Da Lotta Continua del 14/04/1978
Né con le BR né con lo Stato. E poi?...
di Marco Boato
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Dopo Roma e Milano: sviluppare la discussione e l'iniziativa politica di massa. Ancor più che nella fase precedente (20 giugno, movimento del '77, convegno di Bologna, uccisione di Crescenzio, prima, e Casalegno poi), dopo il rapimento di Aldo Moro e il massacro della sua scorta a Roma, e dopo l'assassinio di Fausto e Jaio e il loro straordinario, imponente funerale a Milano, si è accentrata su Lotta Continua una attenzione spasmodica, perfino morbosa, da parte di una schiera innumerevole di “osservatori”. Quello che viene scritto quotidianamente sul nostro giornale viene analizzato e “vivisezionato” con la cura di una équipe di specialisti. Gli “esegeti” di professione emettono pressoché ogni giorno il loro verdetto: e c'è chi ci paragona a De Carolis e chi ci denuncia, nonostante tutto, come “simpatizzanti” delle BR; c'è chi ci ritiene idealisti e opportunisti per il nostro “umanitarismo”, e chi ci considera avventuristi e militaristi, solo perché ci rifiutiamo drasticamente di allinearci con quella gigantesca operazione di “pacificazione sociale” che coincide col massimo di militarizzazione statuale. L'iniziativa di massa (oltre le difficoltà, il disorientamento e le contraddizioni delle prime ore di sabato notte) dopo lo spietato assassinio di Fausto e Jaio a Milano, la rottura dell'infame cordone sanitario di menzogne e calunnie che tutto il quadro istituzionale aveva tentato di costruirci attorno ai loro cadaveri di giovanissimi compagni del movimento, l'eccezionale partecipazione di massa e di classe ai loro funerali, dopo l'indegno e cinico comportamento soprattutto del PCI e della CGIL, hanno segnato - ma pagato ad un prezzo umanamente intollerabile - l'inizio di una svolta decisiva e profonda nella presenza e nell'iniziativa del movimento rivoluzionario dentro rapporti di forza e un quadro istituzionale drasticamente condizionato da tutto ciò che si muove attorno al rapimento di Moro (la prosa - letteralmente da voltastomaco - di G.F. Borghini sulla prima pagina de l'Unità di venerdì 24 marzo ne rappresenta, paradossalmente e vergognosamente, un sintomo, di cui però avremmo fatto volentieri a meno). Ma credo sia necessario non farsi facili illusioni sulla situazione politica e di classe attuale. Bisogna riprendere con forza il dibattito e l'iniziativa politica di massa - dall'interno delle contraddizioni che attraversano tutti i movimenti di classe e gli strati proletari - senza tentare di “esorcizzare” alcuno dei problemi che abbiamo di fronte oggi, a partire dal rapimento di Moro. I “primi risultati del rapimento di Moro” In primo luogo, dobbiamo “ringraziare” le BR della colossale accelerazione del processo di trasformazione autoritaria dello Stato, di creazione di una “democrazia protetta”, di costruzione di un vero e proprio Stato di polizia, a cui stiamo assistendo ormai con una possibilità e capacità pressoché minima - nei tempi brevi, quotidiani, in cui si sta realizzando - di intervento antagonistico. Ho scritto “accelerazione”, perché non sono certo le BR (né le altre organizzazioni “terroristiche” minori) la causa prima e principale di questo processo, che fonda le sue radici nel rapporto tra le gestione capitalistica della crisi dei rapporti di produzione e ristrutturazione degli apparati di repressione e di consenso dello Stato, in un sistema economico e politico-sociale, come quello italiano, dove permane nonostante tutto un irriducibile antagonismo di classe. Tuttavia le azioni delle BR - e delle altre organizzazioni terroristiche “di sinistra” - non solo hanno accelerato questa trasformazione autoritaria e sostanzialmente annullato (o enormemente ridotto) le contraddizioni all'interno dello schieramento borghese e revisionista, e perfino anche in ampi settori proletari e popolari, ma hanno per la prima volta fornito a questo processo reazionario quella “legittimazione” ideologica, quel consenso sociale di cui era sostanzialmente privo. Dobbiamo “ringraziare” le BR di questa rivoltante “santificazione” della DC e del suo trentennale apparato di potere; di questo varo plebiscitario (dai fascisti-legalitari di Democrazia Nazionale al PCI e alla Sinistra Indipendente, cosiddetta) di uno dei più indecenti e sputtanati governi democristiani che la storia ricordi (per non risalire agli anni '50, l'unico paragone è proprio il governo “extraparlamentare” di Andreotti - anche allora “monocolore DC” - che preparò le elezioni anticipate del 1972); di questa messa in “stato d'assedio” permanente (per settimane, mesi: chi lo sa? a chi lo dobbiamo chiedere: al Governo o alle BR, o a tutt'e due contemporaneamente?) di Roma e progressivamente di mezza Italia; di questa promulgazione, a tempi di record, della più infame infornata di leggi eccezionali e liberticide dai tempi del fascismo; di questo ingresso di massa nella mentalità della “gente” (uso volutamente un termine interclassista) della ideologia della “pena di morte” (non la pagheranno, se non in casi eccezionali, i “clandestini” della lotta armata, ma centinaia di compagni, di proletari, o magari di “piccoli delinquenti”: un massacro già in atto, ma che verrà ora moltiplicato). Nessuno obietti che tutto ciò non è opera delle BR, ma dello Stato: lo sappiamo benissimo (e prescindo, volutamente in questo intervento, dall'analizzare la questione - tutt'altro che irrilevante - della provocazione organizzata, del ruolo dei servizi segreti, dei collegamenti internazionali, che va affrontata specificamente). Ed è proprio perché lo sappiamo benissimo - e abbiamo impegnato tutti noi stessi (alcuni compagni sono morti, per questo) per denunciare, contrastare e tentare di rovesciare queste tendenze, queste realtà - che dobbiamo denunciare con la massima forza chi finge di non saperlo o di poterlo ignorare, o, peggio ancora, chi pensa che tutto ciò sia inevitabile: finché queste parole hanno ancora un senso, essere marxisti rivoluzionari è esattamente l'opposto di essere imbecilli suicidi (oltre che omicidi). Lo Stato borghese “fa il suo mestiere”, e da parte nostra non ci può essere il minimo cedimento nell'analisi, nella denuncia, nella lotta. Ma neppure il minimo cedimento nell'analisi, nella denuncia, nella lotta contro chi farnetica di “colpirlo al cuore” nel momento stesso in cui lo rafforza, lo ricompatta, lo legittima nei suoi peggiori aspetti reazionari e antiproletari. La questione del terrorismo: “non si può processare la rivoluzione”? E' vero: la rivoluzione non si può processare. Ma il problema non è questo, se non per chi ha voglia di fantasticare. Si tratta di capire se il terrorismo “di sinistra”, oggi, e in particolare la teoria e la pratica delle BR hanno qualcosa a che fare con la rivoluzione comunista. Secondo me, no: assolutamente niente. Per usare una espressione tanto cara ai loro testi “ideologici”, si tratta di una teoria e di una pratica assolutamente “controrivoluzionaria” (anche se questo termine non mi piace). Ma soltanto l'analfabetismo di ritorno di S. Corvisieri (che non capisco perché non sia indotto a rimettere un mandato che non gli è stato dato ad personam…) può richiamare l'estraneità alla “tradizione comunista”. Nella “tradizione comunista”, purtroppo, le BR rientrano tranquillamente, anche se il PCI finge di dimenticarlo: rientrano bene nella teoria e nella pratica dello stalinismo, fin nelle sue più infami aberrazioni (o, meglio, logiche conseguenze). Ma che cosa ha a che vedere tutto ciò con noi, con “la nostra storia” (come pure è stato scritto), soprattutto con la lotta di classe e la rivoluzione comunista oggi? Il nuovo ciclo di lotte operaie e studentesche del “biennio rosso” 1968-69, la nascita dell'autonomia operaia (quella vera) e dei nuovi movimenti anticapitalistici di massa, la formazione teorica e pratica di Lotta Continua, non hanno rappresentato propria la principale rottura con quella “tradizione comunista”, con ogni residuo stalinista e terzinternazionalista? Che cosa ha a che vedere, oggi, il terrorismo con il marxismo rivoluzionario? Aldo Moro non è prigioniero in un “carcere del popolo”, non viene processato di fronte ad un “Tribunale del Popolo” (con le dovute maiuscole del volantino), la sentenza, qualunque sarà (personalmente ritengo che le BR non abbiano comunque interesse, dal loro punto di vista, ad ucciderlo), non sarà emessa “in nome del popolo”: il popolo, il proletariato, la classe operaia, i movimenti rivoluzionari di massa con tutto questo non hanno niente a che fare. E' una tragica farsa, che va giudicata come tale. Ma non siamo a teatro (è questo , credo, il motivo dell'incredulità di molti alla prima notizia del rapimento). Questo non hanno capito tutti coloro che sono scesi in piazza fin dal pomeriggio di giovedì 16 marzo anche nel più radicale dissenso dal “farsi Stato” del PCI e della dirigenza sindacale, ai quali ultimi, comunque, le BR hanno fornito una straordinaria occasione per imporre un “riflesso d'ordine” in larghi settori di massa. A Torino, dunque, non si processa affatto la rivoluzione (anche a prescindere dall'estraneità materiale di quei militanti delle BR da questa azione terroristica). Questo non toglie nulla alla natura politica di quel processo, e di tutto ciò che gli sta dietro, e al nostro compito di analizzarne e denunciarne le caratteristiche “di regime” e l'uso reazionario che ne viene fatto. Al pari di qualunque altro “processo politico” che abbiamo affrontato in questi anni, ma senza alcuna identificazione con gli imputati, se non per quanto riguarda la difesa dei loro diritti civili e politici (tra gli imputati, oltre a tutto, ce ne sono molti che non appartengono affatto alle BR e che sono stati coinvolti in ripetute provocazioni di Stato). Terrorismo, lotta armata e violenza Gran parte del disorientamento, delle incertezze, delle difficoltà che si sono manifestate all'interno della sinistra rivoluzionaria e del movimento di opposizione subito dopo il massacro della scorta e del rapimento di Moro sono dovuti non tanto alla “sorpresa” tremenda di fronte ad una situazione inaspettata e totalmente “esterna”, ma soprattutto alla enorme arretratezza e ambiguità del dibattito politico di massa su questi problemi. Personalmente, qui, non entro neppure nel merito (per ragioni di spazio, oltre che di stomaco) di interventi come quello di O. Scalzone sul Quotidiano dei lavoratori del 16 marzo (“Per la critica delle ideologie del movimento”) e quello firmato dai “Comitati comunisti rivoluzionari” ospitato anche su Lotta Continua del 19 marzo: il primo mi è sembrato un trattato di metafisica sulla “nuova era del comunismo” (e sul carattere “storicamente residuale” - “dovesse pur durare un millennio” - del capitalismo); il secondo mi è parso un insulto alla intelligenza collettiva del movimento rivoluzionario (le BR sbaglierebbero soprattutto perché esprimono un livello troppo avanzato di “destabilizzazione” rispetto alle capacità attuali dei movimenti di classe: se facciamo qualche passo avanti, dunque, cosa ci aspetta poi?). Resta il fatto che negli ultimi due anni abbiamo assistito ad una sistematica “distruzione” nella coscienza delle masse proletarie di una autentica concezione della “violenza proletaria” dell'esercizio della forza da parte dei movimenti di classe, della stessa questione della “lotta armata” come aspetto specifico di un processo rivoluzionario di massa. Le forze della sinistra istituzionale, politica e sindacale, hanno fatto a gara per affermare che tutto ciò non ha niente a che fare con la lotta di classe, addirittura con la storia, la tradizione e la pratica del movimento comunista e socialista: un falso storico e teorico di proporzioni gigantesche. Ma nell'ambito di settori - pur assolutamente minoritari - del movimento di opposizione si è fatto a gara per espropriare le masse e i movimenti di lotta della gestione diretta dell'esercizio della forza sul proprio terreno e sui propri obiettivi, col risultato che l'aggettivo “proletario” in molti casi è stato accoppiato alle forme più irresponsabili di violenza gratuita, all'esaltazione più impotente del militarismo avventurista, alla ignobile parodia del cosiddetto “esproprio proletario”. Abbiamo anche assistito ad un farsesco “dibattito a distanza” tra le BR e alcuni settori dell'Autonomia organizzata sullo “spontaneismo armato”, da una parte, e sulle “deviazioni militariste” dall'altra. Recentemente abbiamo persino letto - sotto forma (ma c'è solo la forma) di materialismo - una specie di ontologia della violenza: “Il materialismo storico definisce la necessità della violenza nella storia: noi la carichiamo dell'odierna qualità dell'emergenza di classe, consideriamo la violenza come una funzione legittima dell'esaltazione del rapporto di forza nella crisi e della ricchezza dei contenuti dell'autovalorizzazione proletaria”. (A. Negri, Il dominio e il sabotaggio, Feltrinelli, Milano, 1978, p.69). Il moltiplicarsi di “sigle” clandestine del “proletariato armato” (o “comunista”, o “combattente”, ecc.) ha avuto un susseguirsi allucinante, anche con reciproche smentite e “conflitti di attribuzione” nella rivendicazione delle varie azioni terroristiche. Ma l'unico “conflitto di competenza” che doveva essere sollevato con forza e fino in fondo - quello da parte dei movimenti di massa, delle forze dell'opposizione rivoluzionaria - è stato invece spesso timido e rituale. E' allucinante, ma anche patetico, leggere questa dichiarazione di Peter Chotjewitz riguardo all'esperienza della RAF: “Baader sospettava che molti dei nuovi gruppi di terroristi fossero infiltrati dalla polizia e dai servizi segreti. Troppi proclami, troppe sigle nuove, alcune organizzazioni chiaramente inesistenti. Arrivò perfino a chiedermi di indagare sull'identità dei nuovi terroristi; nel carcere gli arrivavano poche informazioni, non aveva prove, ma non si fidava”. E di chi dovrebbero fidarsi i proletari e i rivoluzionari, che non fanno parte né della RAF né delle BR? La sinistra storica o lo Stato Per dieci anni noi abbiamo fatto un lavoro sistematico di controinformazione militante e di massa nei confronti del terrorismo fascista, della strategia della tensione e della provocazione di Stato, del ruolo dei corpi armati e dei servizi segreti nelle stragi, negli attentati, nei progetti golpisti. Per anni ci siamo mobilitati per la piena attuazione del dettato costituzionale con la messa fuorilegge del MSI e abbiamo lottato a livello di massa per l'individuazione, la denuncia e l'epurazione dei fascisti, terroristi e golpisti dai luoghi di lavoro e dai corpi dello Stato. Nel frattempo ci sono state centinai di vittime di stragi, attentati e provocazioni, fra cui alcuni tra i nostri compagni più cari. Siamo stati - per tutto questo - attaccati, calunniati, diffamati. Ci si rispondeva che questo non era compito delle forze di classe, ma soltanto dello Stato (quello stesso Stato che risultava - in alcune delle sue principali articolazioni - direttamente coinvolto nella strategia della tensione e della provocazione, come ormai sanno anche i sassi), che bisognava chiedere “allo Stato di fare luce sulle oscure stragi” (con i risultati che abbiamo visto). Ora il PCI e la dirigenza sindacale (CGIL in testa) chiedono proprio controinformazione di massa, inchiesta, denuncia e epurazione contro… il terrorismo di sinistra, a parole, le avanguardie della sinistra rivoluzionaria, nei fatti (il PCI molti degli attuali terroristi li ha avuti al suo interno, e non se ne è mai accorto, proprio perché il militante “clandestino” è l'ultimo a esprimere pubblicamente posizioni “estremiste”). Lama si sta candidando a passi da gigante a divenire il nuovo D'Aragona del sindacalismo italiano (anche il suo “precursore” era segretario generale della CGIL e ce l'aveva a morte con gli “estremisti” che occupavano le fabbriche nel '20): e ciò non nei confronti del regime fascista (che non c'è) ma dello Stato autoritario di polizia (che si sta realizzando, anche col riutilizzo di tutte le strutture ereditate dal fascismo ancora “in vigore”). Pecchioli è da mesi - ora in modo scatenato - accanito sostenitore del rilancio dei servizi segreti, di questi servizi segreti: non si chiamano più SID o “Affari riservati”, bensì SISMI, SISDE e UCIGOS (avevano fatto la stessa operazione di “riciclaggio” col SIFAR), ma con gli stessi uomini, le stesse strutture, gli stessi metodi che hanno insanguinato l'Italia (e che hanno aperto la strada al terrorismo “di sinistra”, che in questo trova una sua legittimazione), eccezion fatta per Miceli, che non sta in galera, però, ma tranquillamente sui banchi del Parlamento. Amendola (poverino) ha imperversato sulla “matrice cattolica” delle BR. Trombadori è la dimostrazione vivente di come si possa arrivare a trasformare la lotta politica in un “caso patologico”, irriducibile a qualunque terapia. Ingrao (che ha tenuto ben altro stile, ma con non molta dissimile sostanza) cita… il “vescovo castrense” (che al funerale della scorta ha parlato, come in effetti è, da ufficiale di polizia) e esprime una sua “fissazione” (così dice): tutto il movimento operaio e democratico unito in un solo compito, la “lotta al terrorismo”, senza una sola parola (una sola!) contro il terrorismo fascista che ha assassinato a Milano Fausto e Jaio. La dirigenza sindacale milanese e nazionale (CGIL in testa) si è ricoperta di fango e di infamia quando ha avuto di fronte i cadaveri di due compagni del movimento di opposizione, e non più due poliziotti. Di Aldo Moro - che pur assomiglia pochissimo al ritratto farsesco che ne hanno dato le BR - hanno dimenticato tutto dagli “omissis” di fronte a tutte le trame eversive che coinvolgevano lo Stato e la DC alle stesse biografie che ne hanno scritto (la scheda di copertina) del libro di A. Coppola, attuale direttore di Paese Sera, recita: “Aldo Moro è la sfinge del cattolicesimo politico italiano. (…) uno dei responsabili (forse il maggiore) dei più gravi fenomeni degenerativi della crisi italiana”. Si sfornano leggi eccezionali (ben sapendo che non serviranno a nulla contro il terrorismo, ma solo contro le forze di opposizione di massa) e si manomette a man bassa la Costituzione, ma con la suprema ipocrisia di dire che è tutto “normale” e rigorosamente “costituzionale” (e, contemporaneamente, i giovani leoni del vecchio “operaismo” economicista, oggi nel PCI, imprecano e calunniano contro il “neo-garantismo” della nuova sinistra, meglio, degli “estremisti”: e non c'è dubbio che il garantismo lo stiamo seppellendo sotto tonnellate di sabbia). La sinistra rivoluzionaria: né con le BR, né con lo Stato. E poi? E' giusto: né con le BR, né con lo Stato. Ma non basta. Tutti abbiamo avvertito in questi giorni una sensazione di tremenda impotenza. Il disorientamento vissuto dai compagni è reale: è esploso di fronte al rapimento di Moro, ma viene da lontano. Sulla questione dello Stato (che sta a monte di quella del terrorismo) il dibattito langue da due anni (e intanto imperversano i libri, grandi e piccoli, di Toni Negri). Per i teorici e i militanti dell'“Autonomia” il problema della democrazia non esiste, anzi è un falso problema. Per noi invece, credo, è un problema decisivo. Questo Stato è di classe, borghese (chi lo nega, “da sinistra”, è perché semplicemente ne adotta ormai lo stesso punto di vista, non solo in termini ideologici, ma anche materiali): ma c'è per noi un abisso tra regime totalitario-fascista e regime democratico-rappresentativo. La classe dominante, quando non riesce a sconfiggere i movimenti antagonistici di massa, tende sempre più ad abbandonare il terreno stesso della democrazia borghese. Non è un paradosso: è una realtà ripetutasi ormai in innumerevoli situazioni storiche (dall'Italia del '22 al Portogallo del '26, dalla Germania del '33, alla Spagna del '37, e così via fino ai giorni nostri in Grecia, Uruguay, Cile, Argentina). L'interesse dei rivoluzionari non è affatto quello che la borghesia “si smascheri” mostrando “il suo vero volto fascista”: questo credeva anche il PCd'I del '22, con le conseguenze che sappiamo. E' fondamentale, invece, il rapporto tra la lotta di classe a livello dei rapporti di produzione, e sociali, e lotta per la democrazia sul terreno istituzionale; così come per la classe dominante la gestione della crisi economica e sociale si salda strettamente con la ristrutturazione autoritaria e reazionaria dello Stato. Non è una questione “sovrastrutturale”, secondo il peggiore dogmatismo “m-l”: è una questione che incide direttamente sui rapporti di forza generali tra le classi, sulla possibilità stessa dell'esistenza di una opposizione rivoluzionaria non clandestina e dei movimenti antagonistici di massa. Non è vero che o si sta con il PCI (e lo Stato) o con le BR: a sostenerlo - da posizioni opposte, ma simmetriche - sono proprio il PCI, da una parte, e le BR, dall'altra. E' falso. Ma le ragioni di questa “falsità”, le ragioni di una opposizione di massa non sono affatto “date a priori”. Il terreno su cui non costruiamo noi, lo occupano e lo gestiscono il nemico di classe, l'opportunismo revisionista, il militarismo avventurista. Né con lo Stato, né con le BR, è solo una delimitazione, necessaria, ma in negativo. Dobbiamo costruire - e riscoprire, senza dare nulla per scontato - una prospettiva e una pratica rivoluzionaria che non si nascondano “nelle pieghe della storia” (magari in attesa di tempi migliori), ma che sappiano saldare da subito il massimo di bisogni proletari con il massimo di auto-organizzazione in prima persona dei soggetti sociali reali. Altrimenti rimarremo stritolati.
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