente ruolo armato in Friuli (nell'evidente presupposto di una invasione iniziata dalla caduta della "soglia di Gorizia") ed un ruolo di collegamento ed esfiltrazione verso la Svizzera in Lombardia (e questa ipotesi è rafforzata anche dal tipo di specializzazione degli arruolati lombardi che effettivamente risultano spesso impiegati in corsi di addestramento all'esfiltrazione) (81). Ma dopo quella che è stata definita la svolta del '72, il criterio di reclutamento si modifica in parte allargando il reclutamento anche nella regioni meridionali e insulari... A ciò si aggiunga che negli arruolati appaiono nettamente predominanti i ceti medi con una apprezzabile presenza di imprenditori, dirigenti di azienda o della pubblica amministrazione, liberi professionisti. Inoltre si innalza il numero percentuale di soggetti riformati o esentati dal servizio di leva con un più ridotto numero di ufficiali. Sicché non appare per nulla azzardato trovare in ciò la conferma di un dato, la cui logicità appare peraltro indiscutibile: a mano che l'eventualità di un'invasione del territorio nazionale da parte di eserciti nemici diveniva sempre più remota, i compiti informativi, che è ragionevole ritenere fossero stati affidati alla rete clandestina, divennero prevalenti.

Le considerazioni che precedono valgono altresì a sciogliere almeno in parte alcuni dei nodi che ancora sussistono in ordine ai compiti che furono affidati alla struttura e che furono da questa concretamente svolti. I due profili (compiti attribuiti/compiti svolti) non possono ritenersi pienamente coincidenti alla stregua della già operata ricostruzione della vicenda Gladio come la storia di una sostanziale potenzialità operativa. Ciò é innegabile innanzitutto con riferimento al compito principale e più ostensibile per cui la struttura fu costituita: e cioé l'attività prevista per l'ipotesi mai verificata di occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Quanto ai compiti di contrasto di possibili sovvertimenti interni o più specificamente di contrasto a forze politiche legalmente riconosciute, si sono già esposte le ragioni che inducono la Commissione a ritenere che tali compiti rientrassero tra quelli verosimilmente attribuiti alla struttura. Anche in sede giudiziaria, e a valle delle valutazioni operate dalla Commissione nella X legislatura, si é riconosciuto, come meglio in seguito si dirà, che di una "originaria finalizzazione della struttura al contrasto di forze politiche legalmente riconosciute ... vi sono ampie tracce nella documentazione relativa alla costituzione della struttura e in genere agli accordi dei servizi italiani con le autorità statunitensi negli anni '40 e '50 (77). Sul punto quindi le conclusioni assunte dalla Commissione già nel '91-'92 e che vengono ritenute meritevoli di conferma hanno quindi ricevuto un autorevole avello in diverso ambito istituzionale. Tuttavia va riconosciuto che non esistono solide basi documentali (se non labilissime) che inducano a ritenere che per tali compiti la struttura sia stata effettivamente attivata. Peraltro la incompletezza della documentazione e la volontarietà con cui tale incompletezza é stata determinata escludono altresì la possibilità di pervenire sul punto ad un finale accertamento negativo. Per ciò che concerne invece le funzioni informative la Commissione ha già manifestato nella X legislatura il suo convincimento che trattasi di compiti assegnati alla struttura e da questa effettivamente espletati. La fondatezza di tale conclusione é stata fortemente contrastata con argomentazioni tese a contestare la significatività delle basi documentali che tale conclusione sorreggevano. Si è osservato in merito che l'attività di informazione avrebbe fatto parte di compiti propri della struttura ove fosse stata attivata nel verificarsi dell'eventualità di una occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Sicchè i documenti su cui la Commissione ha fondato l'accertamento del concreto svolgimento di compiti informativi, atterrebbero invece a mere esercitazioni con finalità addestrative di un personale che sarebbe divenuto operativo solo al verificarsi delle previste condizooni di impiego. La distinzione appare capziosa nell'evidente impossibilità di escludere che i risultati dell'addestramento (riferibili sin troppo ovviamente a situazioni geopolitiche concrete dei momenti e dei luoghi in cui l'attività addestrativa ebbe svolgimento) apparivano com unque utilizzabili da parte del Servizio che aveva la direzione della struttura (78). A ciò si aggiunga che è comunque certa la mobilitazione della struttura a fini informativi almeno in tre occasioni: e cioè nel corso delle indagini relative al sequestro Moro e al sequestro Dozier per ammissione di uno dei responsabili della struttura (79), nonché nel 1990 per una decisione assunta (e documentalmente provata) con riferimento ad attività informative da utilizzarsi nel contrasto alla criminalità organizzata e al narcotraffico in esecuzione di una direttiva autonomamente emanata dal direttore del servizio (80). Oltre a ciò vi è la vicenda del centro "Scorpione", istituito a Trapani nella seconda metà degli anni '80, che desta notevoli perplessità sia per l'ubicazione di questa struttura periferica, sia per la mancanza di chiarezza per quanto attiene ai compiti dalla stessa effettivamente svolti. Peraltro vi sono indici ulteriori che consentono di porre su base più ampia una conferma delle conclusioni su cui sul punto la Commissione è giunta e che attengono alle "qualità personali" del personale arruolato nell'ultimo periodo di operatività della struttura. Alla analisi della Commissione infatti è apparso chiaro come alla già operata periodizzazione della vicenda evolutiva di Gladio corrisponda una diversità dei criteri seguiti nell'arruolamento del personale civile. In una prima fase, il cui termine può temporalmente collocarsi nei primi degli anni settanta, l'arruolamento ha riguardato in prevalenza cittadini residenti nel Nord d'Italia, di profilo sociale medio basso e con attitudini individuali ad una utilizzazione armata (notevole la presenza di personale che aveva già prestato il servizio militare e anche di sottufficiali ed ufficiali). Tutto ciò appare pienamente coerente con le finalità dello stay behind e c ioè con la finalità di costituire una struttura destinata ad avere un consistente ruolo armato in Friuli (nell'evidente presupposto di una invasione iniziata dalla caduta della "soglia di Gorizia") ed un ruolo di collegamento ed esfiltrazione verso la Svizzera in Lombardia (e questa ipotesi è rafforzata anche dal tipo di specializzazione degli arruolati lombardi che effettivamente risultano spesso impiegati in corsi di addestramento all'esfiltrazione) (81). Ma dopo quella che è stata definita la svolta del '72, il criterio di reclutamento si modifica in parte allargando il reclutamento anche nella regioni meridionali e insulari... A ciò si aggiunga che negli arruolati appaiono nettamente predominanti i ceti medi con una apprezzabile presenza di imprenditori, dirigenti di azienda o della pubblica amministrazione, liberi professionisti. Inoltre si innalza il numero percentuale di soggetti riformati o esentati dal servizio di leva con un più ridotto numero di ufficiali. Sicché non appare per nulla azzardato trovare in ciò la conferma di un dato, la cui logicità appare peraltro indiscutibile: a mano che l'eventualità di un'invasione del territorio nazionale da parte di eserciti nemici diveniva sempre più remota, i compiti informativi, che è ragionevole ritenere fossero stati affidati alla rete clandestina, divennero prevalenti.


4.1 E' quindi su tali basi complessive che la Commissione ritiene di poter confermare il negativo giudizio politico già formulato sulla legittimità della struttura, nell'avvertita esigenza peraltro che lo stesso necessiti, a seguito di una riflessione più meditata, di alcune integrative esplicitazioni; anche se non di correzioni, perché, lo si ribadisce, nella sua sostanza il giudizio di illegittimità si ritiene peritevole di piena conferma. Piena conferma merita parimenti la scrupolosa ricostruzione storico-cronologica contenuta nella relazione precedente, così come pure le osservazioni sulla evoluzione del quadro politico nazionale che hanno accompagnato l'intera vicenda. Non potrebbe infatti attenuarsi il precedente giudizio di fronte a dati di fatto incontrovertibili e di eloquente significato. Con la riforma dei servizi segreti, avvenuta con la legge n. 801 del 1977, erano stati costituiti il SISMI ed il SISDE, che furono posti dalla stessa legge sotto la diretta responsabilità del Presidente del Consiglio il quale la esercita avvalendosi di un Comitato ristretto consultivo e interministeriale (CIIS) nonché di un organo di coordinamento e di collegamento con l'estero (CESIS) al quale è preposto un segretario generale nominato dal Presidente del Consiglio. Il quadro della riforma e del "riposizionamento" degli organi di sicurezza veniva poi completato con la creazione di un apposito Comitato Parlamentare di controllo sui servizi, al quale erano dovute tutte le informazioni essenziali circa la struttura e le attività dei servizi stessi. Nel nuovo quadro operativo, delle competenze e dei controlli, così come scaturito dalla legge di riforma, non trovò collocazione Gladio, che restò estranea sia alla suddivisione dei compiti istituzionali riconosciuti ai due Servizi, sia al sistema dei controlli e delle garanzie. Il CESIS ed il neo Comitato parlamentare di controllo furono tenuti allo oscuro, "cortocircuitati" come fu efficacemente detto nella precedente relazione. Gladio continuò a vivere, o a vegetare, in un ambito suo proprio, nella clandestinità, invisibile, al di fuori delle regole, senza una chiara collocazione istituzionale, senza una precisa attribuzione ed un aggiornamento dei suoi compiti, nella indifferenza rispetto ad una realtà politica internazionale profondamente mutata rispetto agli anni '50. Ai vertici del SISMI e del SISDE si avvicendarono diverse personalità, alcune delle quali oggetto di gravi sospetti circa la loro lealtà alle istituzioni democratiche a causa delle loro affiliazioni alla P2. Si verificò anche un aumento marcato delle attività organizzative della Gladio: ciò durante la gestione Martini ed anche a seguito della nomina del generale Inzerilli alla carica di Capo di Stato Maggiore del SISMI. Al Comitato Parlamentare di controllo fu taciuta la stessa esistenza di Gladio. Alle autorità di governo responsabili (Presidente del Consiglio e Ministro della Difesa) fu, a partire dal 1984, sottoposta una semplice, sintetica e poco esplicativa informazione contenuta - ai fini di una mera presa di conoscenza - in un documento nel quale si faceva menzione soltanto di alcune attività senza riferimenti alle effettive caratteristiche ed al nome della struttura. Nel documento si parlava di una organizzazione agente nell'ambito SISMI ed avente il compito di "predisporre quanto necessario per la condotta di operazioni di guerra non ortodossa sul territorio nazionale eventualmente occupato da forze nemiche, a diretto supporto delle operazioni militari condotte dalle forze Nato" nonché di "esercitazioni addestrative nazionali e Nato con l'apporto delle unità speciali delle tre Forze Armate". L'accento veniva quindi posto sui compiti collegati ad impegni ed intese internazionali e connessi soltanto alle ipotesi di un'occupazione nemica del territorio nazionale; a giudizio di molti, Gladio era divenuta qualcosa di più e di diverso. La nota comunque, pur nella sua formulazione molto stringata e poco esplicita, non fu sempre sottoposta alla firma di tutti i destinatari, e quando lo fu ciò avvenne spesso con mesi di ritardo rispetto alla loro presa di possesso delle rispettive cariche.


4.2 'espressione sintetica usata dalla Commissione nella relazione del 1992 è quella di "illegittimità costituzionale progressiva". Dovuta è quindi subito l'avvertenza del carattere atecnico in cui l'espressione è stata utilizzata dalla Commissione, nell'affidare alla stessa un giudizio che è stato ed è principalmente politico, assai più che giuridico-formale; in coerenza con il proprium dei compiti di una Commissione parlamentare d'inchiesta, che voglia tenere nettamente distinto, come è dovuto, l'ambito specifico del proprio intervento da territori diversi riservati a differenti poteri dello Stato (e tra questi in primis la magistratura ordinaria e amministrativa). La illegittimità costituzionale è, infatti, una forma di invalidità giuridica, che in un sistema a costituzione rigida può afferire soltanto alle leggi ordinarie o ad atti aventi forza di legge ordinaria; e solo in via derivata riguardare atti di rango inferiore emanati in esecuzione della fonte primaria invalida. Gladio è invece una struttura amministrativa che risulta essere stata costituita ed essere divenuta operativa per effetto di atti non agevolmente situabili nel generale ordine gerarchico delle fonti, ma sicuramente non legislativi e che non presupponevano un atto legislativo; con l'ulteriore dovuta avvertenza che oggetto della valutazione della Commissione (che ha natura politica, giova ribadirlo, e non giurisdizionale) è costituito non tanto dagli atti in esecuzione dei quali la struttura fu costituita e poi modificata, quanto la vicenda storica del costituirsi della struttura, delle sue successive evoluzioni, della sua concreta operatività. La formula "illegittimità costituzionale" esprime quindi un giudizio politico di contenuto negativo, essendo apparso alla Commissione pienamente affermabile che in un ordinamento democratico, quale quello delineato dalla nostra Costituzione, sussistono pur sempre limiti precisi che dovrebbero escludere la possibilità di creare strutture segrete sottratte a qualunque tipo di controllo non solo politico ma anche amministrativo interno, strutture armate, dotate di mezzi ed esplosivi ed inserite in organismi di grande potenzialità offensiva, quali sono appunto gli organi di sicurezza. Né sembra dubbio che tali limiti ben possano dirsi superati nella vicenda in esame, appunto in considerazione della estrema esilità del controllo politico (82) che ha riguardato una rete clandestina sorta per iniziativa dei Servizi addirittura in ambito internazionale e della cui esistenza il potere politico è stato sempre poco e male informato anche dopo l'entrata in vigore dell a legge n. 801 del 1977, di una legge formale che aveva sancito un obbligo di informazione ben più intenso, non solo verso l'autorità di Governo, ma anche nei confronti di uno specifico organismo parlamentare. All'interno di tali coordinate esplicative è possibile quindi cogliere meglio il segno della progressività che secondo il giudizio già espresso dalla Commissione avrebbe segnato

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Cronologia dei fatti che hanno portato al riconoscimento pubblico dell'esistenza di Gladio
Gladio esiste!
Dal 1990 a oggi

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Un contributo di Mario Coglitore.
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Lettera inviata da Falco Accame - ex Presidente della Commissione Difesa della Camera.
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Il racconto di un ex-gladiatore.
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Gladio. La verità negata
Edito da Analisi, Bologna, 1995
169 pagine
di Paolo Inzerilli
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Il 26 febbraio 1991 Giulio Andreotti, all’epoca presidente del Consiglio, prendendo tutti in contropiede – specie l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, nonché i vertici del SISMI - invia alla commissione Stragi una relazione su GLADIO.
Un documento con molte lacune, ma il segreto della Repubblica, ormai, è stato violato.
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"Gli Stati che aderiscono al presente Trattato riaffermano la loro fede negli scopi e nei principi dello Statuto delle Nazioni Unite e il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi. Si dicono determinati a salvaguardare la libertà dei loro popoli, il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia, sulle libertà individuali e sulla preminenza del diritto. Aspirano a promuovere il benessere e la stabilità nella regione dell'Atlantico settentrionale. Sono decisi a unire i loro sforzi in una difesa collettiva e per la salvaguardia della pace e della sicurezza. Pertanto, essi aderiscono al presente Trattato Nord Atlantico..."
 
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