Da La Repubblica del 11/04/2005
Parla l'ex capo della Stasi: "Per quell'azione ci voleva una rete complessa ma non esistono prove del coinvolgimento di Bulgaria o Ddr"
Wolf: "Nell'attentato al Papa Ali Agca non era solo"
di Marco Ansaldo
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BERLINO - "Le carte della Stasi pubblicate di recente non provano la responsabilità della Germania orientale o della Bulgaria nell'attentato al Papa. Ma questo non significa che i bulgari, a nostra insaputa, non possano essere stati dietro il colpo. Io non lo so. Ma non posso nemmeno escluderlo. Infatti un agente di Sofia mi parlò di Ali Agca: il terrorista turco era stato da loro addestrato in un campo in Bulgaria". La faccia tuttora straordinaria di Markus Wolf sbuca all'improvviso da un viottolo sul Nikolai Viertel, il quartiere pedonale berlinese che dà sul fiume Sprea.
"L'uomo senza volto", abilissimo nel non finire mai fotografato, il leggendario "Karla" mitizzato dai romanzi di Le Carrè e per 34 anni segretamente a capo dei servizi segreti esteri della Germania Est, cammina a passo spedito. A 82 anni, "Misha" Wolf, russo di formazione, maestro di spionaggio, saluta in modo gentile ma spiccio, si siede a un tavolo appartato e ordina un cappuccino.
Non avrebbe voluto incontrare un giornalista, dopo la morte di Wojtyla. Ma quando ha capito che avevamo dei documenti da mostrargli, le carte della Stasi (il ministero per la Sicurezza da cui la sua intelligence dipendeva) sull'attentato, ha prima chiesto consiglio alla moglie, e ha poi accettato: "Vediamoci a quest'ora, lungo la Sprea, in quel locale".
Le tattiche di Wolf sono pietre miliari nei manuali degli agenti segreti. Il "metodo Romeo", ad esempio, che prevedeva l'uso di giovani uomini (o donne), disposti a usare il sesso come arma per carpire informazioni da attempate ma potenti segretarie governative, e teorizzato come sistema infallibile ("l'essere umano ha tante debolezze"). Il denaro, soprattutto ("gli uomini ne vogliono sempre di più di quel che già hanno").
Per colpi rimasti nella storia. Come quello di piazzare un suo agente, Guenter Guillaume, per anni a fianco del cancelliere tedesco occidentale Willy Brandt in qualità di consigliere. "E' vero, nella mia vita professionale non ho avuto scrupoli - ammette mentre gli occhi piccoli ti scrutano da un volto che sembra tagliato con l'accetta - dovevamo essere machiavellici: il fine giustifica i mezzi. L'intelligence non prevede il concetto di moralità".
Generale, questi sono i dossier del carteggio fra la Stasi e la Bulgaria sulla cosiddetta "Operation Papst". Riconosce questi fascicoli? Markus Wolf si toglie gli occhiali, e sfoglia le carte con dimestichezza, come uno che sa cosa leggere e cosa tralasciare.
"Sì - dice dopo qualche minuto - sono vere, le riconosco. Sono le carte mie e del mio dipartimento".
In questi documenti si parla di collaborazione tra la Stasi e la Bulgaria, invocando una serie di "misure attive" per influenzare i media occidentali, i giudici italiani, i paesi della Nato. È così?
"Certo, ma queste richieste di aiuto dei bulgari non sono per nascondere eventuali tracce di complicità, di cui qui non troverà riscontro. Ma solo per contrastare la campagna di propaganda scatenatasi contro Sofia".
La Stasi fu in qualche modo coinvolta nell'attentato?
"No, non fu opera nostra".
Ma può escludere che i bulgari abbiamo organizzato l'attentato, a vostra insaputa?
"No, questo non posso escluderlo. Posso solo dire che noi non sapevamo. Per quel che ricordo, i bulgari ci dissero che Ali Agca, l'attentatore, era stato da loro addestrato in un campo che avevano da qualche parte. Tenemmo una riunione comune, in una villa qui a Berlino. E uno degli agenti di Sofia, in contatto soprattutto con uno dei miei luogotenenti, mi parlò di Agca. Ma noi in quel momento avevamo altri interessi, la Nato, la Germania Ovest, non il Papa".
L'attentatore di recente ha sostenuto di non aver potuto compiere l'attentato senza l'aiuto di qualcuno in Vaticano, qualche sacerdote o cardinale. Le sembra realistico?
"Ho letto quell'intervista. Noi avevamo un agente infiltrato nella Santa Sede. Era un benedettino, si chiamava Eugen Brammertz. Fu un contatto utile, riuscimmo a metterlo alle costole del cardinale Casaroli (allora "ministro degli Esteri" del Papa, ndr), per sapere come intendesse muoversi la Curia. Ma più in là non andammo".
Arruolaste anche Alois Estermann, il capo delle Guardie svizzere morto nel 1998 dentro le Sacre mura, in un omicidio molto misterioso?
"No, lui no. Vede, infiltrare spie nella Santa Sede era per noi un lavoro molto difficile. Bisognava individuare le persone, io amavo reclutare i giovani, ma aspettare anche che crescessero".
Si occupava lei di questo?
"C'era una divisione, la XXesima, che lavorava sulla Chiesa. Ma poiché questo ufficio non dava i risultati sperati, lo chiudemmo".
Agca poteva essere un agente del Kgb?
"Non credo. Ma non credo nemmeno alla versione del killer solitario. Compiere un attentato al Papa è un'azione così complicata, occorre uno studio del soggetto da colpire, con una preparazione talmente meticolosa e perfetta, che solo un'organizzazione ben strutturata può portarlo a termine".
La Stasi, organo di sicurezza comunista, usava per le sue operazioni speciali i Lupi grigi turchi, nazionalisti di estrema destra?
"Il mio ufficio no, ma non posso sapere se altri dipartimenti lo facessero".
E il Kgb potrebbe aver concepito un piano del genere?
"Guardi, io sono russo di formazione. Conoscevo bene l'allora capo del Kgb, Juri Andropov, poi divenuto segretario generale dell'Unione Sovietica. Gli ho parlato almeno tre volte a tu per tu circa operazioni da fare insieme, soprattutto riguardanti la situazione in Polonia. So bene qual era la sua mentalità. Escludo che potesse aver pensato a un'operazione del genere".
Perché ne è così sicuro?
"Perché non faceva parte del modo di ragionare di Andropov, che era profondo e raffinato insieme. E l'ipotesi di eliminazione del Papa polacco sarebbe stato un gesto più controproducente che positivo".
Perché no? In fondo Wojtyla vi dava fastidio.
"Ah questo sì, certamente. Per noi era 'persona non grata'. E così per l'Urss e gli altri paesi vicini. Il Papa era certamente il leader cattolico più anticomunista che si potesse trovare. Di sicuro costituiva un problema, ma non al punto da eliminarlo fisicamente. Non per i servizi della Germania comunista, almeno".
"L'uomo senza volto", abilissimo nel non finire mai fotografato, il leggendario "Karla" mitizzato dai romanzi di Le Carrè e per 34 anni segretamente a capo dei servizi segreti esteri della Germania Est, cammina a passo spedito. A 82 anni, "Misha" Wolf, russo di formazione, maestro di spionaggio, saluta in modo gentile ma spiccio, si siede a un tavolo appartato e ordina un cappuccino.
Non avrebbe voluto incontrare un giornalista, dopo la morte di Wojtyla. Ma quando ha capito che avevamo dei documenti da mostrargli, le carte della Stasi (il ministero per la Sicurezza da cui la sua intelligence dipendeva) sull'attentato, ha prima chiesto consiglio alla moglie, e ha poi accettato: "Vediamoci a quest'ora, lungo la Sprea, in quel locale".
Le tattiche di Wolf sono pietre miliari nei manuali degli agenti segreti. Il "metodo Romeo", ad esempio, che prevedeva l'uso di giovani uomini (o donne), disposti a usare il sesso come arma per carpire informazioni da attempate ma potenti segretarie governative, e teorizzato come sistema infallibile ("l'essere umano ha tante debolezze"). Il denaro, soprattutto ("gli uomini ne vogliono sempre di più di quel che già hanno").
Per colpi rimasti nella storia. Come quello di piazzare un suo agente, Guenter Guillaume, per anni a fianco del cancelliere tedesco occidentale Willy Brandt in qualità di consigliere. "E' vero, nella mia vita professionale non ho avuto scrupoli - ammette mentre gli occhi piccoli ti scrutano da un volto che sembra tagliato con l'accetta - dovevamo essere machiavellici: il fine giustifica i mezzi. L'intelligence non prevede il concetto di moralità".
Generale, questi sono i dossier del carteggio fra la Stasi e la Bulgaria sulla cosiddetta "Operation Papst". Riconosce questi fascicoli? Markus Wolf si toglie gli occhiali, e sfoglia le carte con dimestichezza, come uno che sa cosa leggere e cosa tralasciare.
"Sì - dice dopo qualche minuto - sono vere, le riconosco. Sono le carte mie e del mio dipartimento".
In questi documenti si parla di collaborazione tra la Stasi e la Bulgaria, invocando una serie di "misure attive" per influenzare i media occidentali, i giudici italiani, i paesi della Nato. È così?
"Certo, ma queste richieste di aiuto dei bulgari non sono per nascondere eventuali tracce di complicità, di cui qui non troverà riscontro. Ma solo per contrastare la campagna di propaganda scatenatasi contro Sofia".
La Stasi fu in qualche modo coinvolta nell'attentato?
"No, non fu opera nostra".
Ma può escludere che i bulgari abbiamo organizzato l'attentato, a vostra insaputa?
"No, questo non posso escluderlo. Posso solo dire che noi non sapevamo. Per quel che ricordo, i bulgari ci dissero che Ali Agca, l'attentatore, era stato da loro addestrato in un campo che avevano da qualche parte. Tenemmo una riunione comune, in una villa qui a Berlino. E uno degli agenti di Sofia, in contatto soprattutto con uno dei miei luogotenenti, mi parlò di Agca. Ma noi in quel momento avevamo altri interessi, la Nato, la Germania Ovest, non il Papa".
L'attentatore di recente ha sostenuto di non aver potuto compiere l'attentato senza l'aiuto di qualcuno in Vaticano, qualche sacerdote o cardinale. Le sembra realistico?
"Ho letto quell'intervista. Noi avevamo un agente infiltrato nella Santa Sede. Era un benedettino, si chiamava Eugen Brammertz. Fu un contatto utile, riuscimmo a metterlo alle costole del cardinale Casaroli (allora "ministro degli Esteri" del Papa, ndr), per sapere come intendesse muoversi la Curia. Ma più in là non andammo".
Arruolaste anche Alois Estermann, il capo delle Guardie svizzere morto nel 1998 dentro le Sacre mura, in un omicidio molto misterioso?
"No, lui no. Vede, infiltrare spie nella Santa Sede era per noi un lavoro molto difficile. Bisognava individuare le persone, io amavo reclutare i giovani, ma aspettare anche che crescessero".
Si occupava lei di questo?
"C'era una divisione, la XXesima, che lavorava sulla Chiesa. Ma poiché questo ufficio non dava i risultati sperati, lo chiudemmo".
Agca poteva essere un agente del Kgb?
"Non credo. Ma non credo nemmeno alla versione del killer solitario. Compiere un attentato al Papa è un'azione così complicata, occorre uno studio del soggetto da colpire, con una preparazione talmente meticolosa e perfetta, che solo un'organizzazione ben strutturata può portarlo a termine".
La Stasi, organo di sicurezza comunista, usava per le sue operazioni speciali i Lupi grigi turchi, nazionalisti di estrema destra?
"Il mio ufficio no, ma non posso sapere se altri dipartimenti lo facessero".
E il Kgb potrebbe aver concepito un piano del genere?
"Guardi, io sono russo di formazione. Conoscevo bene l'allora capo del Kgb, Juri Andropov, poi divenuto segretario generale dell'Unione Sovietica. Gli ho parlato almeno tre volte a tu per tu circa operazioni da fare insieme, soprattutto riguardanti la situazione in Polonia. So bene qual era la sua mentalità. Escludo che potesse aver pensato a un'operazione del genere".
Perché ne è così sicuro?
"Perché non faceva parte del modo di ragionare di Andropov, che era profondo e raffinato insieme. E l'ipotesi di eliminazione del Papa polacco sarebbe stato un gesto più controproducente che positivo".
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