Da IGN del 30/05/2006

Caso Sofri, le tappe della vicenda

Adriano Sofri, classe 1942, massimo esponente del movimento extraparlamentare di sinistra 'Lotta Continua', è stato condannato con sentenza definitiva nel 2000 a 22 anni di reclusione per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi, assassinato il 17 maggio 1972. La sua storia giudiziaria è legata a doppio filo con uno dei più longevi misteri della storia italiana: la strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, in cui persero la vita 16 persone.

Polizia, carabinieri e governo accusano della strage gli anarchici. Dopo varie indagini, viene convocato in questura per un colloquio un ferroviere, Giuseppe Pinelli, esponente dell'anarchia milanese. E' il presunto colpevole. Tre giorni dopo, durante uno dei tanti interrogatori cui viene sottoposto, Pinelli muore cadendo nel cortile della questura.

Il questore interpreta il gesto come un suicidio, causato dal senso di colpevolezza di Pinelli e dal suo sentirsi ormai alle corde. Gli anarchici e la sinistra, invece, accusano il commissario Calabresi d'aver ''suicidato'' Pinelli. Lotta Continua scatena, a questo punto, una violenta campagna di propaganda contro Calabresi e Sofri stesso, sul suo giornale, cerca in ogni modo di costringere il commissario alla querela, unico strumento, secondo il leader di Lotta Continua, per aprire un'inchiesta sulla morte dell'anarchico.

Calabresi querela effettivamente Lotta Continua: nel 1971, quindi, comincia il tanto atteso processo. Poliziotti e carabinieri sono chiamati a testimoniare. Ma, a poche udienze dalla fine, l'avvocato di Calabresi riesce a ricusare il giudice istruttore, sostenendo d'aver ascoltato una sua dichiarazione in cui si diceva sicuro della colpevolezza del commissario. Il processo, di fatto, si blocca e le accuse nei confronti di Calabresi perdono consistenza.

L'assassinio del commissario segue di lì a poco. Sono le 9.20 del 17 maggio 1972 quando viene freddato con un colpo di pistola alla nuca e un altro alla schiena. Lotta Continua diventa immediatamente la sospettata numero uno, ma il processo per omicidio a carico dei presunti mandanti ed esecutori materiali del delitto non inizierà che 16 anni più tardi. Nel 1975, invece, si tiene un nuovo processo, che si conclude con una condanna a Lotta Continua per aver diffamato Calabresi. La sentenza stabilisce che i funzionari di polizia hanno effettivamente mentito, ma che Pinelli è comunque caduto dalla finestra in seguito a un ''malore attivo'', termine che i critici più accesi della sentenza da sempre sostengono esser vago e non ben definito.

Il primo arresto di Sofri, Bompressi e Pietrostefani (gli altri due esponenti di punta del movimento accusati d'aver preso parte all'omicidio) avviene nel 1988, in seguito alle confessioni del pentito Salvatore Marino, anch'egli aderente all'organizzazione negli anni ''caldi''. Marino, dinanzi ai giudici, sostiene d'esser stato lui a guidare la macchina utilizzata per l'attentato. L'esecutore materiale, invece, sempre secondo la ricostruzione di Marino, sarebbe Ovidio Bompressi.

Le responsabilità di Pietrostefani e di Sofri sarebbero invece di ordine ''morale'' essendo i due i leader carismatici del movimento e quelli che dettavano gli ordini. I tre vengono arrestati e poi scarcerati in attesa del processo, ma si dichiarano del tutto estranei all'accusa. Dal processo, che si svolge tra mille contestazioni a partire dal 1990, viene fuori anche che Marino ha intrattenuto colloqui notturni e non verbalizzati con i carabinieri. Tuttavia il processo si conclude con le condanne a 11 anni per Marino e a 22 anni per le persone che ha accusato, malgrado nessuna prova si sia aggiunta al suo racconto.

Dopo un'infinita sequela di processi e di dibattimenti, che ha sempre visto perdente la linea difensiva, Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi si consegnano quindi spontaneamente al carcere di Pisa. La Cassazione, infine, ha infatti emesso nei loro confronti una condanna a 22 anni di detenzione.

L'interpretazione di Sofri come ''mandatario'' è sottoscritta anche da quelli che, in questi anni, hanno negato il coinvolgimento diretto del leader (ossia che sia stato il mandatario cosciente), a cui tuttavia imputano una responsabilità morale in qualità di ''cattivo maestro''. Una definizione in parte accettata anche da alcune delle decine di pronunce emesse dai Tribunali nel corso di oltre quindici anni. In tutto questo lasso di tempo, infatti, si sono susseguiti otto processi, con esiti contraddittori.

Le Sezioni Unite della Cassazione, nel 1992, annullano le condanne, chiedendo che si trovino dei riscontri alla versione di Marino o che si assolvano gli imputati. Un processo d'appello, nel 1993, assolve tutti gli imputati. Poi, però, la sentenza è annullata. Nel gennaio del 1997, nei confronti di Sofri, Bompressi e Pietrostefani viene emessa una condanna definitiva e i tre entrano in carcere a Pisa. Per altri due anni e mezzo, però, la loro difesa si batte per ottenere la revisione del processo, accettata nell'agosto 1999.

A quel punto i tre vengono scarcerati, dopo due anni e sette mesi di detenzione. Ma al processo di revisione, svoltosi a Venezia tra la fine del 1999 e l'inizio del 2000, i giudici riconfermano le condanne e, a 28 anni dall'omicidio Calabresi, ordinano il ritorno in carcere dei tre. L'8 ottobre 2001 il ministero della Giustizia decide inoltre di non trasmettere al Quirinale la richiesta di grazia di Bompressi, che in seguito presenterà un'altra domanda.

L'8 novembre 2002 il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi scrive in una lettera a 'Il Foglio' di ritenere che sia matura una decisione favorevole alla grazia per Sofri. Nel 2003 la Corte europea dei diritti dell'uomo respinge, perché 'irricevibile', il ricorso di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, che chiedono la revisione del processo.

Il 13 giugno 2003 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, dopo un braccio di ferro con il ministro della Giustizia Roberto Castelli sulla grazia, solleva davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato riguardo alle prerogative del presidente della Repubblica. Castelli, infatti, si è sempre rifiutato di controfirmare la proposta di grazia, secondo la prassi prevista dalla Costituzione.

Il 4 dicembre 2003 approda in commissione Affari costituzionali la proposta di legge di Marco Boato, appoggiata da parlamentari di diverse posizioni politiche, che affida al solo presidente della Repubblica la facoltà di concedere la grazia e faciliterebbe la concessione di questa a Sofri. Il 13 dicembre 2005 il ministro della Giustizia Roberto Castelli conclude l'esame del fascicolo relativo ''al detenuto Adriano Sofri'' e decide ''di non avanzare la proposta di grazia in quanto allo stato non sussistono tutte le condizioni richieste''.

Il 3 maggio 2006 la Corte Costituzionale accoglie il ricorso presentato dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sul potere di grazia. I giudici della Consulta dichiarano che non spettava al ministro della Giustizia impedire la prosecuzione del procedimento volto alla concessione della grazia a Ovidio Bompressi. Il potere di grazia, sentenzia quindi la Corte accogliendo il ricorso di Ciampi, spetta esclusivamente al Capo dello Stato.

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