Da Famiglia cristiana del 04/03/1978

Inchiesta (3)

Somalia. "Quei traffici di armi e scorie"

La testimonianza di Franco Oliva, collaboratore della Farnesina

Inviato per due volte in Somalia, ha cercato di contrastare alcuni malaffari legati alla Cooperazione. Ma un misterioso agguato l’ha ridotto in fin di vita.

di Barbara Carazzolo, Alberto Chiara, Luciano Scalettari

"Progetti di sviluppo" che divorano miliardi di denaro pubblico senza migliorare la qualità della vita della popolazione locale; traffici di armi e di rifiuti tossici: scandalosa Italia, scandalosa Somalia. Franco Oliva, un uomo alto e asciutto di 53 anni, è un testimone. Ciò che sa, ciò che ha visto e cercato di contrastare, e anche ciò che ha sospettato in base a racconti di prima mano, l’ha scritto in dettagliate denunce o l’ha detto di fronte all’autorità giudiziaria.

Tra l’aprile 1986 e il maggio 1990 Oliva (nella foto) lavora in Somalia per conto del nostro ministero degli Esteri come coordinatore amministrativo dei progetti di cooperazione. A Mogadiscio Oliva arriva di nuovo il 10 ottobre 1993, in qualità di esperto della Farnesina. Il 29 ottobre di quell’anno è gravemente ferito in circostanze ancora tutte da chiarire. Si salva per miracolo. Da allora lo Stato che ha servito lo ignora. In compenso c’è chi si premura di fargli sapere che per lui è meglio tacere.

«Tra l’86 e l’88», afferma Oliva, «sento un connazionale, Guido Garelli, dichiarare pubblicamente a Mogadiscio di essersi recato fin laggiù per piazzare navi cariche di scorie nucleari. Circa i traffici di armi, i sospetti, già esistenti, si confermano quando, nell’ottobre 1989, proveniente dall’Italia e dopo uno scalo a Tripoli, in Libia, arriva in Somalia la nave 21 Oktoobar II,il fiore all’occhiello della neocostituita flotta di pescherecci oggi della società italo-somala Shifco di Omar Said Mugne, un progetto che tra imbarcazioni e varie attrezzature prevede una spesa complessiva di circa 74 miliardi e mezzo, a carico della Cooperazione italiana. Ebbene, la nave giunge battendo bandiera somala: ciò esclude ogni possibilità di controllo, ma si accerta comunque che invece delle 12 celle frigorifere nuove previste, ne arrivano solo 6, usate. Del carico non si sa nulla». Cosa c’è dentro?

Questo episodio è uno dei tanti contenuti anche nell’esposto-denuncia sulla mala cooperazione presentato il 25 novembre 1992 da Piero Ugolini, che ha lavorato in Somalia negli stessi anni.

«Nel ’93, ritornato in Somalia», prosegue Oliva, «mi domando che senso abbia finanziare con 4 miliardi un progetto di igiene urbana per Mogadiscio o prevedere una spesa più o meno analoga per ripristinare l’acquedotto cittadino, dal momento che la guerra civile impedisce qualsiasi intervento del genere. Di più, scopro che la Cooperazione paga decine di migliaia di dollari, prelevati dai fondi destinati ai progetti sanitari, per stipendiare circa 150 guardiani armati delle due opposte fazioni di Mogadiscio chiamati a vigilare – così mi dicono – sugli otto presidi medici in città. Constato poi che le attrezzature sanitarie e i medicinali sono forniti da un centro logistico di Mombasa, in Kenya, e provengono in genere dall’India (sebbene, pare, tramite ditte italiane). Molti farmaci sono prossimi a scadere e le attrezzature sono di pessima qualità nonostante i prezzi elevati. Una parte è custodita non nei depositi della Delegazione italiana, ma in quelli di Giancarlo Marocchino, un non meglio precisato imprenditore italiano, che li conserva senza inventario, senza cautele e dietro compenso».

«Lo stesso Giancarlo Marocchino», prosegue Franco Oliva, «usa autocarri, macchine movimento-terra e gru di alcune imprese italiane, come la Salini, che nel 1990 avevano dovuto abbandonare precipitosamente la Somalia alla caduta del dittatore Siad Barre. Questi mezzi valgono complessivamente decine di miliardi: la Sace ha già rimborsato, o sta per farlo, i legittimi proprietari. Giancarlo Marocchino li utilizza come propri; non ha alcun atto di affidamento; esige compensi per i servizi di trasporto resi alle autorità italiane, comprese quelle militari».

«Io segnalo le varie irregolarità al capo della Delegazione italiana Luigi De Chiara e all’incaricato speciale Onu, l’ambasciatore Mario Scaloja», precisa Oliva. «Fotografo, inventario e faccio spostare dai magazzini di Marocchino i medicinali di proprietà della Cooperazione. Invito il responsabile dei progetti sanitari a cercare una soluzione che consenta la graduale riduzione del pagamento di guardie armate per i presidi sanitari. Infine, respingo le pressanti richieste di pagamento (per un ammontare complessivo di circa 60 mila dollari Usa) avanzate dalla moglie di Giancarlo Marocchino, il quale a quell’epoca è a Nairobi, dopo essere stato espulso dalla Somalia dal comando americano di Unosom II con l’accusa di trafficare armi».

Arriva così il 29 ottobre 1993. «Nella tarda mattinata esco dalla sede della Delegazione italiana di Mogadiscio per definire un piano di distribuzione dei medicinali ai centri sanitari. La Toyota Pick-up su cui viaggio viene intercettata da un pulmino. Sparano dall’interno. E da altre direzioni».

Franco Oliva ha l’arteria, la vena e il nervo femorali della gamba destra trapassati da un proiettile. Deve la vita al fatto che un’infermiera italiana, a bordo con lui, riesce a tamponare immediatamente la ferita e a trasportarlo all’ospedale da campo rumeno.


Una partenza in fretta e furia

«Luigi De Chiara, capo della Delegazione italiana, viene a trovarmi il 3 novembre, cinque giorni dopo l’agguato, e mi dice che sarò rimpatriato il 6 o il 7 novembre su un Airbus appositamente attrezzato per il trasporto di un ferito grave. Il 4 novembre, invece, due soldati italiani mi intimano di prepararmi entro mezz’ora al massimo. I medici rumeni protestano, sostenendo che il mio stato di salute sconsiglia la partenza, specialmente prima dell’estrazione di un secondo proiettile che le radiografie avevano evidenziato. Nonostante tutto, vengo fatto partire. Mi caricano su un G222 non pressurizzato e non climatizzato. Sono nudo, ho solo un asciugamano legato alla vita. Impiego otto ore per arrivare a Luxor, dove mi fanno imbarcare su un Falcon diretto a Roma-Ciampino. Mi danno finalmente una coperta. Vengo ricoverato al Policlinico Gemelli. Il 18 novembre mi estraggono il proiettile».

Nel giugno ’94 Franco Oliva presenta un esposto-denuncia per cercare di sapere chi lo voleva morto. «Ho collaborato con le inchieste riguardanti la Cooperazione e gli strani traffici con la Somalia, condotte dalle Procure di Milano, Latina, Torre Annunziata. So che altre Procure, come quella di La Spezia, stanno indagando».


«Eravamo un incentivo alla guerra civile»

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vengono assassinati a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Un colpo a bruciapelo, sostiene la perizia medica depositata qualche settimana fa. A partire dalle 112 pagine dell’esposto di Ugolini (si badi bene: novembre 1992), la magistratura aveva modo di accertare la veridicità di ipotesi inquietanti che lo stesso Ugolini sintetizzava così in una lettera indirizzata all’allora ministro degli Esteri Beniamino Andreatta, datata Firenze, 1° luglio 1993: «Per quattro anni avevo registrato in Somalia l’azione di ladri pubblici e privati, e soprattutto "bestialità" politico-economiche tali da configurare la nostra attività in quel Paese come l’incentivo finale alla guerra civile e alla rovina».

Per quanto riguarda il caso di Oliva (che è assistito dall’avvocato Tommaso Raccuglia), il pm romano Settembrino Nebbioso ha chiesto per due volte l’archiviazione, e non risulta abbia ascoltato i testimoni oculari come l’infermiera. Il gip non s’è ancora pronunciato definitivamente. Così, almeno, fino al 19 febbraio 1998.
Annotazioni − n. 8

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