Da La Repubblica del 05/03/2005

È morto da eroe facendole da scudo

Dalla polizia al Sismi, la vita in trincea di Calipari

di Giuseppe D'Avanzo

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Non faccio fatica a credere che nel momento del pericolo Nicola - Nicola Calipari - si sia gettato con il suo corpo a coprire, proteggere il corpo di Giuliana. Nicola Calipari aveva lo stesso corpo minuto di Giuliana, un corpo fragile, da passerotto. Un soldo di cacio, apparentemente indifeso. Non c'era nulla di muscolare o di aggressivo e violento nello stare al mondo di Nicola, nel suo fare il mestiere che gli era toccato di fare. Lo faceva con la testa, con gentilezza, e con una passione civile e generosa che a volte sembrava estenuarlo.

Non s'era scelto una missione comoda. Era nato poliziotto e si trovava a fare l'agente segreto. Nel cambio, in Italia, si può perdere molta credibilità e fiducia e rispettabilità. Era il suo cruccio, il suo non nascosto avvilimento. Nei giorni dei sequestri degli italiani in Iraq a lui è toccato lavorare a quelle crisi.

La tragedia di Quattrocchi, l'assassinio di Baldoni, la liberazione delle Simone, e sentiva attorno a sé il sospetto, la sfiducia. Sismi. La stessa parola ha in Italia un suono cupo, oscuro, infelice. E' una parola che ti mette sul chi vive, ti rende circospetto e diffidente. Il Sismi è stato, nel corso del tempo, pidue, bombe finte e bombe vere, depistaggi, ladrocini. "Se lavori per il Sismi - diceva Nicola - questa cosa che è lontananza dalla gente comune, dall'opinione pubblica, dalla fiducia degli altri la respiri come aria avvelenata".

Nicola Calipari sopportava con pazienza certi sguardi, certe domande. Tollerava gli uni e le altre con pazienza nervosa. Accedeva un'altra di quelle microscopiche sigarette con il filtro bianco che fumava ininterrottamente (le estraeva con un unico, rapido gesto dalla tasca interna della giacca e gli apparivano tra le dita come per una magia). Ascoltava i dubbi, i sospetti, i tuoi interrogativi. Attendeva qualche attimo prima di aprire bocca, come a tenere sotto controllo un furore interno, e poi lentamente scegliendo le parole una per una ti diceva quel che ti poteva dire.

Nicola odiava le analisi. "Tutte le analisi sono possibili - diceva guardandoti diritto negli occhi, quasi per accertarsi che lo ascoltassi finalmente senza pregiudizi - Voi ve ne state seduti a vostro tavolo e almanaccate sulle possibilità e le ipotesi. Nel vuoto, tutte le ipotesi sono possibili. Ma io non faccio analisi e non faccio ipotesi. Io lavoro con le informazioni che ho. Soltanto con quelle. E le informazioni di Bagdad sono quelle che sono. Sono molte, confuse e deformi. Devi abituarti a raddrizzarle e organizzarle. Per farlo, hai bisogno di più fonti e contatti in ambienti diversi. Devi raccoglierle, confrontarle e tenere per te come buoni o passabili soltanto i punti di coincidenza. Ci vuole tempo per imparare a muoversi su quel terreno. È quello che stiamo cercando di fare".

Nicola Calipari, direttore delle Operazioni internazionali, era al servizio segreto militare, il Sismi, dall'estate del 2002, ma la sua precedente vita professionale si è consumata tutta nella polizia.
Nato a Reggio Calabria, 52 anni, era sposato e padre di due figli. Laureato in Giurisprudenza, dice la fredda scheda biografica, "era entrato in Polizia nel settembre 1979 come commissario in prova e assegnato alla questura di Genova come addetto alla Squadra Mobile.

Aveva diretto la Squadra Volanti. Nel 1982 fu trasferito alla questura di Cosenza dove rimase fino al 1989. In questo periodo ha ricoperto vari incarichi fino a dirigere la squadra mobile e a ricoprire il ruolo di vice Capo di Gabinetto. Nel 1988 ha effettuato un periodo di missione di tre mesi per collaborare con la National Crime Authority. Nel maggio 1989 fu trasferito alla Questura di Roma quale addetto e, dal 1993 è stato vice dirigente della Squadra Mobile. Nel 1996 fu promosso primo dirigente e dal marzo 1997 diresse il locale centro interprovinciale Criminalpol.

Due anni dopo passò alla Direzione centrale per la Polizia Criminale con incarichi di direttore della terza e della seconda divisione del Servizio Centrale Operativo. Dal novembre del 2000 fu trasferito alla Direzione Centrale per la Polizia Criminale, con la funzione di vice consigliere ministeriale, alla direzione Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, di Frontiera e Postale. Nel marzo 2001 passò alla Questura di Roma come dirigente dell'Ufficio Stranieri fino all'agosto del 2002 quando fu collocato in posizione fuori ruolo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri".

Una nota burocratica non può dire come faceva il suo mestiere. Per spiegartelo, accettava di tanto in tanto di fare quattro chiacchiere. Quando era possibile e spesso lo era in orari assurdi. Alle otto del mattino o alle undici di sera. In pieno centro o in un bar di periferia. Sempre di fretta. Non si sapeva mai dov'era, a quale faccenda fosse affaccendato. Per giorni, il suo telefono sembrava muto per sempre. Quando cominciavi a pensare che il numero fosse cambiato, sentivi il suo "pronto". Se accettava di incontrarti era per provare a farti entrare nella testa che il Sismi non era quel "pozzo nero" che siamo abituati a pensare.

"Lo so - ammetteva - non abbiamo un grande storia. Anzi. La storia dell'intelligence italiana è costellata di opacità, di deviazioni istituzionali, di interessi privati, di lavoro spionistico messo a servizio di questo o quel potente. Oggi però non possiamo più permetterci un'intelligence di quel tipo se teniamo alla sicurezza nazionale. Senza intelligence, il Paese è senza bussola. Quei metodi un po' loschi appartengono a un altro mondo, a un'altra storia. Lentamente bisogna cambiare. Piano, stiamo cambiando".

Qualche volta, Nicola appariva stanco, come esaurito. Esausto per le lotte intestine che accendono ancora oggi il Sismi. Un vecchio gruppo di potere che non molla, che condiziona e appesantisce il lavoro degli altri, un modo di lavorare che "vende fuffa" a uso dei media e dei governi, incapace di costruire una solida piattaforma d'intelligence. Stanco di una vita che lo teneva lontano dalla famiglia, dai figli che - diceva - "sono la mia vita e so che vorrei viverla di più". Non mollava. Testardo come un mulo. Testardo come un calabrese.

"Potrei andarmene dal Sismi e confesso che mi capita di pensarci. Poi, però, mi dico: no, non farlo, non devi farlo. Cambia ogni cosa, può cambiare anche il Sismi. Io ho fiducia che ce la faremo ad avere un servizio segreto di cui il Paese possa avere fiducia e rispetto. Già gli americani hanno per noi gran rispetto. Se continuiamo a lavorare così, presto - e sono pronto a scommettere - anche qui da noi l'Italia potrà guardare alla sua intelligence non dico con orgoglio, perché certi pregiudizi sono difficili da rimuovere, ma almeno con affidamento. E' un fatto che i nostri alleati fanno già affidamento su di noi, anche se voi non lo sapete".

Gli piaceva fare l'agente segreto come aveva fatto il poliziotto. Era stato un poliziotto - in Calabria alla squadra mobile di Cosenza e poi all'antidroga e poi al nucleo di eccellenza (lo Sco) della polizia criminale - capace di credere e dubitare allo stesso tempo. Come tutti i buoni poliziotti. Si accontentava di sapere e mai voleva insegnare. Soprattutto aveva in odio i "praticoni" e il loro cinismo. Quei tipi che tutto hanno visto, tutto hanno toccato con mano, quei tipi che tutto spiegano e di nulla conoscono il valore perché hanno una pelliccia sullo stomaco. Nicola era contento di non aver il pelo sullo stomaco. Non si vergognava di stare in ansia per gli uomini che gli erano stati affidati o di avere timore di non farcela. Se ne saranno resi conto in questi anni, in questi mesi le famiglie dei sequestrati. Toccava a lui rassicurare e informare oltre che venire a capo della crisi. Sembra che tutti lo abbiano apprezzato. Forse chi in quelle ore difficili ha potuto incontrarlo ha potuto rendersi conto che, in alcuni giorni, era tormentato come un amico di famiglia.

La morte di Baldoni, ricordo, fu per lui una ferita e un dolore autentico. In qualche modo, si sentiva responsabile di non averlo salvato. Quando di Enzo non si seppe più nulla, Nicola Calipari apparve inaspettatamente ottimista. Diceva: "E' una storia che contiamo di risolvere presto". Non volle dire perché. Non volle spiegare che cosa lo rendeva così fiducioso (mai aveva mostrato tanto entusiasmo). "Abbiamo buone informazioni, vedrete...". Finì come finì e non si dava pace. Tenne per sé nei giorni che vennero le ragioni di quella sconfitta, di che cosa andò storto. Ogni volta, però, il nome di Baldoni lo azzittiva e non c'era più verso di spiccicargli una parola.

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