Da L'Unità del 27/04/1978

Editoriale

Terroristi o qualcosa di più?

“Giova allo Stato italiano una certa politicizzazione delle Br o è meglio che siano respinte nel ghetto della violenza?” Intorno a questa domanda ruota l'argomentazione con la quale Baget Bozzo, su Repubblica di ieri, ha cercato di spostare dal piano umanitario a quello di una presunta utilità pratica e di un presunto realismo la richiesta sua e di altri che si tratti con i terroristi. Bene. Finalmente qualcuno che non si nasconde dietro i buoni sentimenti né dietro quesiti astratti (viene prima l'uomo o lo Stato?) e nemmeno dietro il formalismo delle leggi che non si possono violare. Qualcuno che ha l'onestà di partire dalla domanda vera: chi abbiamo di fronte? e, quindi, come e perché bisogna combatterlo? Non è vero che questo punto essenziale e decisivo sia chiaro. Noi stessi, giustamente preoccupati di combattere i “fiancheggiatori”, cioè l'area eversiva e violenta che in qualche modo fa da “alone” al terrorismo, abbiamo forse concesso troppo alla ricerca delle matrici ideologiche del fenomeno. Con il rischio di allontanarci troppo dall'oggi, e quindi dal reale disegno politico che abbiamo di fronte. Chi abbiamo di fronte? Forse una banda terroristica, potente, feroce, ma del tutto isolata, cioè senza agganci né con la società né col mondo politico (una banda alla Baader-Meinhof, per intenderci) per cui scegliere o meno di trattare può essere un problema tecnico o di opportunità (il valore dell'ostaggio), senza che ciò comporti effetti rovinosi e destabilizzanti? C'è poi, l'altra tesi, quella di Baget Bozzo: ci troviamo di fronte alla “guerriglia urbana” (qualcosa, insomma, di simile all'Irlanda); un fenomeno di tali proporzioni e novità che dovrebbe indurre a cercare mezzi nuovi per combatterlo. Ergo: trattativa e liberazione di detenuti potrebbero essere tra questi mezzi, anche perché concedendo alle Br una legittimazione, si farebbe venire allo scoperto la loro “dimensione politica”, intesa come “area di militanza e di consenso”. Tutte e due le tesi a noi sembrano completamente sbagliate. Partendo da analisi false, finiscono col nascondere il punto di fondo: chi è che ci sta di fronte, qual è il suo ruolo politico, quali sono gli esatti contorni della sfida che viene lanciata contro la democrazia. Come un iceberg Ci sta di fronte, il terrorismo. Ma, di per sé, questo non dice tutto e non significa molto. Di che terrorismo si tratta oggi, qui, in Italia? Raniero La Valle, su Paese Sera, ha dato a questo interrogativo una risposta, che ci sentiamo di condividere. Egli ha osservato che le Br sono soltanto “l'iceberg di un potente avversario che gioca su molti tavoli, non tutti clandestini, che riemerge “a sinistra” dopo essere stato battuto a destra, che non solo usa carte d'identità false, ma usa anche falsi nomi, falsi gerghi e dichiara falsi obiettivi...... che nelle librerie di sinistra compra le parole e i vecchi album di famiglia per comporre i suoi messaggi, nei negozi autorizzati acquista le armi, e negli arsenali fascisti prende la libidine del potere, il culto piccolo borghese per la violenza vendicatrice, il rancore per la classe operaia da cui è escluso, il disprezzo per la vita”. Abbiamo fatto questa lunga citazione perché le cose ci sembra stiano proprio così. Intendiamoci, il terrorismo esiste, è un fenomeno reale, non si tratta di commandos paracadutati dall'estero: esso si vale di gregari fanatici e addestrati. Ma - detto questo - è assurdo credere a tutto ciò che si legge nei farneticanti documenti “ideologici” delle Br. Che senso ha l'idea del “detonatore”, cioè del piccolo nucleo d'acciaio, l'avanguardia combattente che innesca la guerriglia? Ma dove l'innesca? In un paese come l'Italia, nel cuore d'Europa? Suvvia, amico Baget Bozzo, nemmeno in Sud America questa tesi ha trovato conferma, essendo anzi clamorosamente fallita. Un uso politico Questo - riteniamo - non significa non vedere il terrorismo come fenomeno reale, anche diffuso, e che quindi ha una sua matrice sociale, ideale, culturale. Ma è - appunto - terrorismo. Cioè, in definitiva, uno strumento di provocazione e di destabilizzazione, alla condizione (ecco la questione che non si vede o si fa finta di non vedere) che ci sia qualcuno nel mondo politico e statale - e non nel mondo degli esclusi e degli emarginati! - che del terrorismo faccia un uso politico. C'è questo qualcuno in Italia? Ci sono oggi le ragioni politiche per cui si sia tentati, da varie parti, di fare del terrorismo un uso politico? A noi sembra che solo così si spiegano tante cose. Del resto un'analisi analoga a questa l'abbiamo letta ancora ieri sulla Voce Repubblicana. Commentando i documenti delle Br e quelli a firma Moro, il giornale del PRI ricostruisce il disegno politico generale di “scardinare quella unità tra tutti i partiti dell'arco costituzionale, escluso il PLI, che aveva costituito oggetto di una lunga e travagliata battaglia”: di lacerare la DC; di rompere la coalizione di maggioranza e provocare la crisi di governo prendendo a pretesto l'impossibilità di sostenere un atteggiamento rigido di chiusura alla trattativa, attribuito a una imposizione del PCI. Ma a questo proposito bisogna prendere atto - e noi lo facciamo ben volentieri - che il PSI, cioè il partito che con la sua richiesta allo Stato di trattare si è differenziato dagli altri, ha immediatamente replicato alla Voce, affermando che non intende aprire nessuna crisi. Resta tuttavia il problema, come dice La Voce, di sapere “se sono le Brigate rosse che da sé vogliono spaccare l'Italia in due per creare il terreno più favorevole alla guerra civile, o se dietro di loro vi è un interesse più vasto”. L'obiettivo, e quindi il che è del terrorismo (un “chi è” non soltanto fisico ma politico) è questo: la rottura della solidarietà democratica, di quella solidarietà che è oggi la condizione necessaria per impedire che si apra una falla nel tessuto che tiene il regime democratico e repubblicano, attraverso la quale falla non passerebbero certo soluzioni di sinistra ma solo autoritarie e di destra. Ecco perché non c'è altra risposta al terrorismo che non sia la fermezza e l'unità delle forze democratiche. Ecco perché sono molto pericolosi i tentativi di stabilire una divisione artificiosa tra “falchi” e “colombe”, attribuendo a quelli che vengono definiti col primo nome non si sa quali velleità di irrigidire lo Stato in senso autoritario (è vero semmai il contrario); e a coloro che si elogiano col secondo nome un'esclusiva inesistente sulle ragioni della vita e dell'umanità.

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