Da La Repubblica del 19/02/2005
"Processate Mori e Ultimo"
Il giudice: non perquisirono il covo di Riina
La decisione del Gup nonostante le ripetute richieste di proscioglimento dei pm di Palermo. Il processo si terrà il 7 aprile
L´accusa per il generale e l´ex capitano che arrestarono il boss è di favoreggiamento alla mafia
Quando i carabinieri entrarono 19 giorni dopo, la villa era già stata "ripulita"
di Francesco Viviano
PALERMO - Il numero uno dei servizi segreti italiani, l´ex generale dei carabinieri ora capo del Sisde Mario Mori, e l´ex capitano "Ultimo", Sergio De Caprio, adesso colonnello ma al Nucleo Operativo Ecologico, saranno processati con l´accusa di favoreggiamento a Cosa nostra. Compariranno sul banco degli imputati nel palazzo di giustizia di Palermo, il 7 aprile. Lo ha deciso ieri il giudice dell´udienza preliminare, Marco Mazzeo, a conclusione di un tira e molla tra la procura, che per due volte aveva chiesto l´archiviazione dell´indagine, e l´ufficio del Gip che ne chiedeva invece il processo. Per il Gup i due sono responsabili di non avere perquisito nel gennaio del 1993 il «covo» di Totò Riina subito dopo il suo arresto, avvenuto il 15 gennaio, e neppure nei 19 giorni successivi. E quando lo fecero, non trovarono nulla.
La villetta di via Bernini 15 era pulita come uno specchio. Prima dell´irruzione dei carabinieri, sostiene l´accusa, quella casa era stata «ripulita» da cima a fondo dai fedelissimi di Riina. Non solo: la moglie e i figli di Riina si allontanarono indisturbati da quella casa facendo ritorno a Corleone. Si portarono via pure i mobili. E nessuno vide nulla. Per questo saranno processati, il capo del Sisde Mori ed il colonnello De Caprio.
Alcuni pentiti, e tra questi Giovanni Brusca, riferirono ai magistrati che quel covo probabilmente non fu perquisito perché i carabinieri «temevano che all´interno potesse trovarsi traccia del papello, e cioè tracce relative alla presunta trattativa che l´allora colonnello Mori avrebbe intavolato con il defunto ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, al quale i carabinieri, subito dopo le stragi Falcone e Borsellino del 1992, si erano rivolti per arrestare Totò Riina e Bernardo Provenzano. Mori e De Caprio hanno sempre respinto queste accuse e, con varie motivazioni, hanno sostenuto che la mancata perquisizione fu frutto di una «incomprensione» tra procura e carabinieri del Ros. Dopo alcuni anni, sulla base delle dichiarazioni dei pentiti, la procura aprì un´inchiesta e, pur sostenendo le presunte «colpe» dei due indagati, ne chiese l´archiviazione. Il Gip Vincenzina Massa ritenne invece che bisognava continuare ad indagare. I Pm Antonino Ingroia e Antonino Prestipino riaprirono l´inchiesta e, per la seconda volta, ne chiesero l´archiviazione perché non sarebbe stata accertata «l´inspiegabile condotta dei vertici operativi del Ros». Ma anche questa volta il Gip respinse la richiesta dei pubblici ministeri chiedendo l´«imputazione coatta» di Mori e De Caprio.
Così accadde e l´indagine approdò al Gup Mazzeo che, dopo due udienze, ieri ha disposto il rinvio a giudizio del capo del Sisde e del capitano «Ultimo». Mori e De Caprio erano presenti alla sentenza. Poco prima il generale Mori, conversando con i giornalisti, osservava: «Da 40 anni servo lo Stato, ho arrestato con i miei uomini Riina, i Caruana, i Marchese e tanti altri mafiosi e prima ancora ero stato impegnato nella lotta al terrorismo. Adesso mi ritrovo qua». Gli amici palermitani di "Ultimo" dicono che «è sereno, nonostante l´amarezza». Che ripete: «Bisogna andare avanti a combattere la mafia e l´ingiustizia che la sostiene».
La villetta di via Bernini 15 era pulita come uno specchio. Prima dell´irruzione dei carabinieri, sostiene l´accusa, quella casa era stata «ripulita» da cima a fondo dai fedelissimi di Riina. Non solo: la moglie e i figli di Riina si allontanarono indisturbati da quella casa facendo ritorno a Corleone. Si portarono via pure i mobili. E nessuno vide nulla. Per questo saranno processati, il capo del Sisde Mori ed il colonnello De Caprio.
Alcuni pentiti, e tra questi Giovanni Brusca, riferirono ai magistrati che quel covo probabilmente non fu perquisito perché i carabinieri «temevano che all´interno potesse trovarsi traccia del papello, e cioè tracce relative alla presunta trattativa che l´allora colonnello Mori avrebbe intavolato con il defunto ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, al quale i carabinieri, subito dopo le stragi Falcone e Borsellino del 1992, si erano rivolti per arrestare Totò Riina e Bernardo Provenzano. Mori e De Caprio hanno sempre respinto queste accuse e, con varie motivazioni, hanno sostenuto che la mancata perquisizione fu frutto di una «incomprensione» tra procura e carabinieri del Ros. Dopo alcuni anni, sulla base delle dichiarazioni dei pentiti, la procura aprì un´inchiesta e, pur sostenendo le presunte «colpe» dei due indagati, ne chiese l´archiviazione. Il Gip Vincenzina Massa ritenne invece che bisognava continuare ad indagare. I Pm Antonino Ingroia e Antonino Prestipino riaprirono l´inchiesta e, per la seconda volta, ne chiesero l´archiviazione perché non sarebbe stata accertata «l´inspiegabile condotta dei vertici operativi del Ros». Ma anche questa volta il Gip respinse la richiesta dei pubblici ministeri chiedendo l´«imputazione coatta» di Mori e De Caprio.
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