Da Corriere della Sera del 05/04/1978

Editoriale

Una lettera dall'inferno

Dopo la lettura del messaggio di Moro a Zaccagnini e dei commenti delle Brigate rosse che lo accompagnano, una considerazione si impone con sofferta ma necessaria fermezza. Al di là di tutto ciò che è stato detto e ribadito in queste giornate (che non si può trattare con i terroristi perché non sono nemmeno una minoranza, perché sono fuori di ogni legge e perché non si può considerare antagonista dello Stato un esiguo gruppo che agisce nell'ombra), va aggiunto, anche dal punto di vista del più freddo pragmatismo, che ogni remota ipotesi di approccio è caduta. Le Brigate annunciano, infatti, il passaggio da un "processo di guerra civile strisciante" a "un'offensiva generale, diretta da un disegno unitario". Il che significa che nessuna trattativa, nessun umanitario cedimento potrebbe fermare una dichiarata strategia che ha per obiettivo la morte di altri uomini e la fine delle istituzioni democratiche. Del resto, come ha lucidamente ricordato Andreotti alla Camera, tra gli applausi di tutti i deputati, "quale mai patteggiamento potrebbe essere tollerato - oltre che inibito dalla coerenza della nostra identità costituzionale - verso gente le cui mani grondano del sangue di Coco e della sua scorta, di Croce, di Palma, di Berardi, di Casalegno e di altre cinque vittime di via Fani?". Forse le Brigate rosse non si rendono conto del carattere spaventoso di documenti che ha questa sequenza di messaggi: un documento ormai in più capitoli che è tutto contro di loro e rivela come, al di là delle farneticazioni ideologiche, ci sia un piano distruttivo che finirebbe con il coinvolgere ogni cittadino. La prima reazione della Democrazia cristiana è stata: "Questa lettera non è moralmente ascrivibile a Moro". Le Brigate rosse ci fanno infatti assistere alla demolizione di un uomo che racconta il diario allucinante del proprio annientamento fisico, psichico e morale. Taluni argomenti della sua lettera sono assai più sconvolgenti che persuasivi. Se Moro li ha usati, vuol dire che egli è convinto che i suoi carcerieri e i suoi inquisitori non intendono aspettare a lungo. Purtroppo, "il tempo corre veloce". Tuttavia lo sconforto e la disperazione non lo hanno ancora del tutto distrutto. Il prigioniero si dice pronto a raccogliersi "con Iddio, i miei cari e me stesso" rivelando ancora una volta il tranquillo coraggio con cui è pronto ad affrontare anche un atroce destino. La giustizia è un sentimento profondo, innato nella coscienza popolare. Questo sentimento si sveglia sempre di più in tutti , e inesorabilmente isola, più di quanto già non siano, i terroristi nella loro visionaria aspirazione di trascinare il paese nel caos. Mancano pochi giorni a quel 25 aprile che segnò per l'Italia il ritorno alla libertà e alla democrazia. Abbiamo resistito al fascismo e al nazismo degli anni Quaranta: la Repubblica, nata dalla Resistenza, ha in sé energie e riserve sufficienti per resistere e sconfiggere il terrorismo degli anni Settanta.

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