Da La Repubblica del 02/07/2005
Venditori di false paure
di Giuseppe D'Avanzo
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LA PAURA è un business. Promette profitti economici e anche introiti politici. Per sapere se, nella "mobilitazione permanente" della paura, ci sia solo la ragione truffaldina d' un disgraziato o la volontà di fabbricare un clima politico artefatto, bisogna comprendere chi "movimenta" la paranoia, con chi si hanno relazioni, dove sono le protezioni. Gaetano Saya, arrestato dai pubblici ministeri di Genova per aver organizzato una "polizia parallela" contro il terrorismo islamico, ha una biografia molto interessante. SEGUE A PAGINA 10 GIUSEPPE D' AVANZO Una biografia a doppia faccia, che lo colloca a metà strada tra il vendifumo e l' agente segreto in outsourcing, a contratto. L' uomo appare dalle tenebre, dove si era nascosto dopo aver testimoniato contro Giulio Andreotti, il 26 marzo 2004 quando crea un sito Internet, Dssa. Comincia l' avventura del "Dipartimento Studi Strategici Antiterrorismo". Garantisce d' essere un "ente di diritto pubblico dalle Interforze di Polizia della Repubblica Italiana", che non vuol dire niente. Offre «un supporto d' indagine e ricerca per le organizzazioni potenzialmente a rischio di aggressione da parte del terrorismo». Assicura che la sua "ditta" è "suddivisa in sei divisioni, coordinate da capi divisioni (ex agenti e collaboratori dei servizi segreti) e ufficiali operativi dell' organizzazione Stay behind (Gladio), che sono stati operativi in Nord Africa e Medio Oriente durante la Guerra fredda". Gaetano Saya, "direttore del Dipartimento", tiene a mostrare di essere a capo di un piccolo, efficiente, privato ma "parificato" servizio segreto capace di "limitare e controllare l' accesso dei terroristi alle risorse finanziarie"; "massimizzare la capacità di indagine e perseguimento dei terroristi e di prevenzione degli attenti terroristici" con "analisi di controspionaggio e infiltrazione; destabilizzazione e stabilizzazione; insorgenza e controinsorgenza nei sistemi islamici". Naturalmente, fiabe e fanfaluche. Il Dipartimento di Saya produce, in realtà, soltanto falsi allarmi e paura. Informazioni sugli islamici residenti ad Abbiategrasso in sospetto di terrorismo. Qualche telefonata anonima in «un italiano parlato da uno straniero», terrorizza Milano con l' annuncio che salterà il Duomo o che è gia pronto l' assalto all' aeroporto di Linate o un attentato in piazza san Babila. Elementare e comoda "manutenzione" della paura. Sarebbe un errore, però, liquidare in fretta l' affare soltanto come un' arlecchinata. Qualche elemento lo sconsiglia. Il Dssa sembra avere una buona capacità di reclutamento tra gli uomini delle forze dell' ordine (finanzieri, carabinieri, poliziotti, guardie penitenziarie, in servizio o in pensione) e discrete risorse economiche, al punto da potersi permettere una campagna promozionale sui media. Fin qui, non siamo ancora lontani dal dispositivo di una "stangata" per intascare finanziamenti di organismi nazionali e internazionali o parcelle da ingenue società esposte agli attacchi del terrorismo. è la biografia di Gaetano Saya ad aprire un orizzonte più largo e più buio. Il "direttore del Dipartimento" è stato un agente segreto, è un massone, è un fascista. A diciotto anni poliziotto, Saya, protetto dal generale piduista Giuseppe Santovito, direttore del Sismi, entra nella massoneria, almeno così dice. Diventa, almeno così dice, Maestro Venerabile. Una volta congedato dai servizi segreti, protetto non si sa da chi, riesce ad accaparrarsi il marchio del Movimento sociale italiano-Destra nazionale, almeno così dice. è ragionevole pensare che un tipo così, che intreccia in modo burlesco i fili della politica e della massoneria più minacciosa nei sotterranei fangosi dei servizi segreti, non può aver avuto la benevolenza di qualche apparato dello Stato. La sagoma è troppo goffa. Ma il dubbio che una protezione possa esserci stata c' è, purtroppo, perché Saya ha interpretato la sua commedia per molto più di un anno alla luce del sole, davanti a tutti. Pubblicità. Contatti istituzionali. Note e informative sulle attività della comunità islamica milanese. Su un terreno così sensibile che il protagonismo del Dssa non può essere passato inosservato a polizia, carabinieri, guardia di finanza, servizi segreti, militari e civili. A meno di non ammettere che il Paese mantiene in vita un sistema della sicurezza incapace di accorgersi "in tempo reale" che c' è gente che va in giro con palette finte e incarichi fasulli a spiare, far domande, raccogliere dossier, va spiegata la sfacciata impunità di cui hanno goduto Gaetano Saya e gli avventizi spioni del Dssa. è una circostanza che giustifica l' interrogativo sui legami istituzionali dell' organizzazione dell' agente segreto privato, per quanto ridicolo egli sia. è sopravvissuto allo scoperto tanto a lungo perché negli apparati dello Stato qualcuno ha garantito per la Dssa, ha garantito che quel lavoro così trasversale faceva comodo alle Istituzioni? Anzi, era svolto in nome delle istituzioni, come pure Saya andava dicendo o millantando? Soltanto le indagini della magistratura di Genova potranno dirci se c' è chi ha assegnato al truffatore un lavoro sporco che cominciava ad essere troppo rischioso. Una risposta immediata del governo nella sua competenza e autorevolezza (Pisanu, non il povero Giovanardi) liquiderebbe almeno quest' ultima e forse buffonesca conferma (dopo la tragedia, arriva la farsa) che, anche in Italia, si siano costruite e conservate, con la menzogna e la disinformazione, le condizioni della Guerra del Terrore; una "guerra psicologica" organizzata non per mettere in difficoltà il nemico esterno, ma destinata esclusivamente al consumo interno, a manomettere stati d' animo e opinioni con allarmi fasulli. Una strategia che trova una singolare simmetria negli orrori annunciati dai gruppi terroristici perché è la paura il business. Che sia un' intelligence a programmarla deliberatamente o un truffatore ad annusare l' affare che si può cavare dal terrore, non cambia nulla. Abbiamo ormai sotto gli occhi come la creazione di un panico politico-sociale possa avere molti autori, addirittura accomunare il terrorismo e gli stati che lo affrontano. I vantaggi ci sono per tutti. Bassi costi, massimi profitti politici. Le leadership del terrore, come le élite del controterrorismo, con il minimo sforzo - una e-mail, un video, una telefonata anonima - possono documentare al mondo (nel caso dei terroristi) presenza e capacità di azione, anche se magari sono ridotti a mal partito, in fuga o al declino con un messaggio "in vita" che è anche un buon modo per allargare il proselitismo, la campagna ideologica, la costernazione del nemico. Per la stessa utilità, per dir così, gli Stati impegnati nella guerra contro il terrore trovano conveniente alimentare, con lo spettro dell' annientamento nucleare, della bomba nelle metropolitane, dei kamikaze, la paura e la collera per la paura per "incassare" concentrazione del potere esecutivo, marginalizzazione dei contrappesi, ampio impegno di risorse e poteri per la sicurezza e, in molti casi, l' aperta violazione di precetti costituzionali a difesa della libertà delle persone. Insomma, "una regressione autoritaria", di cui la extraordinary rendition di Abu Omar è un caso di scuola. La guerra al terrore è anche una location di cartapesta dove vanno in scena gli effetti speciali del mondo defattualizzato proposto dalle leadership politiche, dalla corte degli spin doctors, da intelligence che mentono e ingannano, dai manipolatori delle opinioni pubbliche, occidentali o islamici che siano, e ora, se Gaetano Saya è un truffatore e non anche uno spione a contratto, anche delinquenti comuni a corto di danaro e di imprese. Un circo. In questa "tempesta perfetta" di comunicazioni distorte è sempre più evidente che non c' è alcun rapporto tra i fatti e le decisioni: combattiamo una guerra contro il terrore che noi stessi creiamo, e non contro il terrorismo che c' è e ci minaccia.
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