Da Corriere della Sera del 16/07/2005

Nel paese del Corno d'Africa, senza governo, basi e menti del terrorismo

In Somalia i nuovi covi di Al Qaeda

Il rapporto di International Crisis Group: ci sono gruppi armati fondamentalisti, ma soprattutto ideologi e organizzatori

di Massimo A. Alberizzi

LONDRA -La Somalia è diventato uno dei covi di Al Qaeda. Il Paese, senza governo centrale, senza legge e in preda al caos è l'ambiente ideale per reclutare e addestrare i combattenti della jihad. La cellula, che opera essenzialmente a Mogadiscio e nei suoi dintorni, è ben finanziata e, con omicidi mirati, colpisce senza pietà chiunque si opponga o si voglia opporre alla sua lotta. Lo sostiene un rapporto di International Crisis Group (leggi online il documento integrale), un'organizzazione internazionale che studia i conflitti e le aree di crisi. Il lungo documento, pubblicato a Londra, sul quale investigatori e ricercatori hanno lavorato 18 mesi, traccia un quadro preoccupante della Somalia dove, tra l'altro, si sta combattendo un'altra guerra contro il terrorismo, non palese come quella irachena, ma sotterranea, giocata dalle intelligence di vari Paesi (americani in testa), fatta di omicidi, sequestri e violenze quotidiane.



Donne somale in una via di Mogadiscio (Ap)
Che in Somalia operassero gruppi armati fondamentalisti era noto da tempo, dagli inizi degli anni '90 e anche prima. Che questi avessero collegamenti con l'organizzazione di Osama Bin Laden era altrettanto chiaro. Ora International Crisis Group spiega quale sia la struttura di Al Qaeda nel Paese del Corno d'Africa. Il gruppo, ricorda il documento, è responsabile, tra l'altro, dell'omicidio in Somaliland della volontaria italiana Annalena Tonelli, il 5 ottobre 2003, della coppia di insegnanti britannici, Richard e Enid Eyeington il 21 ottobre successivo e della distruzione sacrilega del cimitero italiano il 15 gennaio di quest'anno. L'ideologo e mentore di Al Ittiat al Islami - che viene considerata come la sezione somala di Al Qaeda - è shek Hassan Daheir Awes, un islamista ben noto ai gruppi anti terrorismo di tutto il mondo. Shek Hassan nel 1992 controllava il porto di Marca ma, alla fine di quell'anno, all'arrivo degli americani e dell'operazione dell'Onu, si era ritirato con i suoi miliziani senza combattere.

Due dei suoi fratelli vivono a Londra: shek Ahmed e shek Abdalla. Ieri alla moschea dove pregano, in Brucegrove alla periferia nord della capitale britannica, non c'era nessuno dei due ma lì shek Daud, che aveva appena finito il sermone del venerdì, ha spiegato: «Shek Ahmed ha preso le distanze dal fratello. Ma non vuole parlare con i giornalisti. Non vi ama molto». E shek Abdalla? «Di lui non si sa niente, non viene a pregare da tempo».
Shek Abdalla sparito. A casa sua risponde una voce che ripetitivamente spiega: «E' fuori dal Paese per cure». Pur essendo descritto come un conservatore islamico, ha lasciato Al Ittihat, perché non ne condivideva i metodi di lotta armata, parecchi anni fa. Abdulkadir, che sembra il tutto fare della moschea, parla italiano, chiacchiera incessantemente e sorride. Cambia immediatamente espressione quando gli spiego che cerco shek Abballa: «Perché lo vuoi vedere? Non ha nulla da dire. Non mette piede in Somalia da anni». Assieme agli altri nega perfino che sia il fratello del capo di Al Qaeda a Mogadiscio e occorre metterci qualche minuto - sciorinando la genealogia familiare - per convincerlo del contrario. Il rapporto di International Crisis Group conferma quanto già riportato dal Corriere nel febbraio scorso.



Donne somale in una scuola (Reuters)
L'attacco contro il cimitero italiano di Mogadiscio è stato pensato, organizzato e compiuto dagli uomini di Al Qaeda in Somalia. Un nucleo di terroristi non grande ma in espansione, giacchè può contare sull'appoggio delle corti islamiche, organi spontanei, apparentemente religiosi ma nei fatti legate a clan e cabile. Le corti a loro volta, per farsi rispettare, impiegano miliziani, razziatori e freelance del mitra. L'assalto al cimitero, effettuato da un commando di una quarantina di miliziani appartenenti a tutte le cabile e clan, è stato guidato da Adan Hashi Aeru, 35 anni, esperienze di guerriglia contro gli americani, durante l'operazione Unosom, all'inizio degli anni '90, e poi un training con i talebani in Aghanistan, direttamente al servizio di Osama Bin Laden. Secondo ICG ora Aeru guida la jihad in Somalia in stretto contattto con un «inviato speciale» di Bin Laden: Abu Talha Al Sudani (cioè, il sudanese) che - come ha appurato il Corriere - viaggia spesso in Arabia Saudita e negli Stati del Golfo, nonostante sia ricercato dagli americani, e poi torna a Mogadiscio con valigie cariche di dollari. Con loro operano il comorano Fazul Abdallah, sul quale pende una taglia dell'FBI di 25 milioni di dollari, e il keniota Sakeh Ali Saleh Nabhan, considerati la mente degli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar Es Salam del 7 agosto 1998 (morirono 225 persone, di cui solo 12 americani, e ne rimasero ferite 4000).

Obbiettivo primario del gruppo, reclutare uomini da utilizzare contro gli interessi occidentali, non solo in Somalia (a Mogadiscio non ci sono più stranieri) ma anche all'estero. Fazul e Nabhan sono le menti degli attentati di Mombasa (in Kenya) del 28 novembre 2002. Due missili furono lanciati contro un aereo che trasportava turisti israeliani (l'obbiettivo fu mancato) e un'auto imbottita di esplosivo fu lanciata contro l'hotel Paradise che li aveva ospitati fino a poche ore prima (quindici morti e 80 feriti, quasi tutti kenioti). Secondo fonti del Corriere della Sera, il gruppo di Al Qaeda in Somalia ha organizzato un campo d'addestramento nei pressi di Afgoi, una trentina di chilometri a sud ovest di Mogadiscio, dove si troverebbero almeno 1500 miliziani, non solo africani ma anche arabi, afgani e pachistani. Gli americani, i cui aerei spia sorvolano di tanto in tanto la Somalia, hanno organizzato attraverso i loro alleati, cellule antiterrorismo che si occupano soprattutto di intelligence. Molti degli agenti, come c'è scritto nel rapporto di ICG, scoperti a torto o a ragione degli uomini della Jihad sono stati assassinati con esecuzioni mirate. In queste condizioni di pericolo proliferano i gruppi armati e persino il Governo Transitorio Federale (TFG) del presidente migiurtino, Abdullai Yussuf, non riesce a stabilirsi nella capitale somala che sprofonda sempre più nel caos. Un caos che si sposa perfettamente con le esigenze degli islamici di destabilizzare il Paese. Più la Somalia resta nel caos e più gli uomini di Al Qaeda possono lavorare ai loro obbiettivi criminali.

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