Da La Repubblica del 15/04/1978

Intervista a Luigi Pintor

Lo stato di vita di Moro e le colombe

di Giampaolo Pansa

ROMA -Trattare o non trattare con le Brigate rosse? Cedere ai terroristi non comporta il pericolo di far saltare quel tanto di sistema democratico che siamo riusciti a tenere in piedi? E quanti vogliono trattare, ossia le "colombe", non rischiano di diventare, loro malgrado, dei "falchi"? La storia cominciata il 16 marzo ripropone ogni giorno domande sempre più aspre. E allora andiamo a sentire che cosa risponde, dopo le prime polemiche, una "colomba" di sinistra, Luigi Pintor. Pintor ormai ha una faccia che sembra tagliata nel legno, come asciugata. "Falco colomba... - replica a bassa voce, quasi parlando a se stesso -. Sempre i soliti schemi. Non ci sforziamo mai di capire le cose. Questo è un paese dove tutti invocano lo spirito critico. Ma appena si presenta un problema, ecco che entrano in campo soltanto le grandi categorie astratte". Va bene, partiamo dal "problema"... "La storia di Moro, con la strage e il sequestro è paurosa - dice Pintor -. Questa storia ha fatto toccare alla gente una dimensione di problemi che prima non esisteva, oppure è soltanto un episodio molto grave ma che in qualche modo rientra nella normalità.? Io credo che sia vera la prima cosa. Eppure, se leggi i giornali, se ascolti la radio, senti soltanto risposte meschine, rituali, mistificate, bugiarde, come è tutta la politica italiana. Ascoltiamo parole vuote, che non sono all'altezza dei problemi esplosi il 16 marzo". D'accordo, Pintor, ma anche tu hai pronunciato delle parole. Hai detto che forse può essere giusto trattare con le Brigate rosse per salvare Moro. Pintor risponde: "Per prima cosa io penso che dobbiamo uscire da questo dilemma del 'trattare o non trattare' anche perché è proprio il dilemma che vogliono imporci loro, le Br. E poi io non dico: bisogna trattare ad ogni costo e pagare qualsiasi prezzo. La mia risposta è diversa: dobbiamo fare tutto il possibile per salvare la vita di un uomo. Il possibile. Soltanto se loro ti chiederanno una cosa impossibile, allora deciderei di non farla. Non prima". "Quello che non posso accettare e voglio attaccare - dice Pintor -è il modo 'duro', da piccola Prussia, di porsi davanti al problema. Tra l'altro, è un modo bugiardo, perché la trattativa nascosta quasi certamente ci sarà. E poi la risposta prussiana diventa una copertura per le porcherie politiche: e infatti si stanno già facendo i nuovi organigrammi dentro la Dc, i democristiani già pensano al 'dopo Moro', a come spartirsi il potere all'interno del loro partito. Non solo: la linea 'prussiana' funziona da barriera per impedire l'autocritica su che cosa è questo Stato oggi. Altro che difesa di astratti principi statali! ". "Vedi - continua Pintor - forse io immagino una classe dirigente che non esiste da noi, forte, credibile. Pensa se dopo il 16 marzo chi governa questo paese avesse detto: è accaduto un fatto di enorme gravità". "Cercheremo di salvare quell'uomo, ci sono alcune cose che potremo fare e altre no, non andremo al di là di un certo limite. Allora si che, dopo aver affermato il diritto alla vita, puoi mettere in moto, e legittimamente, le difese dello Stato". "Insomma, la risposta al dramma del 16 marzo e al terrorismo dovrebbe essere data su tre livelli - spiega Pintor -. Primo: far sentire all'opinione pubblica che si è sensibili all'appello estremo di un cittadino in pericolo e rifiutare il clima da western, da ultima battaglia, che le Br ci vogliono imporre. Secondo: discutere cosa si può fare anche con i metodi tradizionali, per disinnescare la violenza. Terzo: cogliere l'occasione per accelerare i tempi di un'autocritica sullo Stato, su come in tutti questi anni si è operato di fronte ai problemi gravissimi della società nazionale". Non pensi che trattare e poi magari cedere serva soltanto ad aprire una spirale senza fine, con altri colpi del terrorismo ed altre trattative, passando di cedimento in cedimento? "Sì, questo rischio c'è. Ma c'è in ogni caso. Le Br fanno quello che fanno in sé, e non per ricattare, e continuerebbero a farlo comunque. E poi, te lo ripeto, io penso a tre livelli di risposta, e non soltanto alla trattativa. Il 16 marzo una sconfitta c'è stata, e con questo dato storico bisogna fare i conti". "Stai attento - mi avverte Pintor - io dico quello che dico non partendo dall'argomento che questo Stato è uno Stato di merda tanto vale... Sarebbe un argomento troppo facile, meccanico. Io lo uso nel senso contrario: dico quello che dico perché immagino che questo Stato possa essere diverso, migliore. Però ciascuno di noi deve fare la propria parte. Lo spirito di trincea non serve, soprattutto quando la trincea è di cartone...". Tu ritieni che la gente capirebbe una trattativa per Moro? Non direbbe: perché per Moro sì e per gli altri no? "E' probabile. Ed è quasi giusto che non capisca. Troppe volte abbiamo visto la Dc fare i propri affari, fregandosene delle posizioni di principio. Troppe volte abbiamo visto il potere politico muoversi pro domo sua, in base ad una sua logica, curandosi soltanto della propria convenienza". "Questo però non mi convince a cambiare opinione - continua Pintor -. E io lo dico proprio a te, dopo l'attentato a Casalegno, hai raccolto quei giudizi di operai davanti ai cancelli di Mirafiore. Bene: quel tipo di posizione non la ricuperi giocando alla piccola Prussia. Puoi attenuare la sfiducia della gente soltanto se gli dai un'immagine diversa dello Stato. Ed è possibile tentare di darla soltanto lavorando sui tre livelli che ti ho detto". "Siamo tutti in un angolo - dice Pintor -. Ma la posizione più sbagliata è fingere di non essere nell'angolo, di non riconoscere la 'novità' del dramma cominciato il 16 marzo. Vedi, per tutto gennaio e febbraio e per altri giorni ancora, abbiamo discusso all'infinito su come fare questo nuovo governo. E poi, di colpo, le Brigate rosse ti portano via l'uomo che era stato al centro di tutto". "Questo ti dà la sensazione fisica che tra il modo di essere della nostra società e la sua faccia pubblica, la sua dimensione politico-formale, non c'è più rapporto, che tutte le regole sono sconvolte. Prima ne avevamo la certezza logica, adesso lo vediamo nei fatti. Non scriviamo più il futuribile: stiamo vivendo una realtà terribile, disorientante. Per questo mi fa paura non soltanto la storia in sé, ma l'insufficienza della risposta". "E' un discorso da anrchico-individualista il mio? - domanda Pintor, con un sorriso agro -. Mi pare proprio di no. Ad ogni modo, per non correre questo rischio offro alla tua valutazione un concetto più politico. Nel dopoguerra, l'anticomunismo è servito per garantire la continuità dello Stato fascista. Adesso non vorrei che l'antibrigatismo diventasse l'alibi per assicurare la continuità dello Stato democristiano". "Il problema, dunque, mi sembra molto più complesso della formula 'trattare o non trattare', 'falchi o colombe'. Ma forse la constatazione più amara è un'altra, - conclude Pintor -. Qui siamo seduti tutti su di un vulcano che nessuno di noi controlla. Fra un'ora può succedere qualcosa, all'improvviso, per cui, questa intervista non avrà più senso e l'unica cosa da fare sarà di buttarla via".

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