Da La Repubblica del 21/02/2005
La ex brigatista ascoltata a Bologna in videoconferenza "Mi sono pentita per mio figlio, volevo avesse una madre"
"Se Biagi avesse avuto una scorta sarebbe ancora vivo" dice la Banelli
La collaboratice ha scritto una lettera alla moglie del giuslavorista
di . Redazione
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BOLOGNA - "Se Marco Biagi avesse avuto la scorta non saremmo riusciti ad ucciderlo". Le parole di Cinzia Banelli, la compagna So delle Brigate Rosse cadono nell'aula del tribunale di Bologna dove compare come imputata, in teleconferenza, al processo per l'uccisione del giuslavorista. D'accordo con lei si è detto il vicepresidente di Alleanza nazionale e ministro delle Politiche agricole Gianni Alemanno: "Ha ragione - ha commentato - e non ho altro da aggiungere".
La ex "compagna So" era vestita di scuro, maglia e sciarpa bianche, occhiali e capelli raccolti ed ha spiegato cosa l'ha portata a collaborare con gli inquirenti. "Ho scelto di collaborare perché era l'unica possibilità che mi rimaneva per dare a mio figlio una vita normale, o almeno per garantirgli una madre". "Ho più di quarant'anni, non ho fatto figli durante la militanza politica. Ho fatto un figlio e poi sono stata arrestata, quindi ho fatto una scelta conseguente a quella di madre: cioè la collaborazione".
Banelli ha spiegato le motivazioni politiche e umane del suo pentimento, rispondendo a una domanda dell'avvocato Giuseppe Giampaolo, legale del Comune di Bologna: "Non ero un buon militante - ha raccontato - e non mi riconoscevo in certi rigidi criteri dell'organizzazione. Non ho mai pensato, tra le altre cose, che le scelte politiche dovessero implicare l'abbandono di tutto il resto". Invece, per un certo periodo, ha continuato a essere nell'organizzazione, ma con sempre maggiori problemi. "La mia militanza si è interrotta il 3 gennaio 2003 e quindi i motivi politici erano già presenti prima del mio arresto. Sapevo che sarei stata allontanata".
Banelli quel giorno non si presentò a un incontro con altri terroristi per compiere una rapina, che di conseguenza venne rinviata: "Non ero una buona militante - ha ripetuto - ho continuato per solidarietà. Ho dovuto mentire a Galesi perché non gli confessai che ero esausta, e che non mi ero presentata per quel motivo. Gli dissi che non avevo potuto lasciare il lavoro, ma era una bugia".
Il fatto, dunque, che alcuni militanti si fossero allontanati - come lei - dalle Br spiega perché Roberto Morandi sia entrato a far parte del commando che entrò in azione in via Valdonica il 19 marzo del 2002 e abbia quindi dovuto "imparare a utilizzare le armi". Banelli ha ricordato come ci fu anche un periodo di addestramento in un luogo isolato, per fare delle prove di tiro.
In quanto alle modalità operative dell'omicidio del professor Biagi, "Galesi e Morandi avrebbero dovuto indossare il casco per tutto il tempo, con un sottocasco per non perdere i capelli", ha detto la ex brigatista. Tutti gli altri membri del commando (le staffette Lioce, Banelli e Diana Blefari Melazzi di sentinella alla Stazione) avrebbero dovuto portare un cappello: "Il mio - ha ricordato Banelli - aveva la tesa e il paraorecchie perché non si vedesse l'auricolare della ricetrasmittente".
L'interesse nei confronti di Marco Biagi iniziò con la collaborazione con il Comune di Milano, con il 'Patto di Milano'. Biagi diventò, poi, un vero e proprio obiettivo nell'estate 2001, "nel momento in cui il Libro Bianco, di cui lui era il principale autore, diventò un obiettivo politico". La decisione finale di uccidere Biagi, ha detto Banelli, fu presa nel gennaio 2002.
E fu facilitata, dice ora la ex terrorista, dal fatto che Biagi era senza protezione. "Per noi già due persone armate - ha raccontato nella fase finale della sua deposizione - costituivano già un problema. Non eravamo abituati ai veri conflitti a fuoco". Banelli ha parlato anche dell'articolo del settimanale Panorama redatto sulla base di un allarme terrorismo dei servizi segreti e pubblicato qualche tempo prima dell'omicidio del professor Biagi. "Leggemmo l'articolo e capimmo che poteva costituire un problema. Veniva indicata chiaramente una persona come Biagi come possibile obiettivo. Avremmo dovuto fare più attenzione, osservare possibili cambiamenti nella situazione del professore. Dovevamo controllare che non fosse solo. Invece arrivò alla stazione di Bologna da solo".
DUrante l'udienza si è saputo che la ex brigatista ha anche scritto una lettera alla moglie di Marco Biagi Marina Orlandi. Nella lettera Banelli ammette tutte le proprie responsabilità per la partecipazione alle Br, aggiungendo anche di non cercare alcuna compassione. L'unico augurio che si fa l'ex "compagna So" è quello di non essere perseguitata dall'odio per i fatti che ha contribuito a causare, ben sapendo che il peso di ciò che ha fatto peserà per sempre sulla sua coscienza.
La ex "compagna So" era vestita di scuro, maglia e sciarpa bianche, occhiali e capelli raccolti ed ha spiegato cosa l'ha portata a collaborare con gli inquirenti. "Ho scelto di collaborare perché era l'unica possibilità che mi rimaneva per dare a mio figlio una vita normale, o almeno per garantirgli una madre". "Ho più di quarant'anni, non ho fatto figli durante la militanza politica. Ho fatto un figlio e poi sono stata arrestata, quindi ho fatto una scelta conseguente a quella di madre: cioè la collaborazione".
Banelli ha spiegato le motivazioni politiche e umane del suo pentimento, rispondendo a una domanda dell'avvocato Giuseppe Giampaolo, legale del Comune di Bologna: "Non ero un buon militante - ha raccontato - e non mi riconoscevo in certi rigidi criteri dell'organizzazione. Non ho mai pensato, tra le altre cose, che le scelte politiche dovessero implicare l'abbandono di tutto il resto". Invece, per un certo periodo, ha continuato a essere nell'organizzazione, ma con sempre maggiori problemi. "La mia militanza si è interrotta il 3 gennaio 2003 e quindi i motivi politici erano già presenti prima del mio arresto. Sapevo che sarei stata allontanata".
Banelli quel giorno non si presentò a un incontro con altri terroristi per compiere una rapina, che di conseguenza venne rinviata: "Non ero una buona militante - ha ripetuto - ho continuato per solidarietà. Ho dovuto mentire a Galesi perché non gli confessai che ero esausta, e che non mi ero presentata per quel motivo. Gli dissi che non avevo potuto lasciare il lavoro, ma era una bugia".
Il fatto, dunque, che alcuni militanti si fossero allontanati - come lei - dalle Br spiega perché Roberto Morandi sia entrato a far parte del commando che entrò in azione in via Valdonica il 19 marzo del 2002 e abbia quindi dovuto "imparare a utilizzare le armi". Banelli ha ricordato come ci fu anche un periodo di addestramento in un luogo isolato, per fare delle prove di tiro.
In quanto alle modalità operative dell'omicidio del professor Biagi, "Galesi e Morandi avrebbero dovuto indossare il casco per tutto il tempo, con un sottocasco per non perdere i capelli", ha detto la ex brigatista. Tutti gli altri membri del commando (le staffette Lioce, Banelli e Diana Blefari Melazzi di sentinella alla Stazione) avrebbero dovuto portare un cappello: "Il mio - ha ricordato Banelli - aveva la tesa e il paraorecchie perché non si vedesse l'auricolare della ricetrasmittente".
L'interesse nei confronti di Marco Biagi iniziò con la collaborazione con il Comune di Milano, con il 'Patto di Milano'. Biagi diventò, poi, un vero e proprio obiettivo nell'estate 2001, "nel momento in cui il Libro Bianco, di cui lui era il principale autore, diventò un obiettivo politico". La decisione finale di uccidere Biagi, ha detto Banelli, fu presa nel gennaio 2002.
E fu facilitata, dice ora la ex terrorista, dal fatto che Biagi era senza protezione. "Per noi già due persone armate - ha raccontato nella fase finale della sua deposizione - costituivano già un problema. Non eravamo abituati ai veri conflitti a fuoco". Banelli ha parlato anche dell'articolo del settimanale Panorama redatto sulla base di un allarme terrorismo dei servizi segreti e pubblicato qualche tempo prima dell'omicidio del professor Biagi. "Leggemmo l'articolo e capimmo che poteva costituire un problema. Veniva indicata chiaramente una persona come Biagi come possibile obiettivo. Avremmo dovuto fare più attenzione, osservare possibili cambiamenti nella situazione del professore. Dovevamo controllare che non fosse solo. Invece arrivò alla stazione di Bologna da solo".
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