Da Corriere di Como del 11/09/2005
Cecco Bellosi rivela in un libro pubblicato da Rizzoli come e perché decise di abbandonare per sempre la lotta armata
Quando mi chiesero di uccidere Toni Negri
L'ex brigatista di Colonno ricorda anche l'espatrio clandestino di Giangiacomo Feltrinelli
di Anna Campaniello
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Una 'fibbia' che non lasciava spazio a interpretazioni. Una richiesta precisa. Uccidere Toni Negri, il teorico dell'autonomia operaia e della violenza politica.
Un gesto rivoluzionario estremo.
Troppo estremo anche per un militante di Potere Operaio passato alle Brigate Rosse qual era Cecco Bellosi, comasco di Colonno, esponente di spicco della colonna milanese del gruppo.
Rifiutai l'incarico, ricevuto quando era nel carcere di Rebibbia, e decise di chiudere per sempre con la lotta armata.
La rivelazione, insieme con altri episodi degli aberranti anni di piombo mai resi pubblici, è contenuta nel nuovo libro di Aldo Grandi, Insurrezione armata (Rizzoli, pagg. 437, euro 9,50).
Il testo ricostruisce la biografia di 28 imputati del maxiprocesso '7 aprile' contro Potere Operaio.
E' «la prima volta che racconto questo episodio, anche se naturalmente le persone direttamente interessate sanno tutto - dice al Corriere di Como Cecco Bellosi -
Per me si tratta di un momento determinante, perché questa 'fibbia', termine che in gergo carcerario è l'ordine di eliminare qualcuno, ha determinato la fine della mia militanza.
Dopo la richiesta assurda di uccidere Toni Negri ho deciso che era ora di dire basta con una 'storia' che stava finendo male».
Erano gli anni Ottanta, anni di odio ideologico, di sanguinosi agguati e la «storia che stava finendo male» era quella della lotta armata, per i cui protagonisti la vita delle vittime designate non valeva nulla.
«La 'fibbia' mi è giunta in modo verbale, ovviamente in modo cifrato - racconta l'ex brigatista nato e cresciuto a Colonno - quando ero nella sezione di massima sicurezza di Rebibbia.
Ero considerato un irriducibile.
Altri imputati, tra cui Toni Negri, erano invece in un altro braccio della prigione, ma avevamo comunque possibilità di incontrarci in aula.
Ho immediatamente respinto la richiesta di eliminare Negri e da lì ho preso la decisione di chiudere per sempre quel capitolo.
Questo non ha comportato rischi per me, anche perchè le Br ormai erano allo sbando e divise in più fazioni.
Io appartenevo alla colonna milanese autonoma e non avevo obblighi verso il gruppo centrale».
«Per dare un segnale forte - continua Bellosi - ho anche chiesto di essere trasferito dalla cella destinata ai prigionieri politici a quella dei detenuti comuni.
Questo periodo mi è servito per disintossicarmi dalla dimensione politica del gruppo.
Ho continuato con il silenzio giudiziario, ma di fatto mi sono chiamato fuori.
Ho anche avvertito Toni Negri di guardarsi le spalle, ma l'idea folle di eliminarlo è stata comunque vanificata dalla disgregazione delle Br».
Il brigatista lariano torna poi con il ricordo al gennaio 1970, quando fece espatriare clandestinamente in Svizzera l'editore Giangiacomo Feltrinelli.
«Fu sicuramente il personaggio più famoso che ho aiutato a varcare il confine - ricorda Bellosi - era un compito che svolgevo abitualmente e sono decine le persone che ho aiutato a lasciare l'Italia».
Nel racconto di una delle pagine più drammatiche della storia italiana c'è spazio anche per episodi curiosi, distanti dalla violenza, come il giorno in cui, racconta Bellosi, «andai in farmacia per comprare 100 preservativi che mi servivano per confezionare altrettante bottiglie molotov per una manifestazione. Facile immaginare i commenti del farmacista».
E nella confessione dell'ex brigatista - oggi padre di famiglia, coordinatore delle comunità per il recupero di tossicodipendenti 'Il Gabbiano' - c'è spazio anche per la 'Notte dei fuochi', la notte del 15 luglio 1981 quando l'esplosione di una bomba in viale Lecco costò la vita al giovane artificiere Luigi Carluccio.
«E' un'azione da cui mi sento molto lontano - dice Bellosi - non ideata dalla nostra organizzazione.
E' stato un gesto vile aver piazzato una bomba con un timer e quindi incontrollabile, un gesto che ho sempre condannato. Non posso che dispiacermi per la morte di un innocente, per un'azione avventata e stupida.
Comunque non sono mai stato inquisito per questo episodio». Infine, una considerazione sulle nuove Br.
«Gli anni '70 sono irripetibili - dice Bellosi - uno dei nostri errori è stato scambiare il crepuscolo per l'aurora, pensare che fosse vicina la presa di potere per la classe operaia quando questa cominciava a perdere importanza e peso politico.
Oggi, le nuove Br sono solo un gruppo avulso dalla realtà.
La lotta armata negli anni '70 si collocava in un preciso contesto.
Non così quella 'inventata' alla fine degli anni '90.
E' un capitolo chiuso.
Credo e spero che il tema dell'omicidio politico possa scomparire».
Un gesto rivoluzionario estremo.
Troppo estremo anche per un militante di Potere Operaio passato alle Brigate Rosse qual era Cecco Bellosi, comasco di Colonno, esponente di spicco della colonna milanese del gruppo.
Rifiutai l'incarico, ricevuto quando era nel carcere di Rebibbia, e decise di chiudere per sempre con la lotta armata.
La rivelazione, insieme con altri episodi degli aberranti anni di piombo mai resi pubblici, è contenuta nel nuovo libro di Aldo Grandi, Insurrezione armata (Rizzoli, pagg. 437, euro 9,50).
Il testo ricostruisce la biografia di 28 imputati del maxiprocesso '7 aprile' contro Potere Operaio.
E' «la prima volta che racconto questo episodio, anche se naturalmente le persone direttamente interessate sanno tutto - dice al Corriere di Como Cecco Bellosi -
Per me si tratta di un momento determinante, perché questa 'fibbia', termine che in gergo carcerario è l'ordine di eliminare qualcuno, ha determinato la fine della mia militanza.
Dopo la richiesta assurda di uccidere Toni Negri ho deciso che era ora di dire basta con una 'storia' che stava finendo male».
Erano gli anni Ottanta, anni di odio ideologico, di sanguinosi agguati e la «storia che stava finendo male» era quella della lotta armata, per i cui protagonisti la vita delle vittime designate non valeva nulla.
«La 'fibbia' mi è giunta in modo verbale, ovviamente in modo cifrato - racconta l'ex brigatista nato e cresciuto a Colonno - quando ero nella sezione di massima sicurezza di Rebibbia.
Ero considerato un irriducibile.
Altri imputati, tra cui Toni Negri, erano invece in un altro braccio della prigione, ma avevamo comunque possibilità di incontrarci in aula.
Ho immediatamente respinto la richiesta di eliminare Negri e da lì ho preso la decisione di chiudere per sempre quel capitolo.
Questo non ha comportato rischi per me, anche perchè le Br ormai erano allo sbando e divise in più fazioni.
Io appartenevo alla colonna milanese autonoma e non avevo obblighi verso il gruppo centrale».
«Per dare un segnale forte - continua Bellosi - ho anche chiesto di essere trasferito dalla cella destinata ai prigionieri politici a quella dei detenuti comuni.
Questo periodo mi è servito per disintossicarmi dalla dimensione politica del gruppo.
Ho continuato con il silenzio giudiziario, ma di fatto mi sono chiamato fuori.
Ho anche avvertito Toni Negri di guardarsi le spalle, ma l'idea folle di eliminarlo è stata comunque vanificata dalla disgregazione delle Br».
Il brigatista lariano torna poi con il ricordo al gennaio 1970, quando fece espatriare clandestinamente in Svizzera l'editore Giangiacomo Feltrinelli.
«Fu sicuramente il personaggio più famoso che ho aiutato a varcare il confine - ricorda Bellosi - era un compito che svolgevo abitualmente e sono decine le persone che ho aiutato a lasciare l'Italia».
Nel racconto di una delle pagine più drammatiche della storia italiana c'è spazio anche per episodi curiosi, distanti dalla violenza, come il giorno in cui, racconta Bellosi, «andai in farmacia per comprare 100 preservativi che mi servivano per confezionare altrettante bottiglie molotov per una manifestazione. Facile immaginare i commenti del farmacista».
E nella confessione dell'ex brigatista - oggi padre di famiglia, coordinatore delle comunità per il recupero di tossicodipendenti 'Il Gabbiano' - c'è spazio anche per la 'Notte dei fuochi', la notte del 15 luglio 1981 quando l'esplosione di una bomba in viale Lecco costò la vita al giovane artificiere Luigi Carluccio.
«E' un'azione da cui mi sento molto lontano - dice Bellosi - non ideata dalla nostra organizzazione.
E' stato un gesto vile aver piazzato una bomba con un timer e quindi incontrollabile, un gesto che ho sempre condannato. Non posso che dispiacermi per la morte di un innocente, per un'azione avventata e stupida.
Comunque non sono mai stato inquisito per questo episodio». Infine, una considerazione sulle nuove Br.
«Gli anni '70 sono irripetibili - dice Bellosi - uno dei nostri errori è stato scambiare il crepuscolo per l'aurora, pensare che fosse vicina la presa di potere per la classe operaia quando questa cominciava a perdere importanza e peso politico.
Oggi, le nuove Br sono solo un gruppo avulso dalla realtà.
La lotta armata negli anni '70 si collocava in un preciso contesto.
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