Da Corriere della Sera del 01/05/1978
Perché non credere alle sue lettere?
di Claudio Martelli
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Alcune osservazioni contenute nell'articolo di ieri di Gaetano Scardocchia sulla lettera di Moro ("costretto a trasmettere verso l'esterno solo quei messaggi che obiettivamente coincidono con l'interesse dei suoi carcerieri"; "è inutile cercare di stabilire se Moro vuole davvero le cose che scrive. L'importante è che lo vogliano le Brigate Rosse, altrimenti non recapiterebbero le sue lettere") fanno riflettere. Sin dall'inizio una sorta di disposizione all'incredulità ha accompagnato la disposizione all'intransigenza esibita da molte parti, giornalistiche e politiche. L'incredulità riguardo le lettere di Moro è andata crescendo sino a tramutarsi in ostilità, in rapporto al carattere vieppiù angosciato di ciò che scrive il presidente della Dc ed al crescere delle critiche nei confronti delle forze politiche maggiori, segnatamente rivolte al ristretto gruppo dirigente della Dc che ha seguito l'evolversi del caso. Non doversi prendere in seria considerazione le lettere di Moro è stata la consegna del Pci; consegna suffragata da autorevoli pareri di amici del prigioniero, dell'ambiente accademico e non, che hanno contestato lo "spirito moroteo" dei testi. Costoro sembrano più preoccupati della "memoria" di Moro che non della sua vita, e si disputano l'interpretazione di uno stile e di una vita che non è ancora perduta. Giornalisti e grafologi non si sa quanto improvvisati hanno dissertato non sulla autenticità della calligrafia che tutti riconoscono, ma sulla "pendenza" e sulle "cancellature" e "correzioni" per ricavare stampelle alla tesi della "inautenticità sostanziale". Come la metafisica anche la metagrafologia soccorre chi non ha argomenti. Insomma si dice, le lettere sono di Moro ma non bisogna prestar loro fede perché scritte da un uomo in cattività e sottoposto a condizionamenti di ogni genere. Belle scoperte! E chi non lo sapeva? Più di chiunque sembra aver temuto questo pericolo lo stesso Moro. Il quale ha scritto sin dalla prima lettera a Zaccagnini: "Tengo a precisare di dire queste cose in piena lucidità e senza aver subìto nessuna coercizione nella persona; tanta lucidità almeno quanta può avere chi è da quindici giorni in una situazione eccezionale, che non può avere nessuno che lo consoli, che non sa che cosa lo aspetti. Ed in verità mi sento un po' abbandonato da voi". Ma è soprattutto nell'ultima lettera alla famiglia che Moro esprime quasi indignazione per questa incredulità. "E' vero (Moro, si osservi, replica direttamente a chi dubita della autenticità delle sue lettere): io sono prigioniero e non sono in uno stato d'animo lieto. Ma non ho subìto nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono si dice "un altro" e non merito di essere preso sul serio. Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E devo dire che mi ha profondamente rattristato (non l'avrei mai creduto possibile). Il fatto che alcuni amichi, da monsignor Zama, all'avvocato Veronese, a G. B. Scaglia e ad altri, senza né conoscere né immaginare la mia sofferenza non disgiunta da lucidità e libertà di spirito, abbiano dubitato della autenticità di quello che andavo sostenendo come se io scrivessi sotto dettatura delle Brigate rosse, perché questo avallo alla mia pretesa non autenticità? Ma tra le Br e me non c'è la minima comunanza di vedute. E non fa certo identità di vedute il fatto che io abbia sostenuto fin dall'inizio (e come ho dimostrato, molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, una scambio di prigionieri politici". Perché non leggere le lettere di Moro come quelle di un prigioniero lucido anche se disperato anche perché oramai da 45 giorni si sente abbandonato? Capisco che è più comodo pensare come sinora si è fatto, più semplice ancora non pensare affatto, presto qualcuno dirà che è meglio non leggerle, e magari, non pubblicarle neppure. E' più comodo ma non è giusto. E poi, fosse anche Moro minorato e minorato nello spirito, questo giustificherebbe di più o di meno un'attitudine ad abbandonarlo al suo destino, cioè ai suoi carnefici? Non siamo di fronte ad un affare di spionaggio, di contraffazioni, di banali raggiri. Se alle lettere di un prigioniero che tutti riconoscono autentiche notiamo ogni capacità di documentarsi delle volontà del prigioniero stesso, è come se estendessimo all'infinito le mura del suo carcere. Se in coerenza al rifiuto di stabilire ogni contatto con i terroristi rifiutiamo il contatto con Aldo Moro, anche il contatto passivo che deriva dall'attenta e intelligente lettura delle sue lettere, è come se lo spingessimo più a fondo e più nel buio nella cella in cui è stretto. Ma ogni volta che scrive Moro dimostra almeno una cosa: che è vivo e che vuol vivere nonostante qualcuno l'abbia invitato al suicidio. Se un appello alla ragione vale ancora per qualcuno almeno, di fronte ad una vita umana in pericolo proviamo a ragionare secondo un'ottica diversa da quella di chi, ormai, semplicemente e direttamente, attribuisce le lettere di Moro alle Br. Né più né meno le vittime dei processi staliniani e poi negli anni seguenti i dissenzienti o venivano piegati o plagiati fino all'autoaccusa o le loro parole venivano presentate come deliri e con l'ipocrita imbarazzo che si assume di fronte ai pazzi. Ora, in Italia, Moro ci dice "si deprecano i "lager" ma come si tratta civilmente un prigioniero che ha solo un vincolo esterno, ma l'intelletto lucido?". A convincerci della validità di un ottica diversa nel valutare le lettere non sono solo i ragionamenti giuridici che qualcuno può respingere ma che non sono privi di peso né attribuibili alla logica delle Br: "La dottrina per la quale il rapimento non deve recare vantaggi, discutibile già nei casi comuni, dove il danno del rapito è estremamente probabile, non regge in circostanze politiche dove si provocano danni sicuri e incalcolabili non solo alla persona ma allo Stato". Il costante riferimento al comportamento di "altri stati in circostanze analoghe di fronte al problema della salvaguardia della vita umana innocente". Il discutibile ma acuto rilievo dei vantaggi e degli svantaggi dello scambio: "E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza, ma vivo, l'altro viene ucciso. In concreto lo scambio giova ( ed è un punto che mi permetto sottoporre umilmente al Santo Padre) non solo a chi è dall'altra parte, ma anche a chi rischia l'uccisione, alla parte non combattente, in sostanza all'uomo comune come me. Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina se, una volta tanto, un innocente sopravvive e, in compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso è tutto qui". Anche il carattere delle ammonizioni politiche che certamente insieme a tristi allusioni personali avrà fatto l'amor proprio di qualcuno, merita un'attenzione non superficiale come quella che gli si è prestata: "Capisco come un fatto di questo genere, quando si delinea, pesi, ma si deve anche guardare lucidamente al peggio che può venire"; "se così non sarà ( cioè se la Dc non assumerà un'iniziativa positiva) l'avrete voluto e lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco".... "Se questo crimine fosse perpetrato si aprirebbe una spirale terribile che voi non potreste fronteggiare. Ne sarete travolti. Si aprirebbe una spaccatura con le forze umanitarie che ancora esistono in questo paese. Si aprirebbe, insanabile, malgrado le prime apparenze, una frattura nel partito che non potreste dominare... Se la Dc fallisse ora sarebbe per la prima volta. Essa sarebbe travolta dal vortice e sarebbe la sua fine". E ancora: "Se voi non intervenite sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d'Italia. Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul paese. Pensateci bene, cari amici. Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopodomani". "...Se la pietà prevale il paese non è finito". "Non creda la Dc di aver chiuso il suo problema liquidando Moro. Io ci sarò ancora come punto irriducibile di contestazione e di alternativa per impedire che della Dc si faccia quello che se ne fa oggi". Moro non dice che questo accadrà in ogni caso, teme che accadrà nel caso in cui la Dc lo abbandoni. Se fosse vero che ogni messaggio per il solo fatto di essere recapitato dalle Br coincide con il loro interesse dovremmo pensare che le Br temano lo sfascio della Dc e del paese che secondo Moro deriverebbe dal suo eccidio? Ma le Br non compiono massacri proprio allo scopo di sfasciare il paese? Ecco a quali paradossi, a quale groviglio indistricabile di calcoli e di presunzioni sul futuro politico ci conduce il rifiuto e quasi il disprezzo per ciò che Moro scrive. Un disprezzo che finirebbe con l'assomigliare a quello che della vita e delle opinioni di Moro hanno le Br che sin dal primo messaggio misero bene in chiaro doversi attribuire al prigioniero e non a se stesse gli appelli disperati e i sofferti ragionamenti del presidente della Dc.
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