Da La Repubblica del 30/01/2005
Piperno, Morucci, Scalzone ricordano la tragedia di Primavalle. "Credemmo a una montatura"
Gli ex e il giorno dell'odio. "Una feroce piccola guerra civile"
di Giovanni Maria Bellu
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ROMA - L'innocenza era stata già perduta. Con la strage di Piazza Fontana, secondo alcuni. Con l'omicidio del commissario Calabresi, secondo altri. Il fatto è che l'innocenza, a guardare le cronologie della violenza politica, in quegli anni la si perdeva quotidianamente. Appena quattro giorni prima, a Milano, i neofascisti avevano lanciato delle bombe a mano contro la polizia e un agente, Antonio Marino, era stato ucciso. Eppure la morte dei fratelli Mattei, nel ricordo dei dirigenti di Potere Operaio dell'epoca, fu qualcosa di atrocemente nuovo, di incredibilmente feroce. Suscitò "orrore", dice Franco Piperno. "Fu qualcosa di inimmaginabile", è il ricordo di Valerio Morucci. Di "sgomento" parla, da Parigi, Oreste Scalzone.
Parrebbe ovvio. Un ragazzo e un bambino bruciati vivi nella loro casa: che altri sentimenti può suscitare un evento simile? Ma è proprio questo il punto. Allora non era per niente ovvio. E infatti ancora oggi il ricordo delle emozioni s'intreccia con quello dello scontro politico. Nell'orrore di Piperno, nello sgomento di Scalzone c'è anche lo sconcerto di due allora giovani dirigenti politici dell'estrema sinistra che costatavano l'assoluta sproporzione tra il fine perseguito dagli attentatori e il costo umano dell'azione. Così, del resto, si ragiona in guerra. Perché questi sono, per i protagonisti, ricordi di guerra. "Una miniguerra civile", dice Piperno.
Quell'azione andava contro le regole. Valerio Morucci - che di lì a poco sarebbe entrato nelle Brigate Rosse - spiega: "Una cosa era colpire un singolo fascista, un'altra la sua famiglia. E' la stessa differenza che passa tra colpire un obiettivo militare o un obiettivo civile". E Piperno: "C'era qualcosa di allucinato e anche di allarmante. Anche per il mezzo usato, la benzina. Un gesto primitivo, feroce, che dava la dimensione del punto a cui era giunto l'odio".
Ma questa consapevolezza non arrivò subito. "Ci pareva incredibile - ricorda Morucci - che una cosa del genere potesse essere stata fatta da qualcuno di noi. In un primo tempo credemmo alla loro innocenza. Negavano tutto e noi non avevamo motivo di dubitare". "Due li conoscevo bene - dice Piperno - e sono certo che non si proponevano di uccidere. Lo penso ancora oggi, con rispetto per il dolore dei familiari, per la loro sofferenza. Ma per onestà intellettuale lo devo dire: non volevano uccidere. Erano persone normali, non dei criminali sanguinari. E questo non diminuisce la gravità del loro gesto. Serve a capire cosa erano quegli anni".
La posizione ufficiale di Potere operaio e di tutto il movimento dell'estrema sinistra si formò sul modello sperimentato della "montatura poliziesca". Una reazione automatica in quegli anni di montature vere, come quella contro gli anarchici per la strage di Piazza Fontana. Così l'innocenza di Lollo, Clavo e Grillo divenne uno slogan. Una verità politica. Quando, appena un mese dopo l'attentato, i dirigenti di Potere Operaio seppero la verità vera, la tennero nascosta.
"Non potevamo fare diversamente, ormai era un fatto politico", spiega Valerio Morucci, l'autore della scoperta.
La vicenda è stata narrata dallo stesso Morucci nel suo "Ritratto di un terrorista da giovane", pubblicato nel 1999 dalle Edizioni Piemme. Anche Piperno la ricorda: "Temevo che volesse torturarli", dice. In effetti, Morucci - dopo aver ricevuto da Lanfranco pace l'incarico di indagare - affrontò molto duramente Marino Clavo. Lo raggiunse in Toscana, dove si era nascosto. "Era lì, impaurito. Rannicchiato sulla poltrona davanti a me.... prendo la borsa e tiro fuori la Walther PPK. Avvito il silenziatore sulla canna... Lui guarda la pistola e in un battibaleno mi snocciola tutta la storia".
"Orrore", "stupore", "sgomento". Ma filtrati dalla logica di guerra, dall'ideologia politica, da un certa concezione del mondo. "Sarei un ipocrita - dice Scalzone - se sostenessi che mi strappai i capelli, che mi misi a piangere. Provo pietà per le vittime, per i loro familiari, certo. Ma quando parlo del mio sgomento mi riferisco soprattutto alla sproporzione tra il costo umano e significato. Mi rendo conto che oggi questo è difficile da capire, può sembrare assurdo. Ma noi di Potere operaio pensavamo di vivere dentro una sorta di insurrezione permanente. Quando ebbi la notizia del rogo di Primavalle, avevo appena scritto un articolo sull'omicidio dell'agente Marino a Milano. Sostenevo che tutto sommato quella storia del poliziotto ucciso dai fascisti ci riguardava poco: si era trattato d'uno scontro tra due componenti del mondo che ci erano entrambe nemiche".
Al contrario di Morucci, Scalzone non ebbe curiosità sull'innocenza o la colpevolezza di Lollo, Clavo e Grillo: "Accompagnai due di loro alla frontiera, li aiutai a espatriare. Non domandai se l'avevano fatto".
Parrebbe ovvio. Un ragazzo e un bambino bruciati vivi nella loro casa: che altri sentimenti può suscitare un evento simile? Ma è proprio questo il punto. Allora non era per niente ovvio. E infatti ancora oggi il ricordo delle emozioni s'intreccia con quello dello scontro politico. Nell'orrore di Piperno, nello sgomento di Scalzone c'è anche lo sconcerto di due allora giovani dirigenti politici dell'estrema sinistra che costatavano l'assoluta sproporzione tra il fine perseguito dagli attentatori e il costo umano dell'azione. Così, del resto, si ragiona in guerra. Perché questi sono, per i protagonisti, ricordi di guerra. "Una miniguerra civile", dice Piperno.
Quell'azione andava contro le regole. Valerio Morucci - che di lì a poco sarebbe entrato nelle Brigate Rosse - spiega: "Una cosa era colpire un singolo fascista, un'altra la sua famiglia. E' la stessa differenza che passa tra colpire un obiettivo militare o un obiettivo civile". E Piperno: "C'era qualcosa di allucinato e anche di allarmante. Anche per il mezzo usato, la benzina. Un gesto primitivo, feroce, che dava la dimensione del punto a cui era giunto l'odio".
Ma questa consapevolezza non arrivò subito. "Ci pareva incredibile - ricorda Morucci - che una cosa del genere potesse essere stata fatta da qualcuno di noi. In un primo tempo credemmo alla loro innocenza. Negavano tutto e noi non avevamo motivo di dubitare". "Due li conoscevo bene - dice Piperno - e sono certo che non si proponevano di uccidere. Lo penso ancora oggi, con rispetto per il dolore dei familiari, per la loro sofferenza. Ma per onestà intellettuale lo devo dire: non volevano uccidere. Erano persone normali, non dei criminali sanguinari. E questo non diminuisce la gravità del loro gesto. Serve a capire cosa erano quegli anni".
La posizione ufficiale di Potere operaio e di tutto il movimento dell'estrema sinistra si formò sul modello sperimentato della "montatura poliziesca". Una reazione automatica in quegli anni di montature vere, come quella contro gli anarchici per la strage di Piazza Fontana. Così l'innocenza di Lollo, Clavo e Grillo divenne uno slogan. Una verità politica. Quando, appena un mese dopo l'attentato, i dirigenti di Potere Operaio seppero la verità vera, la tennero nascosta.
"Non potevamo fare diversamente, ormai era un fatto politico", spiega Valerio Morucci, l'autore della scoperta.
La vicenda è stata narrata dallo stesso Morucci nel suo "Ritratto di un terrorista da giovane", pubblicato nel 1999 dalle Edizioni Piemme. Anche Piperno la ricorda: "Temevo che volesse torturarli", dice. In effetti, Morucci - dopo aver ricevuto da Lanfranco pace l'incarico di indagare - affrontò molto duramente Marino Clavo. Lo raggiunse in Toscana, dove si era nascosto. "Era lì, impaurito. Rannicchiato sulla poltrona davanti a me.... prendo la borsa e tiro fuori la Walther PPK. Avvito il silenziatore sulla canna... Lui guarda la pistola e in un battibaleno mi snocciola tutta la storia".
"Orrore", "stupore", "sgomento". Ma filtrati dalla logica di guerra, dall'ideologia politica, da un certa concezione del mondo. "Sarei un ipocrita - dice Scalzone - se sostenessi che mi strappai i capelli, che mi misi a piangere. Provo pietà per le vittime, per i loro familiari, certo. Ma quando parlo del mio sgomento mi riferisco soprattutto alla sproporzione tra il costo umano e significato. Mi rendo conto che oggi questo è difficile da capire, può sembrare assurdo. Ma noi di Potere operaio pensavamo di vivere dentro una sorta di insurrezione permanente. Quando ebbi la notizia del rogo di Primavalle, avevo appena scritto un articolo sull'omicidio dell'agente Marino a Milano. Sostenevo che tutto sommato quella storia del poliziotto ucciso dai fascisti ci riguardava poco: si era trattato d'uno scontro tra due componenti del mondo che ci erano entrambe nemiche".
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