Da Corriere della Sera del 18/03/1978

Le due debolezze

di Alberto Ronchey

Una debolezza delle forze che si oppongono al terrorismo è la primaria e sorda inefficienza degli apparati di Stato, della quale ora cadono vittime gli stessi rappresentanti dello Stato. Una tale debolezza è dovunque, ma riaffiora nei dettagli più elementari, come il caso di Aldo Moro e della sua scorta privi di quelle automobili blindate che ormai ogni piccolo industriale di provincia possiede. Niente giubbe antiproiettile efficaci, la scorta come bersaglio. E il grande crimine politico era nell'aria. "Che cosa potevano colpire - ha osservato La Malfa alla Camera - più in là di quello che hanno colpito? Il traguardo a cui si mirava per colpire lo Stato è raggiunto. A me pare di poter dire che c'è quasi l'espressione di un tragico dileggio nei nostri confronti". E' l'ora di capire che in ogni aspetto del dissesto italiano, dall'ordine pubblico alla giustizia e dall'economia all'istruzione pubblica, si nasconde una cronica debolezza sentimentale per la inefficienza, per la nebulosità dei processi razionali, per il rifiuto a commisurare mezzi e fini, che si ammantano di permissività e provvidenzialismo, come di bonomia e vittimismo. E l'inefficienza, l'autoindulgenza, il difetto di lucidità, scrupolo e rigore, non sono dati accidentali ma fatti morali. Operare o no secondo coscienziosità è cosa di ordine morale, non solo perché - come oggi è manifesto - di inefficienza si muore. Questionare e teorizzare senza fine su temi astratti e generali, trascurando i doveri particolari, questo è propriamente alienazione collettiva. E' lasciarsi decapitare, mentre la stessa temuta efficienza del terrorismo non è che la proiezione capovolta dell'alto grado di confusione comune. Un'altra debolezza è la difficoltà o il rifiuto di capire la natura effettiva del fenomeno terrroristico. E quando non si sa bene chi c'è di fronte è difficile isolarlo con ogni mezzo psicologico e materiale. "Si tratta di qualcosa di più grosso delle Br, per questo dobbiamo scioperare", avvertivano ai cancelli di Mirafiori. E' la congettura che l'Italia sia "campo d'avventura di servizi segreti e loschi interessi", benché sia certo solo che i terrorismi collaborano tra loro, passando sopra e sotto le frontiere. Che altro? Nessuno può escludere che un'oscura regia per oscuri disegni abbia influito, almeno occasionalmente, sul terrorismo italiano. Ma come spiegare i 2128 episodi del '77? Nessun servizio segreto straniero può esporsi su scala così vasta, senza che i gruppi armati sappiano di trattare con la Cia o il Bnd, oppure i Kgb, i cubani, Gheddafi. E' impossibile manipolare come strumenti inconsapevoli singole persone, al modo in cui il comunista Marinus van der Lubbe venne usato dai nazisti per l'incendio del Reichstag, ma questo non è possibile su larga scala. E i brigatisti noti, a centinaia tra prigionieri e latitanti sono di sinistra, le loro biografie sono di sinistra. Per una tendenza cospicua dell'opinione, la stessa efficienza spietata dei terroristi sarebbe prova che dietro c'è una mano straniera. Sono efficienti, dunque stranieri o diretti da stranieri. A questo è giunta l'alienazione collettiva, anche se un'imboscata come quella messa in atto contro Aldo Moro non è difficile per un gruppo addestrato in anni di prove e disciplina cospirativa, come non fu difficile il rapimento di Aramburu per opera dei Monteneros in Argentina. Ma con la credulità verso i miti del terrorismo, si allinea anche la tendenza a spiegare i fatti secondo una convenienza politica di parte. A chi giova, domandano per esempio da sinistra, catturare l'uomo politico sul quale si regge l'accordo laborioso tra democristiani e comunisti? Ma può giovare a chiunque voglia destabilizzare la società italiana, per una ragione o per la ragione opposta. Sono semplici congetture. Sul terreno dei fatti, rimane anzitutto da confermare o smentire che il controspionaggio avesse già segnalato la presenza di alcuni brigatisti in Cecoslovacchia, come si legge nella più documentata cronistoria del terrorismo italiano. A chi giova? La tendenza a rispondere con sicurezza, per una convenienza politica, ripete la stessa fallace logica secondo la quale nel '74 il procuratore Mario Sossi sarebbe stato rapito non già dalle Br ma da agenti procuratori interessati a far vincere il referendum a Fanfani. Invece erano le Br, come fu indubitabile quando la registrazione su nastro del processo clandestino venne trasmessa ai giornali. E a chi ha giovato in Germania senza che nessuna difficile operazione politica fosse in corso, uccidere il procuratore generale Buback, il banchiere Ponto, il presidente degli industriali Schleyer? Chi c'è dietro i terrorismi ideologici radicali della Germania e del Giappone, meno estesi ma simili a quello italiano? E chi dietro ai terrorismi etnico religiosi o nazional separatisti dell'Ulster, del Medio Oriente, della Spagna basca, del Quebec, della Croazia o delle Molucche? Ognuno di questi movimenti può avere avuto ispirazioni e finanziamenti, occasionali o periodici, ma non tale da spiegare la complessità dei fenomeni. Il fatto è che dall'epoca in cui Burke nominava per la prima volta i terroristi poco meno di due secoli fa ("quelle migliaia di segugi dell'inferno chiamati terroristi") costoro si sono moltiplicati fra le contraddizioni e le conflittualità del mondo contemporaneo, si avvalgono di tutte le tecniche del nostro tempo, e la pericolosità di ogni variante è commisurata alla debolezza dello Stato in cui la ribellione affonda le sue radici. In Italia, con o senza interferenze straniere, il terrorismo affonda le sue radici nelle piazze in tumulto, nelle violenze di fabbrica, nelle rivolte carcerarie ideologizzate, nelle periferie urbane dei sottoproletari sradicati, nel collasso delle scuole, nel vuoto aperto a sinistra dopo la svolta del Pci, fra governi troppo impotenti e ideologie troppo promettenti. Il programma delle Br è dichiarato in ogni documento, con l'ostinazione dell'estremismo del pensiero che non è inferiore a quello dei mezzi: attivare un processo catalitico di reazioni a catena, fino alla guerra civile rivoluzionaria. Si deve prendere atto che tale è il programma, anche se può condurre non solo a un fascismo, ma a un nazismo o a uno stalinismo. Ciò che dicono non va interpretato con gli espedienti o i raggiri dell'opportunismo politico. E ciò che fanno va fronteggiato con meditate azioni, respingendo le incontrollabili emozioni. Potrebbe ripetersi davvero quanto un giornale di Welmar aveva previsto prima del nazismo con queste parole: "Il tumulto selvaggio dei nostri giorni di barbarie , delle quali presto o tardi saremo le vittime", significa un terribile strascico di emozioni.

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