Da redazione del 15/11/2004
Esclusivo - Intervista a Franco Cardini
Parliamo di fondamentalismo
Professor Cardini che cos’è il fondamentalismo?
«La parola “fondamentalismo” nasce proprio negli Stati Uniti d’America alla fine dell’800. Nel 1895, a Niagara Falls, un gruppo di teologi protestanti “conservatori” si riunì in un congresso dal quale scaturì un documento in cui venivano sanciti i principi fondamentali di una Chiesa nuova, che fosse in grado di rispondere alla degenerazione del Cristianesimo e delle chiese storiche allontanatesi irrimediabilmente dai principi evangelici. Tale movimento ebbe la sua ufficializzazione pochi anni più tardi, nel 1919, con la costituzione del WFCA, il World Christian Fundamentals Association.
Questa lettura storico-semantica del termine fondamentalismo non ha evidentemente rapporti con l’odierno Fondamentalismo Islamico. Quando nel 1979 nacque la Repubblica Islamica Iraniana, gli Usa, da anni impegnati in quella zona del globo, sentirono la necessità di spiegare alla propria opinione pubblica il fenomeno del radicalismo religioso, che era tutt’altro che tradizionale, rappresentando invece una forma ed una visione nuove dell’Islam, un Islam politicizzato.
In particolare i giornalisti USA, si trovarono in quegli anni a dover esporre un fenomeno complesso che essi stessi non comprendevano fino in fondo: si giunse così, attingendo ad un background tutto americano, alla semplificazione per antonomasia ponendo in relazione il movimento protestante fondamentalista sopra descritto e questo nuovo Islam che, a loro giudizio, voleva anch’esso un ritorno alle fondamenta, alle origini. Si è trattato purtroppo di un enorme equivoco».
Oggi si parla molto di “scontro di civiltà”, secondo lei esiste un tale pericolo?
«Huntington ha scritto una bufala. Utilizza fonti statistiche molto discutibili e le assoggetta ad una tesi di fondo. Per altro non è una tesi nuova, già Bernard Lewis, negli anni ‘70, descriveva un disagio nell’evoluzione della storia musulmana che avrebbe portato inesorabilmente ad uno scontro tra il mondo musulmano e l’occidente cristiano.
Negli anni ’90 questa tesi ideologica venne riutilizzata per spiegare quanto stava avvenendo, non ultima la nascita di movimenti terroristici.
Per Huntington inoltre, le civiltà sono coerenti al loro interno e armate le une contro le altre: per esempio l’occidente, descritto come un unico blocco che comprenderebbe gli USA, l’Europa e l’Australia, paesi tra loro differenti per cultura, si contrapporrebbe naturalmente alla civiltà musulmana, e viceversa. Secondo me una tale schematizzazione del mondo non è affatto corretta.
Il libro è frutto di una propaganda politica ben delineata ed è oltretutto poco serio a livello scientifico».
Gli Stati Uniti stanno attraversando una crisi politica?
«Sicuramente gli USA stanno attraversando una profonda crisi, legata anche alla loro struttura socio-economica. È il paese più indebitato del mondo: il loro debito pubblico è enorme e quello commerciale solo nei confronti della Cina è di 120 milioni di dollari. Negli Stati Uniti per anni si è portata avanti una politica di liberalizzazione e di privatizzazione sfrenata nella quale i cittadini, solo alcuni ovviamente, sono divenuti azionisti dello stato.
Gli scricchiolii del sistema americano e soprattutto i suoi timori sono cresciuti esponenzialmente quando ad esempio alcuni stati arabi hanno manifestato la loro intenzione di sostituire l’euro al dollaro quale misura per gli scambi commerciali.
Si sta cercando di superare questa situazione no facile con il trucco dell’Asse del Male. Per il momento l’individuazione di un nemico tanto potente quanto effimero come è quello del terrorismo sembra funzionare: le paure degli americani aumentano mentre quelle dei banchieri e delle lobbies economiche diminuiscono. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un paese contraddittorio con enormi sacche di povertà.
Dopo l’11 settembre, con la proclamazione del Patrioct Act stiamo assistendo ad una deriva autoritaria senza precedenti nella quale l’opinione pubblica sembra digerire ogni cosa: pensiamo solo agli avvenimenti di Guantanamo, di Abu Graib oppure sul versante interno al caso Enron. Per non parlare degli stanziamenti sempre più ingenti che il governo dirotta per le spese militari, senza che nessuno batta ciglio. È una nazione malata, piena di fobie e con l’angoscia pericolosa di voler sempre sapere e possibilmente determinare quello che avviene in ogni parte del mondo: ne è un esempio il sistema di intercettazione Echelon.
L’Europa a mio avviso è molto diversa, ha un maggiore equilibrio, una reciproca assistenza. Vedremo».
Quale tipo di democrazia si istaurerà in Iraq dopo le elezioni di gennaio?
«Ci troveremo di fronte ad una democrazia simile a quella che si sta stabilendo in Afghanistan, dove i gruppi di potere preesistenti si mettono d’accordo con le forze occupanti per la divisione del potere stesso. All’Iraq di oggi, ma soprattutto a quello di domani, serve un governo che permetta alle multinazionali di continuare ad operare (come in Afghanistan ad esempio serviva l’autorizzazione per costruire un oleodotto che possa trasportare il greggio dal Kazakistan). Ovviamente affinché il tutto posa avere una parvenza di legalità internazionale servirà se non l’appoggio quantomeno l’avvallo dell’ONU e, anche se Kofi Annan ha parlato in passato di una guerra non legittima, sono in molti a pensare che le pressioni statunitensi riusciranno nel loro intento.
Agli USA non interessa sfruttare direttamente i giacimenti di petrolio iracheno, quanto semplicemente controllarli: in questo modo potranno determinare con maggiore sicurezza lo sviluppo economico europeo e giapponese per i quali invece quel petrolio è vitale.
Ebbene, con queste premesse certo non confortanti, quale democrazia possiamo esportare? A noi europei ci sono voluti tre secoli per arrivare ai moderni sistemi democratici in cui viviamo e fondamentale è stata la nascita e la crescita della “borghesia”. In Iraq comanderanno le solite tribù».
In Europa abbiamo assistito ad aspre polemiche sull’introduzione nella Costituzione Europea di un passaggio riguardante le radici cristiane. Cosa ne pensa?
«Le identità nell’uomo sono molteplici, dinamiche e imperfette. Spesso, come abbiamo detto, si confonde l’Europa con l’Occidente. Ricordiamoci che non sono la stessa cosa, ci sono altri elementi forti. Le identità sono composite. Bisogna tralasciare la culture dell’aut-aut.
Secondo me sarebbe stato opportuno parlare nella carta delle radici cristiane dell’Europa.
Noi europei abbiamo una pluralità di identità. Sottolineando il pregiudizio nei confronti della cultura cristiana, ma anche della cultura ebraica ed ellenistica, si è dato in fondo meno valore alla cultura umanistica, rinascimentale ed anche illuministica presente nella carta. Si pensava, introducendo i valori cristiani, di offendere la cultura laica, ma non è così. La cultura si sviluppa in vari modi, non si ha una radice unica.
Questo rifiuto, a mio avviso, inficia tutto il resto».
15-05-2005
Gavino Pala, Roberto Bortone
«La parola “fondamentalismo” nasce proprio negli Stati Uniti d’America alla fine dell’800. Nel 1895, a Niagara Falls, un gruppo di teologi protestanti “conservatori” si riunì in un congresso dal quale scaturì un documento in cui venivano sanciti i principi fondamentali di una Chiesa nuova, che fosse in grado di rispondere alla degenerazione del Cristianesimo e delle chiese storiche allontanatesi irrimediabilmente dai principi evangelici. Tale movimento ebbe la sua ufficializzazione pochi anni più tardi, nel 1919, con la costituzione del WFCA, il World Christian Fundamentals Association.
Questa lettura storico-semantica del termine fondamentalismo non ha evidentemente rapporti con l’odierno Fondamentalismo Islamico. Quando nel 1979 nacque la Repubblica Islamica Iraniana, gli Usa, da anni impegnati in quella zona del globo, sentirono la necessità di spiegare alla propria opinione pubblica il fenomeno del radicalismo religioso, che era tutt’altro che tradizionale, rappresentando invece una forma ed una visione nuove dell’Islam, un Islam politicizzato.
In particolare i giornalisti USA, si trovarono in quegli anni a dover esporre un fenomeno complesso che essi stessi non comprendevano fino in fondo: si giunse così, attingendo ad un background tutto americano, alla semplificazione per antonomasia ponendo in relazione il movimento protestante fondamentalista sopra descritto e questo nuovo Islam che, a loro giudizio, voleva anch’esso un ritorno alle fondamenta, alle origini. Si è trattato purtroppo di un enorme equivoco».
Oggi si parla molto di “scontro di civiltà”, secondo lei esiste un tale pericolo?
«Huntington ha scritto una bufala. Utilizza fonti statistiche molto discutibili e le assoggetta ad una tesi di fondo. Per altro non è una tesi nuova, già Bernard Lewis, negli anni ‘70, descriveva un disagio nell’evoluzione della storia musulmana che avrebbe portato inesorabilmente ad uno scontro tra il mondo musulmano e l’occidente cristiano.
Negli anni ’90 questa tesi ideologica venne riutilizzata per spiegare quanto stava avvenendo, non ultima la nascita di movimenti terroristici.
Per Huntington inoltre, le civiltà sono coerenti al loro interno e armate le une contro le altre: per esempio l’occidente, descritto come un unico blocco che comprenderebbe gli USA, l’Europa e l’Australia, paesi tra loro differenti per cultura, si contrapporrebbe naturalmente alla civiltà musulmana, e viceversa. Secondo me una tale schematizzazione del mondo non è affatto corretta.
Il libro è frutto di una propaganda politica ben delineata ed è oltretutto poco serio a livello scientifico».
Gli Stati Uniti stanno attraversando una crisi politica?
«Sicuramente gli USA stanno attraversando una profonda crisi, legata anche alla loro struttura socio-economica. È il paese più indebitato del mondo: il loro debito pubblico è enorme e quello commerciale solo nei confronti della Cina è di 120 milioni di dollari. Negli Stati Uniti per anni si è portata avanti una politica di liberalizzazione e di privatizzazione sfrenata nella quale i cittadini, solo alcuni ovviamente, sono divenuti azionisti dello stato.
Gli scricchiolii del sistema americano e soprattutto i suoi timori sono cresciuti esponenzialmente quando ad esempio alcuni stati arabi hanno manifestato la loro intenzione di sostituire l’euro al dollaro quale misura per gli scambi commerciali.
Si sta cercando di superare questa situazione no facile con il trucco dell’Asse del Male. Per il momento l’individuazione di un nemico tanto potente quanto effimero come è quello del terrorismo sembra funzionare: le paure degli americani aumentano mentre quelle dei banchieri e delle lobbies economiche diminuiscono. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un paese contraddittorio con enormi sacche di povertà.
Dopo l’11 settembre, con la proclamazione del Patrioct Act stiamo assistendo ad una deriva autoritaria senza precedenti nella quale l’opinione pubblica sembra digerire ogni cosa: pensiamo solo agli avvenimenti di Guantanamo, di Abu Graib oppure sul versante interno al caso Enron. Per non parlare degli stanziamenti sempre più ingenti che il governo dirotta per le spese militari, senza che nessuno batta ciglio. È una nazione malata, piena di fobie e con l’angoscia pericolosa di voler sempre sapere e possibilmente determinare quello che avviene in ogni parte del mondo: ne è un esempio il sistema di intercettazione Echelon.
L’Europa a mio avviso è molto diversa, ha un maggiore equilibrio, una reciproca assistenza. Vedremo».
Quale tipo di democrazia si istaurerà in Iraq dopo le elezioni di gennaio?
«Ci troveremo di fronte ad una democrazia simile a quella che si sta stabilendo in Afghanistan, dove i gruppi di potere preesistenti si mettono d’accordo con le forze occupanti per la divisione del potere stesso. All’Iraq di oggi, ma soprattutto a quello di domani, serve un governo che permetta alle multinazionali di continuare ad operare (come in Afghanistan ad esempio serviva l’autorizzazione per costruire un oleodotto che possa trasportare il greggio dal Kazakistan). Ovviamente affinché il tutto posa avere una parvenza di legalità internazionale servirà se non l’appoggio quantomeno l’avvallo dell’ONU e, anche se Kofi Annan ha parlato in passato di una guerra non legittima, sono in molti a pensare che le pressioni statunitensi riusciranno nel loro intento.
Agli USA non interessa sfruttare direttamente i giacimenti di petrolio iracheno, quanto semplicemente controllarli: in questo modo potranno determinare con maggiore sicurezza lo sviluppo economico europeo e giapponese per i quali invece quel petrolio è vitale.
Ebbene, con queste premesse certo non confortanti, quale democrazia possiamo esportare? A noi europei ci sono voluti tre secoli per arrivare ai moderni sistemi democratici in cui viviamo e fondamentale è stata la nascita e la crescita della “borghesia”. In Iraq comanderanno le solite tribù».
In Europa abbiamo assistito ad aspre polemiche sull’introduzione nella Costituzione Europea di un passaggio riguardante le radici cristiane. Cosa ne pensa?
«Le identità nell’uomo sono molteplici, dinamiche e imperfette. Spesso, come abbiamo detto, si confonde l’Europa con l’Occidente. Ricordiamoci che non sono la stessa cosa, ci sono altri elementi forti. Le identità sono composite. Bisogna tralasciare la culture dell’aut-aut.
Secondo me sarebbe stato opportuno parlare nella carta delle radici cristiane dell’Europa.
Noi europei abbiamo una pluralità di identità. Sottolineando il pregiudizio nei confronti della cultura cristiana, ma anche della cultura ebraica ed ellenistica, si è dato in fondo meno valore alla cultura umanistica, rinascimentale ed anche illuministica presente nella carta. Si pensava, introducendo i valori cristiani, di offendere la cultura laica, ma non è così. La cultura si sviluppa in vari modi, non si ha una radice unica.
Questo rifiuto, a mio avviso, inficia tutto il resto».
15-05-2005
Gavino Pala, Roberto Bortone
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