Da La Repubblica del 13/09/2005
Alla vigilia dell´Assemblea generale naufraga l´accordo su diritti umani e amministrazione
Battaglia sulla riforma dell´Onu a rischio il vertice di New York
di Alberto Flores D'Arcais
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NEW YORK - Nessun accordo sui diritti umani e sulla riforma dell´amministrazione, i negoziati su questi due punti «sono falliti». Le parole di Rick Grenell, portavoce della missione Usa, sono calate come pietre alla vigilia dell´Assemblea generale delle Nazioni Unite: che voleva essere quella della svolta e che rischia adesso di passare alla storia come la pietra tombale dell´Onu, almeno per come siamo stati abituati a concepirla per sessanta lunghi anni.
Per gli osservatori più attenti le parole di Grenell non sono giunte inaspettate. Dagli inizi dell´estate era abbastanza chiaro le distanze tra Usa e "paesi poveri" (sui diritti umani) e le spaccature trasversali tra Usa, un´Europa e un´Asia profondamente divise, e un´America Latina scettica e inquieta (sulla riforma) avrebbero difficilmente permesso l´accordo su quei due punti nodali. E visto che già la riforma del Consiglio di Sicurezza era stata rinviata a dicembre, al grande scenario immaginato da Kofi Annan sono venuti meno i punti cardine.
Per diversi capi di Stato e di governo - tra i circa 180 che saliranno alla tribuna del Palazzo di Vetro - già arrivati a New York, accolti in quelle poche miglia quadrate della Midtown Manhattan (tra Palazzo di Vetro e grandi alberghi che ospitano le delegazioni) che da domenica è il quadrilatero più difeso al mondo, guardato a vista da migliaia di poliziotti e agenti speciali del Fbi e da centinaia di "gorilla" e 007 venuti da ogni parte del mondo che fanno da guardaspalle ai loro boss - siano essi leader democratici, populisti rampanti o sanguinari dittatori - è stata comunque una doccia fredda.
Grenell ha ipotizzato come il mancato accordo sui due punti metta a rischio l´intero documento finale (outcome document) che dovrebbe essere adottato dai leader mondiali venerdì prossimo.
«Alcuni Paesi hanno deciso che il voto a maggioranza dei due terzi, lo stesso vigente all´Assemblea generale, non è accettabile al Consiglio per i diritti umani e che la regola dovrebbe essere la maggioranza semplice: questo a noi non va bene», ha spiegato ricordando come quegli stessi Paesi (Egitto, Cina, Russia e Pakistan) sono anche contrari a fare del Consiglio un organo permanente delle Nazioni Unite. Quanto alla riforma dell´amministrazione all´America «piacerebbe che al segretario generale dell´Onu venissero dati più poteri, che venisse considerato responsabile, che avesse la capacità di assegnare mandati al suo personale».
La prima (debole) risposta di Kofi Annan è stata quella di rinviare la prevista conferenza stampa e di far dire al suo portavoce che il segretario generale è «preoccupato» che i negoziati in corso per mettere a punto il documento finale dell´imminente non si concludano in tempo utile: «La data del summit era nota da tempo. Il tempo stringe, l´orologio va avanti, e ora è pericolosamente tardi».
Dalle missioni dell´Onu arrivano segnali negativi e la tentazione di molti è quella di addossare ogni colpa sulle spalle del nuovo ambasciatore americano John Bolton, il modo migliore per fare fallire del tutto ogni mediazione. L´approccio di Bolton era noto e del resto l´ambasciatore Usa si muove in perfetta sintonia con i vertici della Casa Bianca a cominciare dal presidente Bush e dal segretario di Stato Condoleezza Rice. E se anche un grande giornale, non certo tiepido con l´amministrazione repubblicana, come il New York Times è arrivato a scrivere (James Traub) che è giunto il momento di «immaginarsi un differente tipo di istituzione che assomigli di più alla Nato e i cui membri condividano valori comuni», si capisce come il nodo dei diritti umani (e le sue interpretazioni) non sia una fissazione della Casa Bianca ma un problema che prima o poi la comunità internazionale deve decidere di affrontare di petto.
L´outcome document è il documento che fissa gli obiettivi del nuovo millennio e che ha come scopo quello di dare alle Nazioni Unite la possibilità di «prevenire i conflitti» attraverso una profonda riforma che la renda più efficiente (e meno corrotta). John Bolton aveva presentato 750 emendamenti chiedendo di eliminare dalle trentanove pagine della bozza finale qualsiasi cifra sugli aiuti allo sviluppo e i riferimenti agli obiettivi del millennio. Un compromesso è stato raggiunto con un richiamo esplicito a dimezzare la povertà entro il 2015, con un riferimento al protocollo di Kyoto (ma con la precisazione voluta dagli Stati Uniti che è necessario superarlo), e con lo stanziamento dello 0,7% del prodotto interno lordo per gli aiuti allo sviluppo. Altri punti in discussione e su cui le mediazioni sono ancora aperte riguardano l´uso della forza, l´intervento umanitario e la definizione di «terrorismo». Gli americani, dopo le spaccature seguite all´intervento in Iraq chiedono che l´uso della forza sia esteso in modo da includere attacchi preventivi in caso di minacce imminenti.
Sapremo tra pochi giorni come è andata a finire. Se Kofi Annan, che è oggi uno degli artefici (in negativo) della crisi dell´Onu e della sua credibilità (con colpe che vanno anche oltre lo scandalo Oil for Food in cui è stato coinvolto il figlio) aveva parlato di «bivio» - tra il rischio di una maggiore marginalizzazione dell´Onu e la possibilità di incidere realmente nella sfida sulla sicurezza globale - l´Assemblea generale sembra prepararsi a festeggiare i propri 60 anni scegliendo la prima strada.
Per gli osservatori più attenti le parole di Grenell non sono giunte inaspettate. Dagli inizi dell´estate era abbastanza chiaro le distanze tra Usa e "paesi poveri" (sui diritti umani) e le spaccature trasversali tra Usa, un´Europa e un´Asia profondamente divise, e un´America Latina scettica e inquieta (sulla riforma) avrebbero difficilmente permesso l´accordo su quei due punti nodali. E visto che già la riforma del Consiglio di Sicurezza era stata rinviata a dicembre, al grande scenario immaginato da Kofi Annan sono venuti meno i punti cardine.
Per diversi capi di Stato e di governo - tra i circa 180 che saliranno alla tribuna del Palazzo di Vetro - già arrivati a New York, accolti in quelle poche miglia quadrate della Midtown Manhattan (tra Palazzo di Vetro e grandi alberghi che ospitano le delegazioni) che da domenica è il quadrilatero più difeso al mondo, guardato a vista da migliaia di poliziotti e agenti speciali del Fbi e da centinaia di "gorilla" e 007 venuti da ogni parte del mondo che fanno da guardaspalle ai loro boss - siano essi leader democratici, populisti rampanti o sanguinari dittatori - è stata comunque una doccia fredda.
Grenell ha ipotizzato come il mancato accordo sui due punti metta a rischio l´intero documento finale (outcome document) che dovrebbe essere adottato dai leader mondiali venerdì prossimo.
«Alcuni Paesi hanno deciso che il voto a maggioranza dei due terzi, lo stesso vigente all´Assemblea generale, non è accettabile al Consiglio per i diritti umani e che la regola dovrebbe essere la maggioranza semplice: questo a noi non va bene», ha spiegato ricordando come quegli stessi Paesi (Egitto, Cina, Russia e Pakistan) sono anche contrari a fare del Consiglio un organo permanente delle Nazioni Unite. Quanto alla riforma dell´amministrazione all´America «piacerebbe che al segretario generale dell´Onu venissero dati più poteri, che venisse considerato responsabile, che avesse la capacità di assegnare mandati al suo personale».
La prima (debole) risposta di Kofi Annan è stata quella di rinviare la prevista conferenza stampa e di far dire al suo portavoce che il segretario generale è «preoccupato» che i negoziati in corso per mettere a punto il documento finale dell´imminente non si concludano in tempo utile: «La data del summit era nota da tempo. Il tempo stringe, l´orologio va avanti, e ora è pericolosamente tardi».
Dalle missioni dell´Onu arrivano segnali negativi e la tentazione di molti è quella di addossare ogni colpa sulle spalle del nuovo ambasciatore americano John Bolton, il modo migliore per fare fallire del tutto ogni mediazione. L´approccio di Bolton era noto e del resto l´ambasciatore Usa si muove in perfetta sintonia con i vertici della Casa Bianca a cominciare dal presidente Bush e dal segretario di Stato Condoleezza Rice. E se anche un grande giornale, non certo tiepido con l´amministrazione repubblicana, come il New York Times è arrivato a scrivere (James Traub) che è giunto il momento di «immaginarsi un differente tipo di istituzione che assomigli di più alla Nato e i cui membri condividano valori comuni», si capisce come il nodo dei diritti umani (e le sue interpretazioni) non sia una fissazione della Casa Bianca ma un problema che prima o poi la comunità internazionale deve decidere di affrontare di petto.
L´outcome document è il documento che fissa gli obiettivi del nuovo millennio e che ha come scopo quello di dare alle Nazioni Unite la possibilità di «prevenire i conflitti» attraverso una profonda riforma che la renda più efficiente (e meno corrotta). John Bolton aveva presentato 750 emendamenti chiedendo di eliminare dalle trentanove pagine della bozza finale qualsiasi cifra sugli aiuti allo sviluppo e i riferimenti agli obiettivi del millennio. Un compromesso è stato raggiunto con un richiamo esplicito a dimezzare la povertà entro il 2015, con un riferimento al protocollo di Kyoto (ma con la precisazione voluta dagli Stati Uniti che è necessario superarlo), e con lo stanziamento dello 0,7% del prodotto interno lordo per gli aiuti allo sviluppo. Altri punti in discussione e su cui le mediazioni sono ancora aperte riguardano l´uso della forza, l´intervento umanitario e la definizione di «terrorismo». Gli americani, dopo le spaccature seguite all´intervento in Iraq chiedono che l´uso della forza sia esteso in modo da includere attacchi preventivi in caso di minacce imminenti.
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