Da L'Unità del 31/03/1978

Fermezza

Nessuno ha avuto dubbi. La lettera di Moro (se di lettera di Moro si può parlare) è stata scritta in uno stato di costrizione morale e fisica tale da togliere ogni autenticità e quindi ogni significato e valore alle cose che vi si dicono. E ciò non vale solo per il messaggio di ieri, dove i segni di questa inumana tortura traspaiono chiaramente. Vale anche per altri documenti compilati con la stessa calligrafia che, purtroppo, dobbiamo ancora aspettarci dai rapitori. Costituiranno soltanto il tragico dossier di un episodio di barbarie. Perciò non ha molto senso abbandonarsi a congetture o previsioni in merito a quale potrà essere l'atteggiamento di Aldo Moro. Spetta al governo e alle forze politiche democratiche assumere tutte le responsabilità, prendere posizione, guidare con fermezza la nazione. Si tratta di decidere su questioni politiche e di principio, riconducibili tutte ad un unico modo, drammaticamente elementare: la vera posta in gioco in questa vicenda è l'avvenire della Repubblica. Il dovere è arduo ma semplice: il regime democratico non può cedere al terrorismo. Guai se lo facesse. Cedere su questo terreno potrebbe soltanto aprire la strada a un crescendo di nuovi ricatti e di nuovi cedimenti, togliere qualsiasi sicurezza agli organi dello Stato e ai cittadini, gettare il paese alla mercé della violenza. Che proprio questo sia il disegno delle centrali terroristiche risulta in modo evidentissimo dall'ultimo volantino delle BR e dalla stessa lettera estorta a Moro. Che cosa significa avergli imposto la definizione di “prigioniero politico”, se non il tentativo di dare legittimità alla lotta armata di un gruppo criminale, per imporre allo Stato democratico il riconoscimento di un altro “potere”, di un “antiStato”? Ma questa sarebbe la fine di ogni convivenza civile. Sarebbe nient'altro che la sanzione della guerriglia, di uno scontro di bande contro bande, nel quale la democrazia verrebbe distrutta, colpita a morte. E a noi sembra chiaro che vada nello stesso senso il disegno di ricattare la DC e altre forze democratiche con la minaccia di chissà quali rivelazioni. Si vuole aprire una lotta lacerante tra le forze politiche, e soprattutto premere sul partito democristiano in modo che esso si comporti non come partito nazionale. Si tratta di obiettivi tanto perfidi quanto votati al fallimento se solo vi sarà una ferma risposta da parte della Repubblica, dei suoi cittadini e delle forze che la rappresentano. Siamo certi che il governo, e la stessa DC, pur nel tormento di un dramma anche umano che noi ben comprendiamo, respingeranno la logica suicida in cui vorrebbero irretirli i criminali e dimostreranno nel modo dovuto il loro senso dello Stato. Su questo terreno la nostra solidarietà sarà piena e tutto faremo per rafforzare la solidarietà delle forze repubblicane. Ma c'è una parte essenziale che deve essere assolta anche dalle masse popolari. Sono loro, in definitiva, la vera barriera alla eversione. Non si illudano i nemici della democrazia. Le grandi manifestazioni dei giorni scorsi non erano solo un omaggio alla persona di Moro e il segno di una solidarietà umana per le vittime del massacro di via Fani. Esse hanno dimostrato che la coscienza popolare ha ben capito come non esiste nessuna contraddizione tra la giusta, sacrosanta spinta al rinnovamento, alla giustizia, alla pulizia morale, al necessario ricambio dei gruppi dirigenti e la ferma difesa di questo regime democratico. E' semplicemente ridicola la pretesa delle BR di “processare” l'intera storia dell'ultimo trentennio e ciò per la ragione fondamentale che in questa storia c'è anzitutto il posto che i lavoratori, con la loro lotta, si sono guadagnati nella società e nello Stato. Quale “processo”? La società italiana ha molti mali, lo sappiamo benissimo. Ma per curarli l'unico modo possibile è quello di una lotta di cui siano protagoniste le grandi masse e nel quale cresca la loro coscienza, cultura, libertà, capacità di organizzarsi per guidare il Paese. Non a caso il ricatto eversivo interviene qui e ora: nel momento cioè in cui grandi masse di popolo sono riuscite a portare la loro azione davvero nel “cuore dello Stato”, nel momento in cui la necessaria democratizzazione dello Stato si intreccia sempre più strettamente con l'accrescimento del potere dei lavoratori. Perciò, colpire la democrazia significa colpire la costruzione di questo potere nuovo. Spezzare questo rapporto nuovo tra masse e Stato significa vanificare trent'anni di battaglie, ricacciare il movimento dei lavoratori indietro nella passività o nell'impotenza della pura ribellione. Ecco il proposito del terrorismo. Ecco perché il suo vero nemico siamo noi. Non ci sono “rivelazioni” che possono mutare di un grammo la sostanza del problema. Ma, poi, quali rivelazioni? Ciò che è stata la vicenda sociale e politica della Repubblica è ben chiara ed è ben presente alla memoria e alla coscienza del nostro popolo. Esso sa, per sua esperienza, avendo cioè toccato con mano la realtà con la lotta di massa e i movimenti politici e ideali, ed è proprio per questo ed è solo per questo che è possibile, ed è cresciuta, la lotta per il rinnovamento del Paese. Le “rivelazioni” di bande criminali o di servizi segreti non rivelano niente. Possono solo renderci più fermi nella lotta unitaria e di massa per allargare le basi dello Stato, per rafforzare l'unità e la solidarietà tra le forze democratiche.

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