I massoni in Italia

Edito da L'Espresso, 1978

di Roberto Fabiani

Recensione

Riportiamo un brano del libro sull''unificazione fra le obbedienze di Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù:
"Eppure come nel primo triennio della sua gran maestranza aveva colto il frutto maturo del riconoscimento da parte della Gran Loggia Unita d'Inghilterra, anche all'inizio del secondo triennio Salvini realizzò un grosso successo che aveva tutte le caratteristiche per essere definito storico: la riunificazione con la Massoneria Universale di piazza del Gesù. Le due famiglie erano separate da 65 anni e per tutto quel tempo avevano vissuto ufficialmente ignorandosi a vicenda in realtà spiandosi, raccogliendo notizie una dell'altra, cercando di catturare gli uomini migliori. Avevano percorso strade all'apparenza simili, delimitate dalle stesse pietre di confine e lastricate dalle stesse antiche costituzioni, ma in realtà divergenti. Quanto a palazzo Giustiniani erano stati laici sempre e anticlericali spesso, tanto a piazza del Gesù avevano cercato e trovato contatti e dialogo con la chiesa già molti anni prima che il Paolino Rosario Esposito cominciasse l'evangelizzazione della libera muratoria. I "giustinianei" avevano sempre avuto una marcata impronta di sinistra arrivando ad aprire le porte dei templi ai socialisti rivoluzionari e agli anarchici; i "gesuiti" si erano sempre mantenuti sul moderato, cercando proseliti tra monarchici, liberali, socialdemocratici, democristiani e sconfinando frequentemente nel terreno reazionario dei fascisti. Gli epigoni di Adriano Lemmi avevano sempre coltivato la speranza di poter diventare un superpartito; i seguaci dello scissionista Fera erano sempre andati a chiedere ai partiti protezioni e favori. A palazzo Giustiniani la democrazia funzionava: il Gran Maestro e tutti i dignitari dell'Ordine e delle logge restavano in carica tre anni e dopo tre elezioni consecutive il Gran Maestro non poteva più ripresentarsi; a piazza del Gesù il maglietto del comando poteva essere mantenuto dalla stessa persona per tutta la vita. Palazzo Giustiniani aveva conosciuto tempeste, polemiche, battaglie intestine durissime ma bene o male era rimasto compatto; invece dal fianco di piazza del Gesù ogni tanto nasceva qualche nuova obbedienza. Fino a quando a capo dei "gesuiti " c 'era stato il medico Tito Ceccherini, ogni tentativo di dialogo era abortito sul nascere. Poi, morto Ceccherini, il suo posto era stato preso da Francesco Bellantonio. Siciliano, esperto commercialista, ex funzionario dell'ENI, Bellantonio si era trovato nelle mani un gruppo massonico che di certo aveva solo l 'indirizzo della sede a piazza del Gesù. Il resto era tutto discutibile, a cominciare dalla legittimità storica. Si era messo al lavoro di buona lena, facendo leva sui tradizionali punti di forza della famiglia: I 'atteggiamento politico moderato, la disposizione all'intesa con la chiesa cattolica, la fedeltà, maggiore che non quella dei giustinianei, alle origini della massoneria: lavoro in loggia, miglioramento dell'individuo, nessuna presa di posizione pubblica sui grandi temi della vita sociale verso i quali ciascun fratello poteva e doveva regolarsi secondo coscienza. Bellantonio indulgeva volentieri anche a qualche piccola scimmiottatura degli usi della massoneria inglese: amava vedere i fratelli riuniti nel tempio con i grembiulini, i collari e i guanti bianchi indossati sopra gli smoking e gli dispiaceva che qualche gruppo non fosse d'accordo con questa consuetudine e si presentasse, polemicamente, in camicia e maglione.

In pochi anni Bellantonio aveva fatto dimenticare la controversia circa la legittimità storica del suo gruppo e aveva messo insieme 3.500 fratelli distribuiti in circa 200 logge. Il nerbo degli iscritti era rappresentato da funzionari di livello medio alto, professionisti in ascesa, imprenditori e commercianti, alcuni militari, banchieri autorevoli, politici di razza. Anche a piazza del Gesù, come in tutte le massonerie del mondo, esisteva una loggia coperta, destinata a riunire i fratelli più in vista. Si chiamava Giustizia e Libertà e in passato aveva visto una comparsa (rapida) dell'ex presidente del Senato e senatore a vita Cesare Merzagora, dei generali Giuseppe Aloja e Giovanni De Lorenzo; perfino il caporione fascista Giulio Caradonna era entrato e uscito diverse volte. Da qualche anno la Giustizia e Libertà era stata affidata a Giorgio Ciarrocca, direttore centrale della RAI, libero docente dell'Università di Roma. In quel forziere Ciarrocca aveva concentrato un materiale di primissima scelta, Franziskus Konig, arcivescovo di Vienna e cardinale tra i prelati. Tra i politici: Giacinto Bosco, Marcello Simonacci, Eugenio Gatto, democristiani; Luigi Preti socialdemocratico e perfino il dirigente comunista, speranza del partito Gianni Cervetti. Formidabile la presenza dei grandi e inamovibili condottieri delle industrie e delle banche pubbliche, dai boiardi di Stato di personaggi usi a trattare col potere da pari a pari, Eugenio Cefis, primo tra i primi, iscritto dal 15 settembre 1961, Leopoldo Modugno, dirigente delle Partecipazioni Statali, in loggia dal 9 giugno 1965, Giuseppe Arcaini, iniziato il 15 luglio 1963, Guido Carli, tra i liberi massoni dal 19 settembre 1967. E un altro grande e riservatissimo personaggio del mondo bancario non solo italiano ma internazionale, Enrico Cuccia, amministratore delegato di Mediobanca, seduto tra le colonne del tempio fin dal 27 marzo 1955. Il più importante di tutti costoro, da un punto di vista massonico, era Raffaele Ursini, che aveva la carica di luogotenente del Sovrano Gran Commendatore del Rito. Contenuta ma di altissimo livello la presenza militare: Corrado Sangiorgio, generale di corpo d'armata, comandante dei carabinieri, massone dal 14 febbraio 1961 e Arnaldo Ferrara, capo di stato maggiore dell'Arma, avvicinatosi alla libera muratoria e iniziato il 15 luglio 1969. Oltre ai due generali ormai in disarmo Aloja e De Lorenzo. L'immarcescibile stirpe dei costruttori romani era rappresentata da Fortunato Federici e da Aladino Minciarone. Non mancava un intimo del Quirinale, il presidente della Compagnia Italiana Grandi Alberghi, Alberto Mircangeli e due intimissimi di casa Fanfani, Ettore Bernabei e Stelio Valentini genero del presidente del Senato. L'avvocato Francesco Buccellato rappresentava il mondo delle libere professioni e Salvatore Comes, direttore generale per l'insegnamento universitario al ministero della Pubblica Istruzione quello della burocrazia. Il potere giudiziario aveva tra le fila dei liberi muratori di piazza del Gesù uno dei magistrati all'epoca più potenti d'ltalia, Carmelo Spagnuolo, massone dal 1947. Siccome Bellantonio era parente di Michele Sindona, in quegli anni lanciato alla conquista di traguardi sempre più ambiziosi, anche l'intraprendente finanziere era stato arruolato. Dopo di lui era arrivato un personaggio scontroso e taciturno: quel don Agostino Coppola, economo della cattedrale di Monreale che sarebbe stato condannato a diciotto anni di prigione sotto l 'imputazione di appartenere alla banda di Luciano Liggio. Nessuno sa spiegare come potessero convivere nella stessa organizzazione ed in spirito di fraternità personaggi che si odiavano a morte come Cuccia e Sindona, Aloja e De Lorenzo, ognuno dei quali avrebbe dovuto assistere alla rovina dell'altro e le cui lotte avrebbero segnato non solo la cronaca ma addirittura la storia d ltalia. E Dio solo sa cosa facessero insieme lo stalinista Gianni Cervetti, il socialdemocratico Luigi Preti e il democristiano di destra Marcello Simonacci. Alla Giustizia e Libertà facevano le cose per bene e ogni fratello iscritto aveva il suo codice, vagamente somigliante al codice fiscale. Gianni Cervetti: OKL-0321-L/3; Luigi Preti: OKL-056/B18; Giuseppe Arcaini: OHNM-796/R.18; Leopoldo Medugno: OHN-1531/R.6; Aladino Minciaroni: OHN0634/F.18; Marcello Simonacci: OKL-0261/R14; Arnaldo Ferrara: OK-056/R.27; Stelio Valentini: OKN-051/F.2/1; Guido Carli: OHN-I9.11; Eugenio Cefis: OHN-05371/5.15; Corrado Sangiorgi: OK-1521/F.55; Ettore Bernabei: OKN-64915/3F; Enrico Cuccia: OHN-071/MI; Francesco Buccellato: OHT-5531/F; FortunatoFederici: COP-6945/R.50. Con una loggia coperta di quel calibro, 200 logge ordinarie, 40 templi, 3500 fratelli, Francesco Bellantonio avrebbe potuto camminare tranquillo per la sua strada. Ma anche lui aveva voglia di passare alla storia della massoneria con un gesto che lasciasse il segno .E anche lui, come già subito dopo la guerra il gruppo guidato da Arturo Labriola, aveva capito che era sciocco, prima che tatticamente sbagliato, continuare a tenere divise le pur imponenti forze. Del resto molti degli antichi motivi di contrasto si potevano considerare superati: da sempre vicini alla chiesa, i dirigenti di piazza del Gesù sapevano benissimo che palazzo Giustiniani aveva cominciato da tempo un confronto serrato con qualificati emissari del Vaticano. Sapeva anche che i giustinianei si mostravano sempre più restii a prendere posizione sui temi che animavano il dibattito civile: Salvini aveva tenuto una reclamizzata conferenza stampa per annunciare che la massoneria era schierata a favore del divorzio, contro il referendum e contro il concordato, ma lo aveva fatto di malavoglia praticamente costretto a quel gesto dalla battagliera opposizione interna. Da ultimo, Francesco Bellantonio nutriva la speranza, non del tutto segreta ne'inespressa di poter diventare Gran Maestro di una grande famiglia massonica finalmente riunita negli uomini e nelle strutture. E tutti insieme in marcia, con spirito di concordia e fraternità, alla ricerca della verità e della vera luce. Per questi motivi il Gran Maestro di piazza del Gesù aveva ripreso con palazzo Giustiniani un dialogo che era stato iniziato e interrotto più volte. E era arrivato a un accordo con Salvini: la sua obbedienza si sarebbe presentata al completo per fondersi con quella di palazzo Giustiniani. I fratelli avrebbero mantenuto i gradi raggiunti nella famiglia d'origine; neppure a parlarne di selezione, esame, controlli e altre trafile del genere. Il tesoro sarebbe stato riversato in quello di palazzo Giustiniani. Il Gran Maestro di piazza del Gesù una volta realizzata la fusione sarebbe stato acclamato Gran Maestro aggiunto del Grande Oriente. La loggia coperta Giustizia e Libertà avrebbe preso contatti con la consorella P2 per il passaggio degli iscritti "all'orecchio del Gran Maestro". In tutta questa trattativa Francesco Bellantonio portava una dose di calcolo, un grande entusiasmo e una grandissima ingenuità. Era talmente convinto che l 'accordo stipulato con Salvini avrebbe funzionato che si bruciò i vascelli alle spalle e cedette al Gran Maestro di palazzo Giustiniani il contratto d 'affitto dell'appartamento di piazza del Gesù.

Può sembrare un particolare poco importante, ma non è così. Come il Grande Oriente aveva legato il suo nome al palazzo che ne ospitava il governo, così la Massoneria Universale aveva la culla a piazza del Gesù, dove era andato a installarsi Saverio Fera nel l908; nessuno aveva mai chiamato quella comunione con il nome ufficiale di Gran Loggia Nazionale Italiana degli Antichi Liberi e Accettati Massoni ma semplicemente con il nome della piazza dove c'era la sede. In un corpo perennemente sferzato da tentazioni scissioniste come è sempre stato quello della massoneria italiana, restare ancorati alle pietre dell'antico palazzo garantiva agli occupanti la possibilità di richiamarsi alla tradizione, montare se necessario un bluff; stendere cortine di fumo difficili da diradare. Bellantonio tutto questo non lo capì e rinunciò con leggerezza al patrimonio rappresentato da quel semplice indirizzo. Se ne sarebbe amaramente pentito due anni più tardi quando, naufragata l'intesa con il Grande Oriente, avrebbe cercato di ridare vita al suo antico gruppo senza però poter rimettere piede nella sede storica. Il contratto lo aveva in mano Salvini; fraternamente se lo tene. Ma nel l973 tutti pensavano a costruire ed era lontano il sospetto che il nuovo edificio sarebbe rimasto in piedi 24 mesi appena. Il patto diffusione venne stilato e firmato a primavera; comunicati trionfalistici vennero spediti a tutte le famiglie massoniche del mondo per annunciare lo storico evento, il secondo nel giro di soli due anni, che aveva riportato all'abbraccio e alla concordia due grandi obbedienze separate da più di mezzo secolo. Se nei saloni di palazzo Giustiniani Lino Salvini gustava quel trionfo che gli apparteneva a titolo pieno, all'albergo Excelsior di Roma Licio Gelli guardava con soddisfazione crescere a dismisura la potenza della sua loggia segreta: era stato lesto a muoversi e aveva catturato quasi tutti gli iscritti alla Giustizia e Libertà di piazza del Gesù. Adesso sotto la volta stellata del tempio della P2 era concentrata una forza imponente, quale in Italia non si vedeva dai tempi di Lemmi e forse non si sarebbe vista più: non era mai successo che molti degli uomini che tengono in mano una nazione stessero riuniti nella stessa sala a celebrare gli stessi riti e professare le stesse idee: il padrone del Quirinale, che non era il presidente della Repubblica ma il volitivo e inamovibile segretario generale Nicola Picella; il padrone dei servizi segreti Vito Miceli; il padrone della Banca d'Italia, Guido Carli; il padrone della RAI Ettore Bernabei; il padrone della più importante Procura della Repubblica d'Italia Carmelo Spagnuolo; il padrone del pozzo senza fondo Italcasse, Giuseppe Arcaini; il motore immobile della Camera dei Deputati, Francesco Cosentino; il potente capo di stato maggiore dei carabinieri Arnaldo Ferrara; il padrone di una banca di importanza internazionale, Enrico Cuccia. E un uomo furbo e ambizioso che teneva strette in mano le chiavi del cuore di Giulio Andreotti, Michele Sindona. Per questa eletta compagnia la sede di via Cosenza non andava più bene; oltre tutto si era dimostrata poco sicura perché c'era stato un misterioso e non riuscito tentativo d 'effrazione che Miceli e Spagnuolo avevano subito classificato come "operazione tendente a inserire microfoni d'ambiente e mezzi d'ascolto elettronici". Allora Gelli fece preparare un codice dal fido generale De Santis e mise in chiave i nomi degli iscritti. Poi trovò una sede adeguata a via Condotti a un passo dalla scalinata di Trinità dei Monti, sopra la gioielleria di Gianni Bulgari, e ci trasferì la P2. Per qualche mese la massoneria italiana brillò di luce vivissima, mentre tutto sembrava funzionare alla perfezione: la fusione con i fratelli di piazza del Gesù procedeva senza intoppi ed erano pochi i dissidenti che non condividevano la riappacificazione e si mettevano in sonno; la pace con la chiesa mancava ancora di una qualche pronuncia pubblica e solenne ma era ormai cosa fatta; le grandi logge straniere con le quali erano stati stabiliti costanti rapporti sommavano a più di 140; l'opposizione interna alla gran maestranza di Salvini era sempre vigile ma aveva smorzato i toni della polemica e, all'ordine nei templi mostrava di rispettare le regole del gioco democratico; la P2 dava lustro alla famiglia con tutti i suoi altolocati aderenti, anche se di questo nelle logge ordinarie se ne sapeva poco o nulla. Come non si sapeva che il capo della P2 Licio Gelli aveva ormai scalato il colle del Quirinale e si incontrava abbastanza spesso con il presidente della Repubblica Giovanni Leone. Per Gelli non era stato difficile farsi ammettere al cospetto della massima autorità dello Stato: dentro al Quirinale aveva già un amico fratello fidatissimo, L'onnipotente segretario generale Nicola Picella ed aveva allacciato rapporti cordiali con un intimo di casa Leone, quel professore Antonio Lefebvre che, sconosciuto a tutti nel 1973, sarebbe diventato celeberrimo tre anni dopo in seguito allo scandalo Lochkeed. Picella o Lefebvre avevano fatto credere a Leone che la sua elezione era stata propiziata da un signore distinto e riservato che comandava a bacchetta 110 parlamentari ai quali, nel momento cruciale delle votazioni, aveva ordinato di votare ad oltranza Giovanni Leone. E questa era solo una delle cose che il misterioso personaggio era in grado di fare: il suo potere si estendeva dal mondo bancario a quello diplomatico a quello militare e dei servizi segreti. Poteva essere utile, valeva la pena di incontrarlo. E si incontrarono. Gelli cominciò subito a battere un tasto per lui abituale: la famiglia massonica, ramificata com'è nei gangli vitali del paese è forse l'unica organizzazione ad avere costantemente sottomano e aggiornata la situazione dell'ltalia. E' anche in condizione di stendere relazioni su argomenti specifici basati su dati assolutamente esatti. Desidera mettere questa capacità a disposizione del presidente della Repubblica che stando tanto in alto e isolato forse non sempre sa con precisione come vanno le cose."

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