Da La Repubblica del 01/04/1978
Ventiquattr'ore terribili e alla fine i capi Dc hanno scelto la fermezza
di Giampaolo Pansa
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ROMA - Le venticinque righe senza titolo e senza firma pubblicate dal "Popolo" per rendere esplicito il rifiuto della Dc a trattare con i terroristi, sono il documento più drammatico fra i tanti prodotti dal partito di maggioranza in questi ultimi trent'anni. Fra quali tormenti è nato? E per quali ragioni la Dc, pur sapendo in gioco la vita di Moro, ha deciso di "ribadire con meditata convinzione che non è possibile accettare il ricatto posto in essere dalle Brigate Rosse"? Un tentativo di risposta deve partire dalla mattina di giovedì 16 marzo, la mattina della strage e del sequestro. Le Br portano via Moro e tutto il partito subisce due tipi di choc. C'è la mazzata politica: da tempo i quadri intermedi della Dc erano sotto il fuoco dei terroristi, ma nessuno aveva mai supposto che le Br avrebbero osato arrivare tanto in alto. E c'è il colpo psicologico, altrettanto profondo: non soltanto la base, ma buona parte del vertice democristiano vede crollare il rapporto “partito-capo” e si sente orfano. Il dramma si accentua il giorno dopo, quando dal ricordo di un altro sequestro, quello Sossi, affiora una domanda crudele: e se i rapitori proporranno uno scambio, Moro contro qualche terrorista in carcere? Per alcuni dirigenti Dc il dilemma non è soltanto politico, un rebus astratto da risolvere alla luce della ragion di Stato o di partito. Zaccagnini è amico di Moro da sempre. Lo stesso vale per Belci. Anche giovani come Pisanu sono legati al leader da un affetto profondo. Per considerare il problema con occhio freddo, essi debbono far violenza anche alla loro storia di uomini, ad un passato di incontri, di confidenze, di aiuto reciproco. Si spiega in questo modo lo stress di alcuni esponenti del partito. Ed è inevitabile che, di fronte al dilemma “cedere o non cedere al ricatto”, le parti risultino talvolta, curiosamente rovesciate. Si sa, ad esempio, che l'interlocutore principale della Dc, il partito comunista, è contrario ad ogni trattativa con le Br. Ebbene, sono proprio i dirigenti democristiani più aperti al colloquio con il Pci coloro che esitano a scartare l'ipotesi di uno scambio. I moderati, invece, hanno quasi tutti la stessa linea dei comunisti: rifiutare ogni baratto. Lo stress si aggrava all'arrivo della lettera di Moro. La sera di mercoledì, nel giro degli uomini di Zac, sembra prevalere il “personale” più che il “politico”. Forse pesa su di loro anche il rapporto con la famiglia del rapito. E' la prima reazione, di fronte all'appello dell'amico, è istintiva: si può essere flessibili, non bisogna dire subito di no. Questo stato d'animo, comprensibile dal punto di vista umano, sta per tradursi in un commento del “Popolo”. Poi intervengono altri dirigenti (tra i quali Piccoli) e il “Popolo” sospenderà “ogni commento e ogni valutazione”. Tuttavia, una risposta della Dc può tardare ventiquattro ore, non di più. Chi le ha vissute, definisce quelle ore “molto brutte, molto difficili, le più difficili in tanti anni”. La risposta matura nella giornata di giovedì, ed è una decisione che la segreteria elabora e confronta con molti del partito. Prima a piazza del Gesù, poi alla Camilluccia, si consultano Zaccagnini, Galloni, Gaspari, Bartolomei, Bodrato, Fanfani, gli ex presidenti del consiglio Rumor ed Emilio Colombo, gli ex segretari Fanfani e Taviani. Viene sentito pure chi è lontano, come Donat-Cattin. Nascono di qui, dopo infinite correzioni e integrazioni di un testo scritto dal direttore del “Popolo”, Belci, le venticinque righe che appariranno l'indomani sulla prima pagina del giornale democristiano. Perché la Dc stabilisce di rifiutare il baratto? Le ragioni sono queste. La prima è interna: il partito non può dividersi su una questione così vitale, sarebbe un vistoso regalo alle Brigate rosse. La seconda è esterna, e riguarda il rapporto tra Dc e gli altri partiti della maggioranza, a cominciare dal Pci: i terroristi mirano ad una spaccatura e non debbono vincere neppure su questo terreno. “Se avessimo detto sì ad una trattativa con le Br -sostiene un dirigente democristiano - il primo effetto sarebbe stato l'immediata crisi del governo”. La terza ragione riguarda il rapporto con l'elettorato democristiano. Fra un paio di mesi, la Dc affronterà un turno importante di consultazioni amministrative. La prova non è facile e la linea democristiana ancora incerta. Sarebbe molto pericoloso presentarsi sulle piazze cominciando col dire: “Abbiamo ceduto alle Brigate rosse per salvare il leader del partito”. Quarta ragione, ancor più forte: lo scambio sarebbe un colpo mortale alla credibilità, già scarsa, del nostro sistema istituzionale e alla classe politica nel suo complesso. Quanti agenti e carabinieri, colleghi degli assassinati, non griderebbero: “Avete ottenuto la vita per Moro. Ma chi ci ridarà i cinque morti di via Fani?”. E come reagirebbero i cittadini dinanzi all'affermazione che Moro è “più uguale degli altri”, che Moro è “insostituibile e dunque va salvato?”. La quinta ragione riguarda proprio la salvezza di Moro. Nessuno può dire che l'aprire una trattativa sia un mezzo sicuro per riaverlo libero dal “carcere del popolo”. Nessuno conosce il programma del gruppo che lo tiene. Le incognite sono troppe perché si possa pagare, e al buio, un prezzo tanto alto. Infine c'è un'ultima ragione, forse la più profonda. Dire di no subito, rifiutare ogni contatto con l'universo del terrorismo, consente di alzare una barriera psicologica contro tutto quel che può venire da quel mondo: altri messaggi, altre lettere “estorte”, “confessioni”, “documenti processuali”. Accreditare le Br come partners di uno scambio darebbe invece credibilità a figure, voci, propositi che non possono e non debbono averne. Alla luce di queste ragioni, la Dc ha maturato il suo “no”. Qualcuno ha osservato la cautela osservata dal “Popolo” nel titolare la prima pagina di ieri (“Vivissima emozione... Unite le forze democratiche”) e si è notato che il sommario parlava soltanto “di respingere la logica dei terroristi”. La porta, dunque, rimane socchiusa? Esistono ancora opinioni diverse nel partito? La risposta che viene da molti dirigenti democristiani è netta: "Non esistono 'falchi' e 'colombe'. Tutto il partito si riconosce in quel rifiuto. E la Dc non cambierà linea". E' la verità? Per ora sembra di sì. Scriviamo “per ora” a ragion veduta. Lo abbiamo già detto: questa è una storia lunga e dura, e siamo appena agli inizi. C'è il dramma di una persona, del “cittadino Moro”, che è disumano considerare condannata alla pena capitale. E possono svilupparsi iniziative estranee al sistema dei partiti e agli organi dello Stato. La crudeltà della vicenda sta anche in questo labirinto nel quale vita e morte si confondono ad ogni passo.
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