Da Corriere della Sera del 27/05/2005
Tobagi, la dignità di chi vuole soltanto capire
di Enzo Biagi
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Di certi fatti drammatici, che hanno segnato anche la tua vita, vengono in mente particolari che possono sembrare insignificanti e trascurabili. I terroristi uccisero Walter Tobagi nello stesso giorno in cui usciva un suo libro. Forse non lo aveva neppure visto stampato. Quel giorno pioveva, e un oste pietoso aveva coperto quel corpo immobile sul marciapiede con una tovaglia.
Qualcuno ha scritto: «Il sangue nella storia asciuga in fretta». Forse, ma non nella memoria dei superstiti di una stagione crudele. Ricordo che in quel tempo ero sempre accompagnato dalla Digos e, una volta, fui giustamente rimproverato perché ero andato in giro da solo. Sono passati venticinque anni da quella impresa dei terroristi: tra i componenti della Brigata «XXVIII Marzo» c’erano i figli di un dirigente editoriale e di un giornalista. Si pentirono e se la cavarono con tre anni di detenzione. Mi auguro per loro solo il tormento del rimorso fino al giorno in cui dovranno presentarsi al tribunale di Dio.
Che non partecipa a certi sconci giochi delle parti, per cui Salò e piazzale Loreto sono solo simboli: per terra sono rimasti cadaveri. Quelli che spararono a Walter erano soltanto degli assassini non dei combattenti, magari per una causa apparentemente nobile, ma nei fatti abietta. Spacciarono perfino una «rivendicazione»: «Abbiamo ucciso un servitore dello Stato».
L’imbecillità non è un reato: chi serve lo Stato rende un servizio allo Stato. Cioè a tutti. La Brigata «XXVIII Marzo » puntò su una creatura mite e sognatrice di un mondo più giusto che si batteva contro la prepotenza e l’ipocrisia che dominano ancora nella società. Walter Tobagi era un cattolico impegnato anche nella vita parrocchiale: la sua vicenda drammatica profuma di un tempo in cui la messa, le vigilie, la comunione, almeno a Pasqua, erano nelle famiglie ricorrenze da rispettare come dei doveri. Ma era soprattutto un giornalista, uno storico, uno che si occupava della nostra «difficile» categoria, un uomo buono, se posso usare parole inattuali.
La sua unica colpa era stata quella di cercare che cosa c’era dietro alle Brigate Rosse e che cosa le ispirava, cosa volevano. Stella Tobagi, la sposa, racconta che ha imparato a vivere coi ricordi. Sono i l solo conforto quando non si può costruire o inventare una vita a due. Giangiacomo Schiavi ha scritto che «quella di Walter e di Stella è la storia di un amore spezzato che non è mai finito».
Ed ora la moglie e i figli debbono sentire, nella tristezza del rimpianto, che la memoria di Walter, in chi lo ha conosciuto, lascia un segno di dignità e di pulizia in questa travagliata e confusa stagione che stiamo vivendo. La sera prima che lo uccidessero aveva partecipato a un dibattito su informazione e terrorismo. Concludendo il suo intervento aveva detto: «E adesso vediamo a chi toccherà». La Bibbia dice: «Beato l’uomo perché non conosce la sua sorte».
Qualcuno ha scritto: «Il sangue nella storia asciuga in fretta». Forse, ma non nella memoria dei superstiti di una stagione crudele. Ricordo che in quel tempo ero sempre accompagnato dalla Digos e, una volta, fui giustamente rimproverato perché ero andato in giro da solo. Sono passati venticinque anni da quella impresa dei terroristi: tra i componenti della Brigata «XXVIII Marzo» c’erano i figli di un dirigente editoriale e di un giornalista. Si pentirono e se la cavarono con tre anni di detenzione. Mi auguro per loro solo il tormento del rimorso fino al giorno in cui dovranno presentarsi al tribunale di Dio.
Che non partecipa a certi sconci giochi delle parti, per cui Salò e piazzale Loreto sono solo simboli: per terra sono rimasti cadaveri. Quelli che spararono a Walter erano soltanto degli assassini non dei combattenti, magari per una causa apparentemente nobile, ma nei fatti abietta. Spacciarono perfino una «rivendicazione»: «Abbiamo ucciso un servitore dello Stato».
L’imbecillità non è un reato: chi serve lo Stato rende un servizio allo Stato. Cioè a tutti. La Brigata «XXVIII Marzo » puntò su una creatura mite e sognatrice di un mondo più giusto che si batteva contro la prepotenza e l’ipocrisia che dominano ancora nella società. Walter Tobagi era un cattolico impegnato anche nella vita parrocchiale: la sua vicenda drammatica profuma di un tempo in cui la messa, le vigilie, la comunione, almeno a Pasqua, erano nelle famiglie ricorrenze da rispettare come dei doveri. Ma era soprattutto un giornalista, uno storico, uno che si occupava della nostra «difficile» categoria, un uomo buono, se posso usare parole inattuali.
La sua unica colpa era stata quella di cercare che cosa c’era dietro alle Brigate Rosse e che cosa le ispirava, cosa volevano. Stella Tobagi, la sposa, racconta che ha imparato a vivere coi ricordi. Sono i l solo conforto quando non si può costruire o inventare una vita a due. Giangiacomo Schiavi ha scritto che «quella di Walter e di Stella è la storia di un amore spezzato che non è mai finito».
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