Da Famiglia cristiana del 29/11/1998
Italia coinvolta? Risponde il sottosegretario Serri
"E qualcuno mi chiese..."
Al Governo non risulta nulla, ma «circolano voci. Un giorno si fece avanti una cooperativa».
di Barbara Carazzolo, Alberto Chiara, Luciano Scalettari
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«Fin dal 1987 l’area della Spezia è stata un punto di transito fondamentale. Sia per le armi che per i rifiuti. Quando in Somalia c’era ancora Siad Barre, i rapporti erano a tre: Governo italiano, Governo somalo e gruppi industriali, concentrati soprattutto nel Nord Italia. Gli accordi miravano allo smaltimento di scorie radioattive, rifiuti tossico-nocivi e materiali chimici altamente inquinanti. La via dell’Africa, e in particolare della Somalia, è stata utilizzata per la merce più pericolosa, il resto finiva soprattutto nelle discariche spezzine (al riguardo si veda la rubrica "Ambiente e natura" a pag. 209, ndr)».
A parlare è un ex "gladiatore", già agente dei servizi segreti e oggi fonte riservata di una Direzione investigativa antimafia. L’ex agente descrive il connubio di interessi dei partner in gioco: «La Francia e la Germania», dice, «traboccavano di scorie nucleari. Gli imprenditori italiani non sapevano come disfarsi a basso prezzo dei materiali inquinanti. Il business da migliaia di miliardi era facile da fiutare: ci si sono buttati sopra personaggi senza scrupoli, gruppi mafiosi, collegamenti internazionali della massoneria occulta che dovevano curare l’organizzazione e la mediazione, elementi deviati dei servizi che avevano il compito di proteggere il traffico, i leader locali africani che finanziavano la guerriglia o la repressione, cedendo brandelli di territorio. Il meccanismo messo in piedi in quegli anni funziona ancora, alla perfezione». I carichi non sono partiti solo dalla Spezia, ma anche da Livorno, Massa Carrara, Castellammare di Stabia, Trieste, Chioggia.
La stessa fonte ha riferito agli inquirenti i dettagli: presso quali moli è stata caricata la merce, chi ha gestito l’organizzazione, chi ha chiuso gli occhi alla dogana, quali destinazioni hanno avuto le navi. «In Somalia sono state fatte le cose peggiori», aggiunge. «Sugli acquitrini dei fiumi Juba e Shebeli furono ad esempio effettuati lanci aerei di fusti. Nel 1990 abbiamo saputo che in quell’area morirono per contaminazione migliaia di persone. Il fatto fu occultato sparando sui cadaveri per far credere che si trattasse di vittime di scontri fra clan».
Questi traffici sono al tempo stesso aberranti sotto il profilo morale, e illegali sotto quello giuridico. Nel 1989 è entrata in vigore la convenzione di Basilea che vieta l’esportazione di qualsiasi tipo di rifiuti dai Paesi ricchi a quelli poveri. L’Italia l’ha ratificata nel 1994, scegliendo però la strada meno rigorosa. «Occorre introdurre nuove figure di reati e inasprire le pene», dichiara il sostituto procuratore di Asti, Luciano Tarditi. «Perseguire i trafficanti di rifiuti oggi è molto difficile. A meno che ci si trovi di fronte a profili penalmente più gravi, non possiamo autorizzare intercettazioni telefoniche né arrestare nessuno, neppure se colto sul fatto. Il traffico di rifiuti è un reato che attualmente cade in prescrizione in un periodo che va da tre a quattro anni e mezzo». Sotto il profilo politico, infine, si apre una nuova stagione nei rapporti tra Italia e Somalia. Lo assicura il sottosegretario Rino Serri, che ha la delega per l’Africa e la cooperazione. «Non credo che la soluzione della questione somala passi attraverso la strada della mediazione con i leader tradizionali, percorsa mille volte e sempre fallita», dichiara a Famiglia Cristiana. «Vogliamo sostenere le amministrazioni regionali che hanno già pacificato parte del territorio, come il Somaliland o il Puntland».
«Vincoliamo la nostra collaborazione al rispetto di due condizioni», prosegue Serri. «Le autorità locali devono innanzitutto volere la Somalia unita, magari adottando la forma dello Stato federale. Inoltre, devono impegnarsi a contrastare le forme criminali, dal traffico della droga al commercio delle armi, dal terrorismo agli scarichi di rifiuti».
Il sottosegretario non ha dubbi: «Priva di un Governo centrale, la Somalia rischia di diventare un crocevia internazionale delle attività illecite. Qualsiasi gruppo può diventare preda di potenze straniere, di mercanti d’armi e di chi offre laute somme per fare un bel deposito di scorie radioattive».
Ha notizie al riguardo?
«Circolano delle voci».
È coinvolta l’Italia?
«Anni fa, in relazione al caso Alpi-Hrovatin, si era parlato del traffico di armi e dell’impresa italo-somala Shifco. In relazione ai rifiuti tossico-nocivi al Governo, oggi, non risulta nulla. Tempo fa, era venuta da me una cooperativa che voleva occuparsi di queste attività. Ho risposto che non era assolutamente possibile».
Ai trafficanti la Somalia sta bene così com’è...
«È la mia grande paura. Dobbiamo impedire che la globalizzazione crei aree di mercato incontrollate».
A parlare è un ex "gladiatore", già agente dei servizi segreti e oggi fonte riservata di una Direzione investigativa antimafia. L’ex agente descrive il connubio di interessi dei partner in gioco: «La Francia e la Germania», dice, «traboccavano di scorie nucleari. Gli imprenditori italiani non sapevano come disfarsi a basso prezzo dei materiali inquinanti. Il business da migliaia di miliardi era facile da fiutare: ci si sono buttati sopra personaggi senza scrupoli, gruppi mafiosi, collegamenti internazionali della massoneria occulta che dovevano curare l’organizzazione e la mediazione, elementi deviati dei servizi che avevano il compito di proteggere il traffico, i leader locali africani che finanziavano la guerriglia o la repressione, cedendo brandelli di territorio. Il meccanismo messo in piedi in quegli anni funziona ancora, alla perfezione». I carichi non sono partiti solo dalla Spezia, ma anche da Livorno, Massa Carrara, Castellammare di Stabia, Trieste, Chioggia.
La stessa fonte ha riferito agli inquirenti i dettagli: presso quali moli è stata caricata la merce, chi ha gestito l’organizzazione, chi ha chiuso gli occhi alla dogana, quali destinazioni hanno avuto le navi. «In Somalia sono state fatte le cose peggiori», aggiunge. «Sugli acquitrini dei fiumi Juba e Shebeli furono ad esempio effettuati lanci aerei di fusti. Nel 1990 abbiamo saputo che in quell’area morirono per contaminazione migliaia di persone. Il fatto fu occultato sparando sui cadaveri per far credere che si trattasse di vittime di scontri fra clan».
Questi traffici sono al tempo stesso aberranti sotto il profilo morale, e illegali sotto quello giuridico. Nel 1989 è entrata in vigore la convenzione di Basilea che vieta l’esportazione di qualsiasi tipo di rifiuti dai Paesi ricchi a quelli poveri. L’Italia l’ha ratificata nel 1994, scegliendo però la strada meno rigorosa. «Occorre introdurre nuove figure di reati e inasprire le pene», dichiara il sostituto procuratore di Asti, Luciano Tarditi. «Perseguire i trafficanti di rifiuti oggi è molto difficile. A meno che ci si trovi di fronte a profili penalmente più gravi, non possiamo autorizzare intercettazioni telefoniche né arrestare nessuno, neppure se colto sul fatto. Il traffico di rifiuti è un reato che attualmente cade in prescrizione in un periodo che va da tre a quattro anni e mezzo». Sotto il profilo politico, infine, si apre una nuova stagione nei rapporti tra Italia e Somalia. Lo assicura il sottosegretario Rino Serri, che ha la delega per l’Africa e la cooperazione. «Non credo che la soluzione della questione somala passi attraverso la strada della mediazione con i leader tradizionali, percorsa mille volte e sempre fallita», dichiara a Famiglia Cristiana. «Vogliamo sostenere le amministrazioni regionali che hanno già pacificato parte del territorio, come il Somaliland o il Puntland».
«Vincoliamo la nostra collaborazione al rispetto di due condizioni», prosegue Serri. «Le autorità locali devono innanzitutto volere la Somalia unita, magari adottando la forma dello Stato federale. Inoltre, devono impegnarsi a contrastare le forme criminali, dal traffico della droga al commercio delle armi, dal terrorismo agli scarichi di rifiuti».
Il sottosegretario non ha dubbi: «Priva di un Governo centrale, la Somalia rischia di diventare un crocevia internazionale delle attività illecite. Qualsiasi gruppo può diventare preda di potenze straniere, di mercanti d’armi e di chi offre laute somme per fare un bel deposito di scorie radioattive».
Ha notizie al riguardo?
«Circolano delle voci».
È coinvolta l’Italia?
«Anni fa, in relazione al caso Alpi-Hrovatin, si era parlato del traffico di armi e dell’impresa italo-somala Shifco. In relazione ai rifiuti tossico-nocivi al Governo, oggi, non risulta nulla. Tempo fa, era venuta da me una cooperativa che voleva occuparsi di queste attività. Ho risposto che non era assolutamente possibile».
Ai trafficanti la Somalia sta bene così com’è...
«È la mia grande paura. Dobbiamo impedire che la globalizzazione crei aree di mercato incontrollate».
Annotazioni − n. 47
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