Da La Repubblica del 31/03/2005

Parla l´attentatore di Wojtyla, che sta preparando un libro-rivelazione: "Dicano tutto sul caso Orlandi"

L´ultima verità di Ali Agca "Avevo dei complici in Vaticano"

l´accusa del lupo grigio Senza l´aiuto di sacerdoti e cardinali non avrei potuto mai compiere quel gesto Il diavolo si nasconde dietro quelle mura

di Marco Ansaldo

ISTANBUL - «Il Vaticano ha responsabilità nell´attentato al Papa. Senza l´aiuto di alcuni sacerdoti e cardinali non avrei mai potuto compierlo. Il diavolo è anche dentro quelle mura». Il messaggio è ancora una volta spiazzante, e nemmeno troppo allusivo. A poche settimane dal nuovo ricovero di Giovanni Paolo II e il giorno dopo l´annuncio del governo bulgaro sull´arrivo dei documenti della Stasi, Ali Agca torna a farsi sentire. E lo fa in un´intervista a Repubblica, e con una serie di rivelazioni che l´attentatore del pontefice sta mettendo in un libro. L´ex Lupo grigio, rinchiuso oggi nel carcere di massima sicurezza di Kartal Maltepe, nella parte asiatica di Istanbul, ha steso finora circa 150 pagine di un volume che sarà pronto nei prossimi due mesi. Agca indossa una tuta e scarpe sportive. Ha i capelli ormai tutti bianchi. Ma lo sguardo è pronto e vivace come sempre. Il suo italiano perfetto.
Mehmet Ali Agca, lei al Papa ha sparato. Vuole dire una volta per tutte perché e chi la mandò?
«Perché ho sparato al Papa…? Il mio attentato è stato deciso da Dio santissimo. Nell´incontro avuto nel 1983 a Rebibbia Giovanni Paolo II mi ha svelato che l´attentato era un segno di Dio».
Sì, ma lo stesso pontefice oggi parla di lei come di un "assassino professionista" mosso da "un´ideologia prepotente". Che cosa risponde?
«Io amo e rispetto il Papa polacco. Ma le accuse che muovono attorno a lui, in Vaticano, sono farneticazioni. Ho visto che di recente il cardinale Tonini mi ha definito "un fantasma". Questa è roba da matti. Davvero il diavolo è dentro il Vaticano. Senza l´aiuto di sacerdoti e cardinali non avrei potuto compiere quel gesto. Ma basta, scriverò tutto nel mio libro».
Dunque quel giorno lei doveva uccidere il Papa, ma lo ferì soltanto. Perché?
«Quel 13 maggio 1981 io volevo uccidere il Papa, e anche me stesso. E compiere la mia missione».
E la sua missione quale era? Vuole finalmente dare una versione definitiva di quel che accadde e perché?
«Ma non esiste nessuna ultima versione. Il 13 maggio 1981 nessuno al mondo sapeva del mio attentato. Ricordo perfettamente l´ultimo minuto: avevo rinunciato, ero deciso ad andare alla stazione Termini per tornare a Zurigo con il treno delle 20 e vivere in pace. Ma in quel momento accadde un miracolo, sono improvvisamente tornato indietro e gli ho sparato».
Ma a 24 anni di distanza dal 13 maggio 1981 si rende conto che l´attentato e le circostanze che lo hanno prodotto sono ancora avvolte nel totale mistero?
«L´opinione pubblica e il cittadino comune possono pensare mille cose davanti a disinformazioni sistematiche. Tuttavia per i centri di potere non esiste nessun segreto ma esistono molti tabù, calcoli politici e preoccupazioni varie che la verità finale può provocare. Alcuni temono che possa incominciare il processo del crollo spirituale del muro Vaticano come avvenne per quello di Berlino. E allora, perché la Cia, il Sismi, il Sisde e altri servizi segreti non rivelano tutto sul caso Orlandi…?».
Lo dica lei perché c´è nebbia sul caso di Emanuela Orlandi.
«Negli anni Ottanta alcuni esponenti del Vaticano credevano che io fossi il nuovo messia e per liberarmi hanno organizzato l´intrigo su Emanuela Orlandi ed altre storie che non rivelo».
Lei non rivela… ma dica almeno qualcosa di certo.
«Per capire qualcosa su questo fronte basta allora analizzare il documento datato 14 novembre 1983 del Sisde sul caso Orlandi redatto dall´allora capo della polizia Vincenzo Parisi. Fatelo. E intanto chiedo: nel maggio 2004 la signora Roberta Hidalgo ha fotografato una donna in Vaticano che potrebbe anche essere Emanuela. Perché quella foto non viene pubblicata?».
Agca, lei è consapevole di aumentare la confusione e di aver contribuito ad aggrovigliare questo mistero attraverso continue versioni dubbie e mai una definitiva e credibile?
«Certo che ho contribuito all´aumento della confusione con le mie varie versioni, contraddittorie sia sotto il profilo giuridico sia politico. E recito il mea culpa. Ma era molto difficile agire diversamente in un ambiente e in circostanze particolari, in una situazione in cui si erano intromessi i servizi segreti di mezzo mondo dopo l´attentato al Papa, il caso Orlandi e il mio incontro con il pontefice. Ma io ribadisco che il 13 maggio 1981 nessuno al mondo sapeva in alcun modo del mio gesto. Adesso abbiamo superato il tempo delle menzogne politiche e giuridiche. La cosa più importante è che non ho mai mentito nel campo religioso. Pensate, se allora accettavo una falsa conversione, ero libero in Vaticano fin dal 1983, scambiato con Emanuela oppure graziato dal presidente della Repubblica. Ora invece soffro in cella da 24 anni».
L´incontro in carcere a Rebibbia con il Papa è sempre rimasto un mistero. Giovanni Paolo II ne ha accennato nel suo ultimo libro. Che cosa vi siete detti?
«Il Vaticano aveva proclamato il 1983 come Anno Santo straordinario. Volevano ottenere la mia conversione al cristianesimo. Giovanni Paolo II venne da me anche per questo motivo. Il caso Orlandi fu organizzato solo per questo motivo religioso. Dunque, con il Papa abbiamo parlato di religione: io ho raccontato al Papa la versione divina concessami direttamente da Dio. E il pontefice mi ha creduto. Perciò alla stampa mondiale ha poi detto: "Ho incontrato un fratello che gode della mia fiducia"».
Lei è qui dentro a Kartal Maltepe, da dove già fuggì una volta nel 1979. Non le viene in mente di farlo di nuovo?
«Io non so quando uscirò legalmente da qui. Non ho ancora una situazione giuridica molto chiara. Perciò non so davvero quando sarò libero. Credo che la mia vita e la mia morte biologica, la mia prigionia e la mia libertà siano totalmente nelle mani di Dio. Aspetto».

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