Da La Repubblica del 13/02/2005
"Su Primavalle ho taciuto ma ne porto il peso morale"
Parla Franco Piperno, ex leader di Potere Operaio la verità sul rogo l'ho saputa solo un mese dopo
di Silvana Mazzocchi
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ROMA - Definisce "omissione" la sua scelta di coprire le responsabilità di Potere operaio per la strage di Primavalle. Ripete di aver appreso la verità soltanto un mese dopo, quando Marino Clavo, costretto da Valerio Morucci, ammise i fatti. Ma di non aver mai saputo nulla sul coinvolgimento di Paolo Gaeta, Diana Perrone e Elisabetta Lecco nell'attentato che il 16 aprile 1973 costò la vita a Virgilio Mattei e al suo fratellino Stefano. Replica a Giampaolo Mattei che ha definito "sconcertanti" le sue parole su una "destra che vuole alimentare un clima da guerra civile". E precisa che non intendeva certo riferirsi ai famigliari delle vittime "che portano il fardello di un dolore insanabile, bensì a quelle forze politiche che strumentalizzano irresponsabilmente la vicenda". Franco Piperno, 61 anni, insegnante di Fisica alla Sapienza di Roma e all'Università di Cosenza e all'epoca segretario nazionale di Potere Operaio, reputa "assurda" la denuncia del legale della famiglia Mattei che, insieme con Lanfranco Pace e Valerio Morucci, lo vuole mandante della strage. Un'accusa che respinge.
"Eravamo convinti dell'innocenza dei compagni, la prova è che li mandammo a dormire a casa e fu così che Achille Lollo venne arrestato", mentre ammette: "Porterò per sempre il peso morale di quanto accaduto trent'anni fa. Un episodio gravissimo che l'anno successivo fu tra le cause principali dello scioglimento di Potere operaio".
Durante la pausa di un convegno al quale partecipa nel suo ruolo di assessore alla comunicazione per il comune di Cosenza, Piperno accetta con qualche riluttanza di ricostruire il filo di quei terribili giorni. "Il passato non finirà mai di pesare sulle nostre coscienze" dice "ma finché non sapremo affrontarlo a livello politico invece che giudiziario, non si riuscirà mai a ricomporre il mosaico".
Proviamo con qualche tessera: voi del vertice di Potere operaio sapevate di quell'agguato? Nel fare i nomi di Gaeta, Perrone e Lecco, Achille Lollo ha detto che tutti insieme avevano dato vita a un collettivo, ai margini della sezione. La risposta evoca un tempo che non c'è più e una frammentazione organizzativa oggi incomprensibile. "Io ero il segretario nazionale di Potere operaio, la nostra sede di Primavalle dipendeva da Roma e aveva un suo responsabile. Certo tutti noi eravamo a conoscenza che lì, al nostro interno, esisteva un gruppetto con idee più estremiste. Ma niente di più. In quei giorni gli scontri erano continui e, poco tempo prima, a Primavalle c'era stato un attentato anche alla nostra sezione".
Piperno conferma il ricordo di Lollo che nella sua intervista ha raccontato quando, nella sede nazionale di via del Boschetto, l'intero vertice di Potere operaio "li torchiò per sapere la verità". Dice: "Credemmo alla loro innocenza, interrogammo tutti i compagni di Primavalle, sì anche Gaeta, Perrone e Lecco. Coprirono Lollo e gli altri, insomma sostanzialmente fornirono l'alibi, come poi avrebbero fatto anche con la magistratura. Ma in seguito Gaeta e Perrone fecero marcia indietro".
Mentre nel vertice di Potere operaio i dubbi si moltiplicano, l'inchiesta interna viene affidata a Valerio Morucci. "Pretesi di sapere quale fosse la verità. Insomma a chi e quando Gaeta e Perrone avevano mentito, con la prima o con la seconda versione? Mi assicurarono che la seconda era quella vera e Diana Perrone aggiunse di aver mentito in seguito alle pressioni ricevute da Lollo. Alla fine decidemmo di non sospenderli".
All'epoca Morucci era responsabile del "Lavoro illegale", la struttura occulta di Potere Operaio e aveva avuto più di un sospetto sull'innocenza dei compagni per quel fatto gravissimo. Finché era andato a Firenze dove si nascondeva Marino Clavo e, con la pistola sul tavolo, aveva incassato quel "siamo stati noi", un'ammissione di responsabilità terribile, anche se non proprio spontanea. Conferma Piperno: "E' vero, Morucci mi riferì quanto era accaduto; che Clavo aveva ceduto, aggiungendo che era stato un incidente e che loro non avevano mai avuto l'intenzione di uccidere. Ricordo che Morucci era fuori di sé; avrebbe voluto intervenire pesantemente, con i suoi metodi. Mi opposi. Non potevamo agire nello stesso modo di quelli che condannavamo".
Nei giorni dell'odio in ambedue gli schieramenti la morale corrente era quella del "fine giustifica i mezzi" e all'epoca tutta la sinistra aveva appoggiato l'innocenza di Potere operaio. A trent'anni di distanza Piperno insiste che "parlare non sarebbe stato proprio possibile. Non c'erano prove e l'ammissione ricevuta in quel modo da Morucci, in quel contesto sarebbe stata ingestibile. E poi che cosa sarebbe accaduto dentro Potere operaio?". Conclude: "Sì, sono colpevole, ma di omissione. Non potevo fare diversamente". Ma tiene a precisare che da allora Potere Operaio non parlò più, in alcun documento, di innocenza dei compagni. E quel libretto edito da Giulio Savelli, "Primavalle, un inferno a porte chiuse", in cui si sostiene la tesi della faida tra missini, che cosa è? "Lo sono andato a ricercare in queste ore", puntualizza "e non c'è scritto Potere operaio. Fu fatto solo per iniziativa di alcuni compagni, altro non ricordo".
Libri o no, il silenzio c'è stato ed è giusto e comprensibile che i famigliari delle vittime vogliano giustizia. "Io non contesto questo diritto, ci mancherebbe. Quando ho parlato di clima da guerra civile intendevo sottolineare quanto accadeva allora. Tutta quella violenza era reciproca e c'è stata da una parte e dall'altra. Certo, quella strage fu per noi un colpo terribile, l'ho detto. E, anche se io non ho mai riferito dentro il gruppo quello che Morucci aveva saputo da Clavo, Potere operaio si sciolse comunque".
Trentadue anni dopo, la strage di Primavalle registra un triste bilancio. Assoluzioni e condanne, fughe, latitanze, impunità, silenzi. E rivelazioni. "In quegli anni la magistratura attribuì alla sinistra e a tutti noi di Potere operaio responsabilità enormi, ci attribuì una serie infinita di delitti, ma non ci indicò mai come i responsabili della morte dei fratelli Mattei. E non è l'unico paradosso. Non è strano che nessuno abbia fatto una piega dinanzi a un'altra affermazione di Lollo, che l'allora pubblico ministero Domenico Sica tentò di tirarci dentro in cambio della libertà provvisoria? Ma io non mi stupisco. Basti pensare che, successivamente alla tragica fine di Aldo Moro nel maggio '78, raccontai in un'intervista di aver incontrato Mario Moretti proprio qualche settimana dopo. Ebbene in tutti questi anni, nessun magistrato ha sentito il bisogno d'interrogarmi su quell'episodio. Lo fece solo qualche anno fa, per puro caso, il presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino".
"Eravamo convinti dell'innocenza dei compagni, la prova è che li mandammo a dormire a casa e fu così che Achille Lollo venne arrestato", mentre ammette: "Porterò per sempre il peso morale di quanto accaduto trent'anni fa. Un episodio gravissimo che l'anno successivo fu tra le cause principali dello scioglimento di Potere operaio".
Durante la pausa di un convegno al quale partecipa nel suo ruolo di assessore alla comunicazione per il comune di Cosenza, Piperno accetta con qualche riluttanza di ricostruire il filo di quei terribili giorni. "Il passato non finirà mai di pesare sulle nostre coscienze" dice "ma finché non sapremo affrontarlo a livello politico invece che giudiziario, non si riuscirà mai a ricomporre il mosaico".
Proviamo con qualche tessera: voi del vertice di Potere operaio sapevate di quell'agguato? Nel fare i nomi di Gaeta, Perrone e Lecco, Achille Lollo ha detto che tutti insieme avevano dato vita a un collettivo, ai margini della sezione. La risposta evoca un tempo che non c'è più e una frammentazione organizzativa oggi incomprensibile. "Io ero il segretario nazionale di Potere operaio, la nostra sede di Primavalle dipendeva da Roma e aveva un suo responsabile. Certo tutti noi eravamo a conoscenza che lì, al nostro interno, esisteva un gruppetto con idee più estremiste. Ma niente di più. In quei giorni gli scontri erano continui e, poco tempo prima, a Primavalle c'era stato un attentato anche alla nostra sezione".
Piperno conferma il ricordo di Lollo che nella sua intervista ha raccontato quando, nella sede nazionale di via del Boschetto, l'intero vertice di Potere operaio "li torchiò per sapere la verità". Dice: "Credemmo alla loro innocenza, interrogammo tutti i compagni di Primavalle, sì anche Gaeta, Perrone e Lecco. Coprirono Lollo e gli altri, insomma sostanzialmente fornirono l'alibi, come poi avrebbero fatto anche con la magistratura. Ma in seguito Gaeta e Perrone fecero marcia indietro".
Mentre nel vertice di Potere operaio i dubbi si moltiplicano, l'inchiesta interna viene affidata a Valerio Morucci. "Pretesi di sapere quale fosse la verità. Insomma a chi e quando Gaeta e Perrone avevano mentito, con la prima o con la seconda versione? Mi assicurarono che la seconda era quella vera e Diana Perrone aggiunse di aver mentito in seguito alle pressioni ricevute da Lollo. Alla fine decidemmo di non sospenderli".
All'epoca Morucci era responsabile del "Lavoro illegale", la struttura occulta di Potere Operaio e aveva avuto più di un sospetto sull'innocenza dei compagni per quel fatto gravissimo. Finché era andato a Firenze dove si nascondeva Marino Clavo e, con la pistola sul tavolo, aveva incassato quel "siamo stati noi", un'ammissione di responsabilità terribile, anche se non proprio spontanea. Conferma Piperno: "E' vero, Morucci mi riferì quanto era accaduto; che Clavo aveva ceduto, aggiungendo che era stato un incidente e che loro non avevano mai avuto l'intenzione di uccidere. Ricordo che Morucci era fuori di sé; avrebbe voluto intervenire pesantemente, con i suoi metodi. Mi opposi. Non potevamo agire nello stesso modo di quelli che condannavamo".
Nei giorni dell'odio in ambedue gli schieramenti la morale corrente era quella del "fine giustifica i mezzi" e all'epoca tutta la sinistra aveva appoggiato l'innocenza di Potere operaio. A trent'anni di distanza Piperno insiste che "parlare non sarebbe stato proprio possibile. Non c'erano prove e l'ammissione ricevuta in quel modo da Morucci, in quel contesto sarebbe stata ingestibile. E poi che cosa sarebbe accaduto dentro Potere operaio?". Conclude: "Sì, sono colpevole, ma di omissione. Non potevo fare diversamente". Ma tiene a precisare che da allora Potere Operaio non parlò più, in alcun documento, di innocenza dei compagni. E quel libretto edito da Giulio Savelli, "Primavalle, un inferno a porte chiuse", in cui si sostiene la tesi della faida tra missini, che cosa è? "Lo sono andato a ricercare in queste ore", puntualizza "e non c'è scritto Potere operaio. Fu fatto solo per iniziativa di alcuni compagni, altro non ricordo".
Libri o no, il silenzio c'è stato ed è giusto e comprensibile che i famigliari delle vittime vogliano giustizia. "Io non contesto questo diritto, ci mancherebbe. Quando ho parlato di clima da guerra civile intendevo sottolineare quanto accadeva allora. Tutta quella violenza era reciproca e c'è stata da una parte e dall'altra. Certo, quella strage fu per noi un colpo terribile, l'ho detto. E, anche se io non ho mai riferito dentro il gruppo quello che Morucci aveva saputo da Clavo, Potere operaio si sciolse comunque".
Trentadue anni dopo, la strage di Primavalle registra un triste bilancio. Assoluzioni e condanne, fughe, latitanze, impunità, silenzi. E rivelazioni. "In quegli anni la magistratura attribuì alla sinistra e a tutti noi di Potere operaio responsabilità enormi, ci attribuì una serie infinita di delitti, ma non ci indicò mai come i responsabili della morte dei fratelli Mattei. E non è l'unico paradosso. Non è strano che nessuno abbia fatto una piega dinanzi a un'altra affermazione di Lollo, che l'allora pubblico ministero Domenico Sica tentò di tirarci dentro in cambio della libertà provvisoria? Ma io non mi stupisco. Basti pensare che, successivamente alla tragica fine di Aldo Moro nel maggio '78, raccontai in un'intervista di aver incontrato Mario Moretti proprio qualche settimana dopo. Ebbene in tutti questi anni, nessun magistrato ha sentito il bisogno d'interrogarmi su quell'episodio. Lo fece solo qualche anno fa, per puro caso, il presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino".
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