Da Corriere della Sera del 21/09/2004

Il piano della Lioce: così il delitto Biagi colpirà governo e sindacati

di Giovanni Bianconi

ROMA - Quando decisero di uccidere Marco Biagi, le Brigate rosse pensarono bene di valutare preventivamente gli effetti che quel delitto avrebbe avuto sul dibattito politico e sindacale in corso in Italia. Dibattito particolarmente caldo in quei primi mesi del 2002, a cominciare dalle polemiche sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ovviamente era prevedibile che le reazioni al delitto sarebbero state di netta condanna, ma i brigatisti che si preparavano ad eseguirlo avevano pronte le controrepliche. Per esempio questa, un po’ sgrammaticata ma chiara: «Chi contestasse che la nostra azione rafforza l’azione di governo non avrebbe fondamento, perché se a fine febbraio c’è una progressione dell’iniziativa del governo, se va avanti mantenendo i tavoli come avviene e le proprie decisioni, dimostra come la realtà è l’inefficacia delle mobilitazioni realizzate». L’eventuale rafforzamento della politica governativa, dunque, sarebbe stata colpa del sindacato, non delle Br. E comunque, aggiungevano gli assassini di Biagi, «ci sono altri motivi di mobilitazione rispetto a cui un atteggiamento conciliatorio del sindacato si scontrerebbe con istanze che nascono da rivendicazioni specifiche».

Queste valutazioni sono contenute in un documento manoscritto trovato nella deposito brigatista di via Montecuccoli a Roma. Pagine e pagine di un bloc-notes riempite a carattere stampatello, probabilmente da Nadia Lioce. Un reperto che secondo la polizia dimostra che «l’omicidio del professor Biagi, commesso a Bologna, è stato certamente deciso e pianificato a Roma dal vertice dell’organizzazione». Vertice che, all’epoca del delitto, era composto dalla Lioce e da Mario Galesi, secondo ciò che ha raccontato la «pentita» Cinzia Banelli.

L’omicidio, nel documento, viene chiamato «attacco» oppure semplicemente «ini.», abbreviazione di «iniziativa». Scrive il brigatista estensore: «Ini. interviene sulla mediazione in atto... Interviene su una resistenza in atto senza effetti contro l’art. 18, ma con aspettative montate dalla mobilitazione». I «tempi di intervento» delle Br costituiscono una «variabile» a seconda che il delitto avvenga «entro l’approvazione della delega» sulla riforma del mercato del lavoro, oppure «entro i tempi della delega». Ed ecco le ulteriori considerazioni: «Reazione del governo: può esacerbare la conflittualità. Il sindacato può fermare la mobilitazione e incolpare noi. Ci potrebbe essere una spaccatura del sindacato? Esempio: Cisl e Uil, comportamento da unità nazionale. La Cgil lavora tanto ora per l’unità, difficilmente possono rinunciare a qualsiasi tipo di contrapposizione, anche di tipo referendario, al governo: ne va delle prospettive del centro-sinistra».

Nell’appunto - preceduto da dieci pagine di minuziosa ricostruzione degli incarichi, degli articoli e delle prese d posizione di Biagi sui temi più vari - si prevede che dopo l’omicidio «il governo tenderebbe ad approvare le proprie leggi con la propria maggioranza. Che riflessi su tutta la trattativa sul libro bianco? Per il sindacato sarebbe imbarazzante proseguire, per il governo sarebbe difficile fidarsi del sindacato. D’altra parte, Cisl e Uil come potrebbero non partecipare al dialogo?».

Da queste valutazioni, le convinzioni brigatiste finiscono per trarre nuova linfa. «L’attacco - si legge nell’appunto - avrebbe effetti diretti su azione, tempistica e discredito del progetto econ., sociale e politico che suscita una politicizzazione del conflitto classe e ne dimostra l’intima contraddittorietà. La sua funzione di modello europeo, la sua espressione di capacità dei governi di centrodestra è screditata dalla resistenza di classe che ha suscitato, e dall’opposizione rivoluzionaria». E ancora: «Ci sarebbe una maggiore aggressività nei confronti dell’opposizione. Sarebbe più complesso mantenere degli equilibri unitari». Anche per questo, il 19 marzo 2002, Marco Biagi fu assassinato mentre tornava a casa in bicicletta.

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