Da Corriere della Sera del 11/07/2005
Br, 25 anni di successi e ombre
I pentiti: da Buscetta alla Banelli
di Giovanni Bianconi
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Puntuale come le bombe innescate col timer, insieme all'allarme terrorismo torna il dibattito sulle leggi d'emergenza, e dunque su pentiti e pentitismo. Perché nel contrasto alle organizzazioni criminali, eversive o «comuni» che siano, niente vale come le dichiarazioni provenienti «dall'interno». E successo col terrorismo nostrano; è successo con la mafia e gruppi simili, dalla «mala» del Brenta alla banda della Magliana; dovrebbe succedere col terrorismo islamico.
È dal 1980 che l'Italia ha a che fare con i pentiti, tecnicamente detti «collaboratori di giustizia». Venticinque anni di luci e ombre, successi e insuccessi, modifiche legislative e strumentalizzazioni. Il brigatista rosso Patrizio Peci cominciò a parlare con carabinieri e magistrati prima ancora che ci fosse la legge che garantì ampi benefici a chi passava dalla parte dello Stato. Dopo di lui, molti altri militanti della lotta armata denunciarono i loro compagni. E i riscontri arrivavano al momento degli arresti: quasi tutti si dichiaravano «prigionieri politici». Bilancio positivo, si dice generalmente, fatte salve le polemiche per gli assassini mandati liberi in quattro e quattr'otto, come accadde nel caso dell'omicidio di Walter Tobagi.
Per là mafia il discorso è stato di tutt'altro genere. Nel 1984 Giovanni Falcone riuscì a trasformare in prove le dichiarazioni di Tommaso Buscetta grazie ai riscontri cercati col lanternino in mezzo mondo, perché i mafiosi - a differenza dei brigatisti - non solo non si dichiaravano tali, ma negavano l'esistenza stessa della mafia. Il maxi-processo superò l'esame e qualche altro pentito seguì l'esempio di «don Masino», con risultati giudiziari considerati sempre positivi. Ma dopo le stragi del '92, una nuova legge per fronteggiare la stagione del terrore mafioso provocò un aumento esponenziale dei pentiti, con conseguente abbassamento del loro grado di attendibilità: arrivarono a superare il migliaio.
Le polemiche sul loro utilizzo vennero con la stagione dei processi «politici», investendo anche chi fino ad allora aveva goduto di massima credibilità. Come lo stesso Buscetta. C'è stato chi è stato scoperto a dire il falso e chi, come Balduccio Di Maggio che aveva raccontato di aver visto Andreotti baciare Riina, tornato libero ricominciò a «mafiareN. Ancora oggi, però, è sulla base delle dichiarazioni dei pentiti che Totò Riina e altri capimafia sono sepolti dagli ergastoli. Ed è sulla certificata ' attendibilità di un altro pentito di vecchia data, Francesco Marino Mannoia, che uno dei reati attribuiti ad Andreotti è stato dichiarato commesso ma prescritto.
Il bilancio contraddittorio e le difficoltà di gestione del fenomeno portarono il governo dell'Ulivo a un giro di vite, dopo il quale l'attuale procuratore di Palermo Grasso dichiarò che se fosse stato un boss non si sarebbe pentito. Tuttavia qualche mafioso ha deciso ugualmente di collaborare, con relative polemiche a fasi alterne.
Per i terroristi islamici non serve una legge ad hoc, vale quella che c'è. Due «soldati» di Al Qaeda sono sotto protezione e hanno fatto scattare una recente operazione tra Milano e Torino; altri, soprattutto a Roma; hanno fornito indicazioni che non sono servite perché i giudici non sono riusciti a individuare il reato. Il problema è soprattutto lì, nella «soglia» da oltrepassare per trasformare gli indizi in prove. Con o senza pentiti. Anche perché la sorte ha voluto che il nuovo dibattito sulle leggi d'emergenza arrivasse mentre una corte d'Assise ha accolto solo la metà delle richieste di condanna nel processo romano alle Brigate rosse, ben più «solido» di quanto si riesca normalmente afare col terrorismo internazionale. E Cinzia Banelli, la pentita delle nuove Br che è servita a far comminare gli ergastoli per i delitti D'Antona e Biagi, non è stata ammessa al pro.gramma di protezione.
È dal 1980 che l'Italia ha a che fare con i pentiti, tecnicamente detti «collaboratori di giustizia». Venticinque anni di luci e ombre, successi e insuccessi, modifiche legislative e strumentalizzazioni. Il brigatista rosso Patrizio Peci cominciò a parlare con carabinieri e magistrati prima ancora che ci fosse la legge che garantì ampi benefici a chi passava dalla parte dello Stato. Dopo di lui, molti altri militanti della lotta armata denunciarono i loro compagni. E i riscontri arrivavano al momento degli arresti: quasi tutti si dichiaravano «prigionieri politici». Bilancio positivo, si dice generalmente, fatte salve le polemiche per gli assassini mandati liberi in quattro e quattr'otto, come accadde nel caso dell'omicidio di Walter Tobagi.
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Le polemiche sul loro utilizzo vennero con la stagione dei processi «politici», investendo anche chi fino ad allora aveva goduto di massima credibilità. Come lo stesso Buscetta. C'è stato chi è stato scoperto a dire il falso e chi, come Balduccio Di Maggio che aveva raccontato di aver visto Andreotti baciare Riina, tornato libero ricominciò a «mafiareN. Ancora oggi, però, è sulla base delle dichiarazioni dei pentiti che Totò Riina e altri capimafia sono sepolti dagli ergastoli. Ed è sulla certificata ' attendibilità di un altro pentito di vecchia data, Francesco Marino Mannoia, che uno dei reati attribuiti ad Andreotti è stato dichiarato commesso ma prescritto.
Il bilancio contraddittorio e le difficoltà di gestione del fenomeno portarono il governo dell'Ulivo a un giro di vite, dopo il quale l'attuale procuratore di Palermo Grasso dichiarò che se fosse stato un boss non si sarebbe pentito. Tuttavia qualche mafioso ha deciso ugualmente di collaborare, con relative polemiche a fasi alterne.
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