Lloyd Bentsen

Politico − Stati Uniti

Dicono di lui

Un gigante del '900 ricordato solo come autore di una celebrata battuta televisiva

I l 23 maggio è scomparso uno dei giganti della politica americana del XX secolo, asso dell'aviazione durante la II guerra mondiale, finanziere miliardario, senatore, candidato alla Casa Bianca come vicepresidente nel 1988, ministro del Tesoro con Bill Clinton: Lloyd Bentsen, 85 anni.
Ognuna delle fasi della vita di Bentsen avrebbe, da sola, riempito una vita. Lloyd Millard Bentsen junior, figlio di un
rancher del Texas, parlava spagnolo, imparato alla scuola rurale, quando ancora il multiculturalismo non era chic, e per il rampollo di una famiglia danese certamente non comune. Laureato in legge all'University of Texas, nel 1942, dopo Pearl Harbor, Bentsen si arruola come pilota in uno squadrone di bombardieri, guida 50 missioni sull'Europa occupata, viene abbattuto due volte e decorato con la Distinguished Flying Cross. Tornato a casa, fa il magistrato e viene eletto deputato a 27 anni. Vota contro la «tassa elettorale», uno dei trucchi dei bianchi razzisti per non far votare i neri, e saranno pochissimi i parlamentari del vecchio Sud a imitare il suo coraggio. Ma Bentsen ha letto uno dei libri chiave dello spirito americano, l' « Autobiografia » di Benjamin Franklin, dove il patriota ex tipografo raccomanda di diventare ricchi prima di entrare in politica. Così, con un prestito del padre, lancia a Houston, paesone con le strade ancora da asfaltare, la finanziaria Lincoln Consolidated, per vendere assicurazioni al sonnolento Texas, giusto alla vigilia del boom petrolifero. Nel 1970, miliardario negli standard opulenti che la «Dallas» tv popolarizzerà, Bentsen ritorna a Washington, stavolta al Senato, battendo il popolare repubblicano, George W. H. Bush, futuro primo presidente della dinastia Wasp. Appoggia i diritti civili, le riforme sanitaria e pensionistica, le prime leggi sui diritti alle donne. Nel 1988 Mike Dukakis, candidato democratico alla Casa Bianca, lo seleziona come suo vice e, dopo la sconfitta contro George Bush padre, rivincita del 1970, Bentsen conosce ancora gloria, ministro del Tesoro di Clinton, guidando la stagione felice della new economy informatica.
Bene: il lettore che abbia avuto la bontà di seguirmi fin qui medita forse sulla vita del vecchio Bentsen, signore dall'aristocratico tratto scandinavo, elegante, affabile, sempre gentile con noi cronistucci pigiati sugli scalcagnati jet della campagna elettorale. E si chiede come i giornali americani abbiano salutato un simile eroe del loro tempo. Basta un occhio alle banche dati, purtroppo: i titoli di agenzie e quotidiani sono tutti sullo zinger, la battuta fulminea con cui Bentsen liquidò il rivale senatore Dan Quayle, al dibattito tra i candidati vicepresidenti dell'88: a Quayle, inetto principiante scomparso dalla scena nel 1992, che si vantava di essere giovane e affascinante come il mitico presidente Kennedy, Bentsen replicò impassibile «Senatore, io ho lavorato con Jack Kennedy. Conoscevo bene Jack Kennedy. Jack Kennedy era un amico caro. Senatore: lei non è, in nulla, Jack Kennedy». Quayle vinse le elezioni in tandem con Bush padre, ma non si riprese mai dal ko di Bentsen, ridotto a caricatura. La storia è però feroce e oggi tocca a Bentsen essere impalato per sempre a quello scherzo. Niente eroe di guerra, parlamentare, ministro, una vita pantografata a gag, cara ai giornalisti. Giusto? No, sbagliato. Un modo di scambiare il mondo grande e terribile con il teatrino dei media che stucca la gente e la delude. C'è da stupirsi se poi i giornali, ovunque, sono in difficoltà, come discusso ieri in un dibattito del Corriere della Sera con i ragazzi e le ragazze della Bocconi a Milano? No: la vita di nessuno è una battuta, mai. E' bene ricordarsene per non perdere la fiducia di chi legge!
 
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