Carlo Casalegno

Giornalista − Italia

Laureato in legge all'università di Torino, è dapprima pubblicista e insegnate (liceo Palli, a Casale Monferrato nel 1942-1943). Partecipa poi alla lotta partigiana aderendo al Pd'A, dove militano molti degli intellettuali torinesi che con lui hanno studiato al liceo d'Azeglio, e collabora al giornale clandestino Italia Libera. Svolge poi un'intensa attività giornalistica ed entra nella redazione de La Stampa nel 1947. Dal 1968 è vicedirettore del quotidiano torinese. Unendo a interessi di storico uno spirito garbatamente polemico, si occupa di questioni di costume, culturali e politiche. Autore di un saggio su La Regina Margherita (Einaudi, 1956), è anche un profondo conoscitore dei problemi di organizzazione giornalistica (Il Giornale, 1957). Sul finire degli anni Sessanta, all'esplodere della 'strategia della tensione', Casalegno intensifica i suoi scritti d'impegno politico e assume una posizione sempre più definita in favore della legalità, dei diritti dei cittadini, dell'ordinamento dello Stato e contro la violenza e il terrorismo, un impegno civile che lo pone nel mirino dei terroristi. Escono postume le raccolte di suoi scritti, 'Il nostro Stato' (1978) e 'Israele, giustizia e libertà' (1980), testimonianze di impegno culturale e rigore morale.

L' uccisione, una delle molte del periodo definito "anni di piombo", avvenne con lo scopo di intimidire, secondo il gruppo terroristico, tutti coloro che collaboravano con lo stato italiano. Nel documento che rivendica l'assassinio, le BR si riferiscono a una 'risposta, ampia e diffusa, data dai movimenti e dalle formazioni rivoluzionarie di tutta l'Europa all'assassinio di Andreas Baader, Gudrum Enslin e Jean Carl Raspe, avvenuto il 18 ottobre 1977 nel carcere di Stammhein (Germania)'. Ma le motivazioni più proprie vanno ricercate nell'intransigente orientamento del giornale contro il terrorismo, orientamento che aveva nel vicedirettore il più strenuo sostenitore. Casalegno, pur rifiutando sempre decisamente qualsiasi forma di lotta armata clandestina, era un coerente difensore della legalità. Il 4 maggio 1977, ad esempio, così scriveva commentando la sospensione del primo processo contro le BR: "La legge e i principi stessi della convivenza civile hanno subito nella giornata di ieri un'altra sconfitta. S'infittiscono i segni di sgretolamento dello Stato. A Torino, il maggior processo indetto finora contro i brigatisti rossi è finito prima di cominciare: dopo la fuga in massa dei giurati, la Corte ha constatato l'impossibilità di costituire il collegio giudicante e rinviato il dibattito a nuovo ruolo…Miopi calcoli, negligenze, paura danno spazio crescente all'illegalità".

 
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