Da Il Manifesto del 01/05/1978

"Non è lui"

di Franco Fortini

"Aldo Moro...non è presente nelle lettere dirette a Zaccagnini, pubblicate come sue". Questa dichiarazione porta le firme di alti ecclesiastici e di eminenti studiosi cattolici. Essa parte dalla certezza di una "fisionomia" che amici e conoscenti di Moro gli attribuiscono. Non si fonda sulle perizie calligrafiche o linguistiche e per questo ha diritto alla nostra gratitudine; ma non dice su che cosa si fondi quella irriconoscibilità. O meglio, lo dice indirettamente. Si parla di una visione "spirituale, politica e giuridica che ne ha ispirato il contributo alla stesura della stessa Costituzione repubblicana". Un'unità intellettuale, politico e spirituale che non sarebbe mutata per un trentennio e che sarebbe stata spezzata in trenta giorni. Sia permesso il dubbio che qui si difenda, prima che l'identità di Moro, la validità delle sue conclusioni politiche. Un'operazione politica, per ampia che sia, non può essere identificata ad una coscienza e non saremo di certo noi ad insegnarlo a chi ha in comune con noi alcune parole capitali che ce lo hanno insegnato. Non disgiunto dal rispetto che sappiamo di dovere non solo alle conoscenze ideologiche ma anche a quelle storiche e psicologiche di alcuni tra i più autorevoli firmatari, crediamo si debba esprimerlo, quel serio dubbio, non certo sulla legittimità politica dell'intervento; perché un diniego all'autenticità delle carte di Moro era già stato avanzato da chi, come La Malfa, ha una visione antropologica un po' diversa da quella di monsignor Pellegrino. L'interrogativo riguarda la motivazione, o meglio la sua assenza. Quando in termini politici, si nega valore ad un testo dichiarandolo estorto o irresponsabile si compie un atto politico, ossia un gesto simbolico che tradotto in volgare significa un rifiuto di rilevanza e di interlocuzione. Equivale a quel "ma Moro è già un uomo morto!" che, se le gazzette non mentono, sarebbe stato emesso - in volgare, appunto - da un fragoroso parlamentare PCI al sopraggiungere del comunicato brigatista che smentiva l'avvenuta esecuzione. Ma quando a riflettere su questa grave materia sono uomini che non dovrebbero né possono trattare altrui come segni, e toccano a questioni, mi pare si dica, di coscienza, come non chiedersi se hanno, senza più largo ragionamento ed escursione di prove, diritto ad affermazioni tanto perentorie? Nessuno di noi ha il coraggio o la sfrontatezza di immaginare cosa avvenga nella coscienza o nell'intelletto di Moro. Ma proprio per questo se, ad essere franchi, ci è parso sconcio il coro quasi unanime che nei primi giorni negò credibilità a quei messaggi, ci sembra non esistano, fino a questo momento, prove serie che le affermazioni di Moro non si confacciano ad un intelletto, turbato certo, come quello di chi vive a pochi passi dalla morte, sequestrato ed isolato, ma tuttavia integro. Non c'è traccia di quelle mutazioni di cambio, di quelle ritrattazioni o adulazioni servili che conosciamo dai verbali staliniani. Per intelligenza dei suoi sequestratori? Ammettiamolo pure. Quel che sappiamo e crediamo sapere della costituzione dell'io superficiale e di quello profondo, e delle sue divisioni, dovrebbe averci insegnato che l'individuo, il non divisibile, è un fantasma storico, o meglio, che è il luogo biologico attraversato e fondato in una sua labile durata dalle forze storico-sociali; ossia che l' "anima" non è né la proprietà, né la proprietaria di ogni singola voce di anagrafe ma solo l'illuminazione e l'incarnazione della convergenza di più esistenze. Quel vecchio uomo che annoda e snoda nelle sue meningi le memorie volontarie e involontarie, i fili contraddittori del dovere e del piacere, ha diritto ad essere considerato uno di noi anche se, anche perché, contraddittorio. Mentre invece: "non sei più tu" è la frase che consacra ogni interruzione. E' la frase che nessun cristiano più pronunciare (ma anche nessuno che conosca la realtà umana di cui Marx e Freud hanno cominciato a disegnare gli itinerari). Le affermazioni contro le quali stiamo scrivendo si situano invece in un ordine giuridico, psichiatrico, politico. Somigliano purtroppo a quelle che abbiamo letto in questi giorni, con la bella scoperta che minacce di morte e sequestro alterano la personalità delle vittime. Non si dovrebbe nemmeno rispondere a certi "esperti". Come mai diventano vere per Moro tutte le "deprivazioni" che, denunciate dagli avvocati della Bander-Meinhof, erano state derise dai giornalisti della Cdu e dai confratelli italiani? E più vile ancora ci è apparso il ricorso alla psicologia e sociologia americana, spesso gestita dalla Cia, beatamente certa che la "normalità" di un uomo coincida con la sua funzione. E assolutamente incapace di intendere che un sequestrato, tolto dall'apparato di falsità, di potere, di servilismo circostante, di alienazione in una parola, nella quale vivono, più o meno, tutti i potenti di questo mondo, e necessariamente gli uomini che da trent'anni governano cinquanta milioni di italiani, che uno di quegli uomini, se ricondotto, come un qualsiasi detenuto, come un qualsiasi povero cristo davanti a dottori e tribunali, se collocato dalla "provvida sventura" tra gli oppressi, possa riconoscere o riscoprire un diverso modo di interpretare l'esistenza. Non sarò io a negare la prevaricazione che può accompagnarsi alla persuasione, la ferocia che si può mascherare da mitezza. Più che dalle interpretazioni sui "lavaggi del cervello" sono un lettore del Manzoni, come i miei interlocutori. Ma proprio per questo, se per un verso, e con la teologia dell'autore milanese, non credo si possa, dicendo "non è lui" ossia dividendolo in più parti, giustificare il prigioniero o i suoi compagni di partito dalle violazioni passate, presenti o future, dei comandamenti morali, altrettanto trovo illecito e capace di indurre in pericolosi errori arrestarsi là dove, credenti o no, dobbiamo arrenderci, ossia là dove la coscienza testimonia solo di sè stessa e rifiuta ogni altra ed esterna verifica. La violenza subita da Moro non consente ai suoi amici l'accettare il significato politico delle sue lettere? Sia. Ma si abbia il coraggio di dire che non li si accetterebbe anche se fossero dettate in piena libertà; e l'umiltà di non concluderne con l'interdizione di un uomo. Altrimenti, c'è sul fondo, l'ospedale psichiatrico per riabilitarlo. Perché noi vogliamo che Aldo Moro viva. Lo vogliamo non solo perché - come ci è occorso di scrivere anni fa - non si debbono distruggere né le persone né soprattutto le memorie e "tutti devono vivere e sapere" cioè sapere per vivere diversamente; ma anche per un preciso interesse politico, e cioè perché la sua sopravvivenza disarmi il partito degli eroici furori, i difensori di uno stato che sarebbe forte solo per la debolezza dei più, i virtuosi della intimidazione e della demagogia.

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