Da El Pais del 17/01/2005
Torture, assassinii, sevizie: un saggio ricostruisce il periodo buio della lotta a Sendero Luminoso
Perù, vent’anni di barbarie senza fine
A Toctos i militari collezionavano orecchie e teste mozzate
di Mario Vargas Llosa
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Chissà se nel 1980, mentre si accingeva a scatenare la guerra rivoluzionaria che doveva trasformare il Perù in una società maoista fondamentalista, Abimael Gonzalez, leader del movimento Sendero Luminoso, immaginava gli orrori che l'insurrezione avrebbe provocato. L'anno scorso il rapporto della Commissione per la Verità e la Riconciliazione presieduta da Salomón Lerner Febres descrisse i due decenni di guerra spaventosa nel corso dei quali furono assassinati, torturati o fatti scomparire più di sessantanovemila peruviani, in maggioranza uomini e donne di condizione umile e del tutto innocenti rimasti intrappolati fra due rulli compressori, quello della guerriglia e quello delle forze dell'ordine, e stritolati con feroce accanimento. Nonostante il tono pacato e lo sforzo per attenersi alla verità dei fatti, il rapporto è stato ingiustamente criticato e nessuna delle conclusioni a cui arriva è stata presa in considerazione dalle autorità, che l'hanno archiviato e dimenticato.
Probabilmente lo stesso succederà con il materiale che il giornalista Ricardo Uceda, all'epoca direttore del settimanale di sinistra Sí, ha raccolto nel libro Morte nel piccolo Pentagono. I cimiteri segreti dell'esercito peruviano, pubblicato di recente dal gruppo editoriale Planeta. In otto anni di ricerche e grazie alle testimonianze degli stessi protagonisti, l'autore ha ricostruito le operazioni d'intelligence, le torture, le esecuzioni sommarie e i rapimenti condotti nell'ombra da diversi corpi della polizia e delle forze armate, nonché da un'organizzazione paramilitare nata durante la presidenza di Alan García, crimini che contarono sul beneplacito, la complicità o l'indifferenza ponziopilatesco dei governi. Anche se Uceda contesta e rettifica alcune affermazioni contenute nel rapporto della Commissione, essenzialmente i due lavori coincidono nel dimostrare come negli anni ottanta il Perù fosse diventato quello che il poeta Miguel Hernandez, riferendosi alla distruzione di Guadalajara da parte dei bombardieri nazisti e fascisti, chiamò «l'apogeo del terrore».
L'idea di iniziare una simile rivoluzione era una follia, tanto più che in quel momento, dopo dodici anni di dittatura militare, il Perù aveva appena ricuperato la democrazia. La violenza rese praticamente impossibili la rinascita e la rimessa in funzione delle istituzioni democratiche. Le azioni terroristiche, gli omicidi e gli attacchi contro poliziotti, autorità dello Stato e presunti sfruttatori «nemici di classe» costrinsero il neopresidente Belaunde Terry a fare ricorso obtorto collo alle forze armate affinché combattessero una sovversione che dalla città di Ayacucho e dintorni divampava come un incendio. L'esercito non era pronto a far fronte alla guerra sovversiva. Quando i generali ricevettero l'incarico, i servizi di intelligence militare non sapevano né cosa fosse né come agisse Sendero Luminoso. Al punto che, per compilare la prima relazione, il sottufficiale Julio Sosa, principale informatore di Uceda e vera e propria macchina assassina, un personaggio che sembra ritagliato da un film noir o dalla letteratura sadica, si servì di volantini e di libretti acquistati sui marciapiedi del Parque Universitario.
La strategia controrivoluzionaria è fin dall'inizio rozza ed elementare: rispondere al terrore con più terrore per ottenere informazioni e perché la popolazione civile sappia a cosa va incontro se osa collaborare con i senderistas. Questa filosofia supporta i crimini più efferati. In molti casi la brutalità è aggravata dall'inefficienza. I primi gruppi di intelligence spediti ad Ayacucho sottopongono ogni detenuto a violenze inenarrabili, ma spesso non sanno nemmeno cosa domandare e in molti casi si limitano a uccidere per incapacità. La curva di apprendimento coincide con una veloce disumanizzazione nella quale i difensori della legalità e dei diritti umani tutelati dall'ordinamento democratico finirono per commettere le stesse atrocità della guerriglia.
Ricardo Uceda fornisce i nomi, i gradi e i battaglioni di appartenenza delle decine di ufficiali e sottoufficiali che, per ubbidire agli ordini dei superiori o convinti di fare quello che l'Esercito e il potere politico si aspettavano, hanno perpetrato le più esecrabili e abiette violazioni dei diritti umani, impiccando le vittime, sommergendole in vasche fino allo scoppio dei polmoni, massacrandole di botte e torturandole prima di assassinarle e di farne sparire i cadaveri sul rogo o in fosse comuni scavate in luoghi segreti. Nemmeno le forme più elementari della legalità sono state rispettate: i giudici erano all'oscuro degli arresti e ai parenti che chiedevano notizie sugli scomparsi venivano fornite risposte false.
Il libro non è facile da leggere perché molte rivelazioni colpiscono fino alla nausea. Le pagine più terribili sono certamente quelle che descrivono il funzionamento dell'accampamento militare di Toctos, dove venivano imprigionati, interrogati e liquidati i sospettati di collaborazione con Sendero Luminoso. Uceda non fornisce cifre, ma non è difficile dedurre che centinaia di studenti, contadini, sindacalisti, ma anche semplici senza tetto, sono stati portati a Toctos, torturati per ricavare informazioni e infine sterminati. È indubbio che un'altissima percentuale di cittadini del tutto innocenti è stata spinta negli ingranaggi di una macchina della morte alla quale era impossibile sfuggire dal caso, da una soffiata o da una bugia. All'inizio si uccideva soprattutto per estorcere informazioni o come rappresaglia. Poi uccidere divenne il metodo più semplice per eliminare i testimoni scomodi e anche soltanto per poter derubare le vittime. Prima di essere assassinate le ragazze e le donne torturate venivano consegnate ai soldati, i quali le violentavano sull'orlo delle stesse fosse comuni che le avrebbero inghiottite. Le testimonianze dimostrano che l'ipotesi lamarckiana (ovvero, la funzione fa l'organo) acquisì una agghiacciante realtà: molti aguzzini collezionavano orecchie e nasi delle vittime per esibirli come trofei di guerra infilzati nel filo di ferro o racchiusi in barattoli. Un testimone racconta di un giovane sottotenente appena arrivato a Toctos che, invitato dai commilitoni ubriachi a dimostrate la propria virilità sgozzando un terrorista, trova del tutto naturale aprire una cella a caso e tornare dai compagni di bevuta con una testa sanguinante in mano.
Il libro dimostra con chiarezza che queste mostruosità non erano scandalose eccezioni bensì comportamenti resi rapidamente «normali» per effetto dell'esasperazione provocata nelle file dell'esercito e nella società civile sia dai terroristi che dall'incapacità delle autorità civili e militari di neutralizzarli in maniera inequivocabile e definitiva. La verità è che le alte sfere militari tollerarono le atrocità, e in molti casi addirittura le istigarono e le coprirono, e che il potere politico fece finta di niente per non dover intervenire. Questo spiega perché il recupero della democrazia sia durato soltanto quanto i governi di Belaunde Terry e di Alan García, e perché nel 1992 il colpo di stato di Fujimori sia stato accolto con indifferenza e spesso con favore da molti peruviani. Quale democrazia potevano essere disposti a difendere quei cittadini che vivevano sotto le bombe, i crimini e la violenza dei senderistas, o quelli che, per il semplice fatto di trovarsi nella terra di nessuno, erano vittime sia delle forze dell'ordine chiamati a tutelarli che dei terroristi?
Con la dittatura di Fujimori e del suo ministro Montesinos l'esercizio del terrore smise di essere una pratica abituale per diventare la politica ufficiale dello stato. Per di più questa politica contava sull'ampio appoggio di una società civile spinta dall'insicurezza e dalla paura a credere che soltanto la «mano dura» avrebbe ristabilito l'ordine.
Le vittime non erano più portate in montagna fino al lontano accampamento di Toctos. Rinchiuse negli infernotti del Piccolo Pentagono, ovvero, nella sede dello Stato Maggiore dell'Esercito del Perù, esse venivano trucidate e fatte sciogliere nella calce viva. Le lettere-bomba spedite agli attivisti dei diritti umani, giornalisti di opposizione e presunti alleati dei terroristi erano confezionate negli uffici del Servizio di intelligence. Eppure alcuni crimini abominevoli di quegli anni, come l'assassinio nel novembre 1991 di quindici persone, fra cui un bambino di otto anni, che partecipavano a una grigliata nel giardino di una casa dei Barrios Altos, o il massacro di otto studenti e un docente dell'università di La Cantuta accusati di essere senderisti o complici della guerriglia, suscitarono proteste che alla lunga finirono per minare le fondamenta del regime e contribuirono alla sua caduta. Su entrambi i casi il libro di Uceda fornisce dati inediti che dimostrano la responsabilità dei principali gerarchi.
Non tutte le testimonianze e le informazioni riportate sul libro hanno la stessa forza persuasiva. Alcune opinioni non documentate sconcertano, come le accusa nei confronti di Leonor La Rosa, una funzionaria del Servizio di intelligence che è stata torturata, violentata e convertita in un relitto umano dai suo stessi colleghi (i quali sospettavano che passasse informazioni alla stampa) e che oggi è invalida e ha ottenuto asilo politico in Svezia. Ma nonostante tutto, il libro riesce a non essere né una diatriba né un pamphlet sensazionalista e demagogico, bensì uno sforzo serio e responsabile per riportare alla luce e vagliare tutto il contraddittorio e sfuggente materiale di cui disponiamo. L'autore ha dovuto certamente pagare un elevato tributo personale pur di ricostruire i dettagli più amari di un'avventura ideologica insensata che anziché stabilire il paradiso ugualitario aggravò la tragedia che vivevano i poveri del Perù e seppellì nel fango tutto il paese.
Probabilmente lo stesso succederà con il materiale che il giornalista Ricardo Uceda, all'epoca direttore del settimanale di sinistra Sí, ha raccolto nel libro Morte nel piccolo Pentagono. I cimiteri segreti dell'esercito peruviano, pubblicato di recente dal gruppo editoriale Planeta. In otto anni di ricerche e grazie alle testimonianze degli stessi protagonisti, l'autore ha ricostruito le operazioni d'intelligence, le torture, le esecuzioni sommarie e i rapimenti condotti nell'ombra da diversi corpi della polizia e delle forze armate, nonché da un'organizzazione paramilitare nata durante la presidenza di Alan García, crimini che contarono sul beneplacito, la complicità o l'indifferenza ponziopilatesco dei governi. Anche se Uceda contesta e rettifica alcune affermazioni contenute nel rapporto della Commissione, essenzialmente i due lavori coincidono nel dimostrare come negli anni ottanta il Perù fosse diventato quello che il poeta Miguel Hernandez, riferendosi alla distruzione di Guadalajara da parte dei bombardieri nazisti e fascisti, chiamò «l'apogeo del terrore».
L'idea di iniziare una simile rivoluzione era una follia, tanto più che in quel momento, dopo dodici anni di dittatura militare, il Perù aveva appena ricuperato la democrazia. La violenza rese praticamente impossibili la rinascita e la rimessa in funzione delle istituzioni democratiche. Le azioni terroristiche, gli omicidi e gli attacchi contro poliziotti, autorità dello Stato e presunti sfruttatori «nemici di classe» costrinsero il neopresidente Belaunde Terry a fare ricorso obtorto collo alle forze armate affinché combattessero una sovversione che dalla città di Ayacucho e dintorni divampava come un incendio. L'esercito non era pronto a far fronte alla guerra sovversiva. Quando i generali ricevettero l'incarico, i servizi di intelligence militare non sapevano né cosa fosse né come agisse Sendero Luminoso. Al punto che, per compilare la prima relazione, il sottufficiale Julio Sosa, principale informatore di Uceda e vera e propria macchina assassina, un personaggio che sembra ritagliato da un film noir o dalla letteratura sadica, si servì di volantini e di libretti acquistati sui marciapiedi del Parque Universitario.
La strategia controrivoluzionaria è fin dall'inizio rozza ed elementare: rispondere al terrore con più terrore per ottenere informazioni e perché la popolazione civile sappia a cosa va incontro se osa collaborare con i senderistas. Questa filosofia supporta i crimini più efferati. In molti casi la brutalità è aggravata dall'inefficienza. I primi gruppi di intelligence spediti ad Ayacucho sottopongono ogni detenuto a violenze inenarrabili, ma spesso non sanno nemmeno cosa domandare e in molti casi si limitano a uccidere per incapacità. La curva di apprendimento coincide con una veloce disumanizzazione nella quale i difensori della legalità e dei diritti umani tutelati dall'ordinamento democratico finirono per commettere le stesse atrocità della guerriglia.
Ricardo Uceda fornisce i nomi, i gradi e i battaglioni di appartenenza delle decine di ufficiali e sottoufficiali che, per ubbidire agli ordini dei superiori o convinti di fare quello che l'Esercito e il potere politico si aspettavano, hanno perpetrato le più esecrabili e abiette violazioni dei diritti umani, impiccando le vittime, sommergendole in vasche fino allo scoppio dei polmoni, massacrandole di botte e torturandole prima di assassinarle e di farne sparire i cadaveri sul rogo o in fosse comuni scavate in luoghi segreti. Nemmeno le forme più elementari della legalità sono state rispettate: i giudici erano all'oscuro degli arresti e ai parenti che chiedevano notizie sugli scomparsi venivano fornite risposte false.
Il libro non è facile da leggere perché molte rivelazioni colpiscono fino alla nausea. Le pagine più terribili sono certamente quelle che descrivono il funzionamento dell'accampamento militare di Toctos, dove venivano imprigionati, interrogati e liquidati i sospettati di collaborazione con Sendero Luminoso. Uceda non fornisce cifre, ma non è difficile dedurre che centinaia di studenti, contadini, sindacalisti, ma anche semplici senza tetto, sono stati portati a Toctos, torturati per ricavare informazioni e infine sterminati. È indubbio che un'altissima percentuale di cittadini del tutto innocenti è stata spinta negli ingranaggi di una macchina della morte alla quale era impossibile sfuggire dal caso, da una soffiata o da una bugia. All'inizio si uccideva soprattutto per estorcere informazioni o come rappresaglia. Poi uccidere divenne il metodo più semplice per eliminare i testimoni scomodi e anche soltanto per poter derubare le vittime. Prima di essere assassinate le ragazze e le donne torturate venivano consegnate ai soldati, i quali le violentavano sull'orlo delle stesse fosse comuni che le avrebbero inghiottite. Le testimonianze dimostrano che l'ipotesi lamarckiana (ovvero, la funzione fa l'organo) acquisì una agghiacciante realtà: molti aguzzini collezionavano orecchie e nasi delle vittime per esibirli come trofei di guerra infilzati nel filo di ferro o racchiusi in barattoli. Un testimone racconta di un giovane sottotenente appena arrivato a Toctos che, invitato dai commilitoni ubriachi a dimostrate la propria virilità sgozzando un terrorista, trova del tutto naturale aprire una cella a caso e tornare dai compagni di bevuta con una testa sanguinante in mano.
Il libro dimostra con chiarezza che queste mostruosità non erano scandalose eccezioni bensì comportamenti resi rapidamente «normali» per effetto dell'esasperazione provocata nelle file dell'esercito e nella società civile sia dai terroristi che dall'incapacità delle autorità civili e militari di neutralizzarli in maniera inequivocabile e definitiva. La verità è che le alte sfere militari tollerarono le atrocità, e in molti casi addirittura le istigarono e le coprirono, e che il potere politico fece finta di niente per non dover intervenire. Questo spiega perché il recupero della democrazia sia durato soltanto quanto i governi di Belaunde Terry e di Alan García, e perché nel 1992 il colpo di stato di Fujimori sia stato accolto con indifferenza e spesso con favore da molti peruviani. Quale democrazia potevano essere disposti a difendere quei cittadini che vivevano sotto le bombe, i crimini e la violenza dei senderistas, o quelli che, per il semplice fatto di trovarsi nella terra di nessuno, erano vittime sia delle forze dell'ordine chiamati a tutelarli che dei terroristi?
Con la dittatura di Fujimori e del suo ministro Montesinos l'esercizio del terrore smise di essere una pratica abituale per diventare la politica ufficiale dello stato. Per di più questa politica contava sull'ampio appoggio di una società civile spinta dall'insicurezza e dalla paura a credere che soltanto la «mano dura» avrebbe ristabilito l'ordine.
Le vittime non erano più portate in montagna fino al lontano accampamento di Toctos. Rinchiuse negli infernotti del Piccolo Pentagono, ovvero, nella sede dello Stato Maggiore dell'Esercito del Perù, esse venivano trucidate e fatte sciogliere nella calce viva. Le lettere-bomba spedite agli attivisti dei diritti umani, giornalisti di opposizione e presunti alleati dei terroristi erano confezionate negli uffici del Servizio di intelligence. Eppure alcuni crimini abominevoli di quegli anni, come l'assassinio nel novembre 1991 di quindici persone, fra cui un bambino di otto anni, che partecipavano a una grigliata nel giardino di una casa dei Barrios Altos, o il massacro di otto studenti e un docente dell'università di La Cantuta accusati di essere senderisti o complici della guerriglia, suscitarono proteste che alla lunga finirono per minare le fondamenta del regime e contribuirono alla sua caduta. Su entrambi i casi il libro di Uceda fornisce dati inediti che dimostrano la responsabilità dei principali gerarchi.
Non tutte le testimonianze e le informazioni riportate sul libro hanno la stessa forza persuasiva. Alcune opinioni non documentate sconcertano, come le accusa nei confronti di Leonor La Rosa, una funzionaria del Servizio di intelligence che è stata torturata, violentata e convertita in un relitto umano dai suo stessi colleghi (i quali sospettavano che passasse informazioni alla stampa) e che oggi è invalida e ha ottenuto asilo politico in Svezia. Ma nonostante tutto, il libro riesce a non essere né una diatriba né un pamphlet sensazionalista e demagogico, bensì uno sforzo serio e responsabile per riportare alla luce e vagliare tutto il contraddittorio e sfuggente materiale di cui disponiamo. L'autore ha dovuto certamente pagare un elevato tributo personale pur di ricostruire i dettagli più amari di un'avventura ideologica insensata che anziché stabilire il paradiso ugualitario aggravò la tragedia che vivevano i poveri del Perù e seppellì nel fango tutto il paese.
Annotazioni − Articolo pubblicato il 17/01/2005 su "La Stampa".
Traduzione del Gruppo Logos.
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