Indro Montanelli

Giornalista − Italia

Indro Montanelli (Fucecchio, Firenze, 22 aprile 1909 - Milano, 22 luglio 2001) fu un celebre giornalista e divulgatore storico italiano.

Montanelli si laureò in giurisprudenza a Firenze, un anno prima della durata normale dei corsi, con una tesi sulla riforma elettorale del fascismo in cui v'era sostenuto che si trattava puramente di una abolizione delle elezioni, ottenendo come valutazione centodieci e lode. Successivamente frequentò uno stage a Grenoble in scienze politiche e sociali. Debuttò su Il Selvaggio di Mino Maccari, un quindicinale di cinquecento copie i cui autori, pur fascisti, furono fra i primi a rompere con il coro conformista del regime. Nel 1932 collaborò all'Universale di Berto Ricci, con una diffusione di circa millecinquecento copie.

Esordì come giornalista di cronaca nera nel 1934 a Parigi, al Paris soir. Fu poi mandato come corrispondente in Norvegia, da lì in Canada e poi assunto alla United Press negli Stati Uniti, continuando anche nella collaborazione con il Paris soir. In questo periodo intervistò il magnate Henry Ford, facendone un ritratto molto originale. Si propose come inviato in Etiopia, ma l'agenzia non acconsentì, e così volle partire volontario verso l'Abissinia, preso dagli ideali fascisti, come comandante di un battaglione di Ascari. Qui iniziò a dubitare del regime constatando le incapacità, la disorganizzazione dell'esercito, l'abbondanza di medaglie futili e vane.

Tornato in Italia, ripartì per la guerra civile spagnola, corrispondente per il Messaggero, dove le sue posizioni contro il regime si radicalizzarono. L'aver pubblicato un articolo sulla battaglia di Santander in cui la definì una passeggiata, con unico nemico il caldo, considerata offensiva dell'onore delle forze armate, gli costò l'esclusione dall'albo dei giornalisti, il rimpatrio e la sospensione dal Partito fascista. Mentre la sua simpatia per gli anarchici spagnoli lo portò ad aiutare uno di loro (accompagnandolo fuori frontiera). Un gesto che verrà ricompensato da El Campesino, capo anarchico della 46° divisione nella Guerra di Spagna, con il dono di una tessera del partito anarchico, di cui Montanelli si sarebbe fregiato per tutta la vita.

La presa di posizione contro il fascismo lo portò ai primi seri dissidi. Rifiutò la tessera del partito; così, per evitare il peggio, Giuseppe Bottai prima gli trovò in Estonia un lettorato di italiano nell'università di Tartu, poi lo fece nominare direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Tallinn. Ritornato in Italia, la sua rottura col Partito fascista si fece manifesta; ricevette sostegno dal Corriere della Sera, che lo assunse nel 1938, per occuparsi di articoli di viaggi e letteratura, con l'intenzione di porlo lontano da temi politici.

Fece il reporter in giro per l'Europa, in Albania, in Germania, dove si parla di un leggendario incontro con Hitler, come egli stesso ebbe modo di raccontare nel libro intervista-biografica Il testimone; in Germania rimase fino allo scoppio della guerra. Si spostò quindi al fronte: assisté all'invasione della Polonia e della Norvegia ad opera dei tedeschi e dell'Estonia ad opera dei russi. In Finlandia ebbe da raccontare il tentativo d'invasione della Russia e nei suoi articoli traspariva una certa propensione per la causa finlandese.


La scultura di Vito Tongiani dedicata a Indro Montanelli ai Giardini pubblici, MilanoCon l'entrata in guerra dell'Italia, Montanelli venne mandato in Francia e nei Balcani e poi avrà assegnato il compito di corrispondente dalla Grecia, per seguire la campagna militare italiana. Qui racconta di aver scritto poco, per malattia e per consternazione di fronte alle necessità di propaganda del regime rispetto ai seri danni subiti dall'esercito italiano.

Finite le corrispondenze dal fronte, di nuovo in Italia, si sposò con Maggie De Colins De Tarsienne, un'austriaca, nel 1942. Nel 1943 visse lo sfascio dell'8 settembre e si associò a Giustizia e Libertà, il movimento partigiano. Divenne ricercato, e, scoperto dai tedeschi, fu incarcerato e condannato a morte. Dall'esperienza trascorsa nella prigione di San Vittore trasse ispirazione per il racconto Il generale Della Rovere, da cui Roberto Rossellini realizzò un film che venne premiato con un Leone d'oro a Venezia. Uscì da San Vittore per intercessione del cardinale di Milano Ildefonso Schuster, scoprendone l'aiuto solamente molti anni dopo, grazie all'aiuto di uno dei suoi lettori.

Dopo il termine della guerra, iniziò ad occuparsi per il Corriere della sera particolarmente di articoli di terza pagina e con Storia di Roma nel 1957 iniziò la scrittura di una serie di volumi sulla storia d'Italia che divennero molto popolari. La sua attività di reporter lo portò a Budapest, nel 1956, durante l'invasione dei carri armati russi. La repressione sovietica gli ispirò la trama di un'opera teatrale, in seguito trasformata anche in un film, I sogni muoiono all'alba (1960), di cui curò anche la regia.

Tra le sue amicizie, si annoverano personaggi fondamentali nella cultura italiana dell'epoca, tra cui Leo Longanesi e Dino Buzzati.

Dichiaratamente anticomunista, anarco-conservatore (come amava definirsi), i suoi atteggiamenti intransigenti e controcorrente, gli valsero negli anni '70-'80 l'etichettatura di "fascista", da parte delle sinistre, in cui egli vedeva, in quegli anni, un pericolo incombente, in quanto foraggiate dall'allora superpotenza sovietica.

Con la direzione di Piero Ottone del Corriere della Sera, iniziata nel 1972, dopo tanti anni di collaborazione Montanelli si sentì un estraneo e si dimise polemicamente nell'ottobre del 1973. La nuova linea del quotidiano di via Solferino, vicina alle posizioni radicalchic, lo portarono quindi a fondare un suo quotidiano, Il Giornale Nuovo, in seguito chiamato semplicemente Il Giornale. Lo seguirono molti colleghi che, come lui, non condivisero il nuovo clima del Corriere, per questo Piero Ottone ebbe a dire che Montanelli si stava portando via "l'argenteria di famiglia".

Col Giornale, che sin dal principio concepì come una testata d'opinione, Montanelli ebbe l'opportunità di rappresentare con maggiore evidenza le sue posizioni, sempre poco conformiste e spesso originalissime; in guisa di interlocutore esterno alla politica, non schierato se non su orientamenti di massima e fautore di una destra ideale, si inserì nel dibattito politico, contribuendo alla creazione della figura dell'opinionista politico di provenienza giornalistica.

Dinanzi alla crescita, che egli considerò pericolosa, del Partito Comunista Italiano, restò celebre la sua sollecitazione elettorale in favore della Democrazia Cristiana: "turiamoci il naso e votiamo DC".

Fu vittima, nel 1977, di un attentato delle Brigate Rosse, che gli spararono contro quattro colpi, prendendolo due volte alle gambe (secondo una pratica definita "gambizzazione") mentre si stava recando, come ogni mattina, al giornale. Secondo la rivendicazione dei terroristi, perché "schiavo delle multinazionali". Il Corriere gli dedicò un articolo omettendo il suo nome nel titolo ("Milano [...] un giornalista è stato colpito [...]").

Il Giornale conquistò un pubblico fedele negli anni, ma le crisi di bilancio non tardarono a farsi sentire, ma nel 1977 accettò l'offerta di finanziamento di Silvio Berlusconi, allora giovane imprenditore milanese, che ne divenne così l'editore. Il loro sodalizio durò fino al 1993, quando l'entrata in politica di Berlusconi generò i primi dissidi fra i due, con la conseguenza di dover abbandonare e poi di disconoscere il giornale da lui fondato, il quale, sotto la direzione di Vittorio Feltri, cambiò radicalmente la sua linea editoriale. Non ritenendo di poter accettare la direzione del Corriere della Sera offertagli da Paolo Mieli e Gianni Agnelli, decise di fondare una nuova testata insieme agli altri quaranta giornalisti dimissionari, La Voce, nome che scelse in omaggio a Giuseppe Prezzolini.

La nuova impresa tuttavia non ebbe vita lunga, non riuscendo ad ottenere nel tempo un sufficiente volume di vendite, nonostante un esordio di 400.000 copie. Come egli stesso ebbe modo di dire, La Voce si proponeva un fenomeno troppo ambizioso: nella sua idea iniziale la nuova testata doveva essere un settimanale, o un mensile, sul modello de Il Mondo di Mario Pannunzio (di conseguenza la progettazione della "terza pagina", la sezione culturale, risultò particolarmente curata), ma il numero di giornalisti alle sue dipendenze lo spinsero verso un quotidiano. Tra questi un giovane Beppe Severgnini, ora giornalista e scrittore di fama internazionale.

Dopo la chiusura della Voce, tornò così a lavorare per il Corriere della Sera, per curare la pagina di colloquo coi lettori, la "Stanza di Montanelli", posta in chiusura del giornale.

Da molti considerato il più grande giornalista italiano, il suo lavoro giornalistico fu riconosciuto e premiato anche all'estero (Premio Principe delle Asturie 1996 in Spagna, una decorazione in Finlandia, dagli Stati Uniti gli arrivò il riconoscimento annuale come miglior giornalista internazionale). È stato autorevole cronista della storia italiana ed ha intervistato personaggi come Winston Churchill, Charles de Gaulle, Luigi Einaudi, Papa Giovanni XXIII.

La sua prassi giornalistica fu influenzata dal praticantato che fece in America, tenendo presente ciò che gli aveva detto il direttore del giornale di allora, vale a dire che ogni articolo deve poter essere letto e capito da chiunque, anche dal "lattaio dell'Ohio". Divenne membro onorario dell'Accademia della Crusca, per la quale si batté, sulle pagine del Giornale, cercando di coinvolgere direttamente i suo lettori, così che uno dei più antichi e importanti centri di studio sulla lingua italiana non scomparisse. Nel 1991 Francesco Cossiga, presidente della Repubblica, gli offrì la nomina a senatore a vita, ma Montanelli non la volle accettare, sostenendo che un giornalista dovrebbe stare a distanza di sicurezza dal potere, a garanzia della sua completa indipendenza.

Montanelli, negli ultimi suoi anni, si distinse per la posizione profondamente critica assunta nei confronti del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, il suo ex editore, ritenuto gravemente antidemocratico, propenso alla menzogna, autore di un progetto politico che, diversamente da come veniva descritto, con la destra non avesse niente a che fare. Intendeva mettere in guardia gli italiani, ricordando la pericolosità di un nuovo "uomo della provvidenza" capace di risolvere tutti i problemi, facendo notare, riferendosi a Benito Mussolini, che ne avesse già conosciuto uno in passato e che gli fosse bastato. Fra le sue considerazioni più note, quella fatta poco tempo prima dell'elezioni politiche del maggio 2001, quando, ritenendo Berlusconi vicino alla vittoria elettorale, lo paragonò ad una malattia e disse che l'Italia ne sarebbe guarita, similmente all'azione di un vaccino, in seguito al suo esercizio del potere.

Due mesi dopo si spense a Milano nella clinica de La Madonnina (lo stesso posto dove 29 anni prima morì un'altra figura del Corriere, Dino Buzzati). Il giorno seguente il direttore del Corriere della Sera rese pubblico in prima pagina, scritto dallo stesso Montanelli poco prima di morire, il suo necrologio, prendendo così congedo dai suoi lettori, ringraziandoli dell'affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito.

Il suo amico-nemico Eugenio Scalfari lo ha definito "Anarchico e guascone", più simile a Cirano che a Don Chisciotte: "Montanelli non ha mai combattuto contro i mulini a vento scambiandoli per minacciosi giganti, gli avversari che di volta in volta si sceglieva rappresentavano potenti realtà politiche o economiche, che Indro studiava con molta cura prima di muoverne all'attacco. Ne misurava la forza, ne coglieva il punto debole e lì sferrava il colpo". Enzo Biagi ricorda il suo legame con il lettore: "era il suo vero padrone. E quando vedeva lo strapotere di certi personaggi, si è sempre battuto cercando di rappresentare la voce di quelli che non potevano parlare".

 
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