Da redazione del 06/11/2005

Parla il sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza

La mafia esiste. Noi pure

di Roberto Bortone

Articolo presente nelle categorie:
Storia del crimine organizzato in Italia3. 'Ndrangheta
Coloro che parlano di mafia, quelli che ne studiano le dinamiche al fine di contrastarla, quanti la subiscono da inermi cittadini o quelli che la incarnano a vari livelli (dal boss al picciotto), hanno imparato bene che nel nostro Paese si alternano momenti di emergenza emotiva percepiti a livello nazionale e momenti di emergenza vissuta che in molte regioni si fanno quotidianità.
In questi ultimi giorni, come tal volta capita dopo sanguinosi fatti di mafia, assistiamo al ciclico eclisse emotivo nel quale pare che le emergenze coincidano e che lo sdegno per l’ennesima uccisione eclatante accomuni tutti, sia chi la mafia la subisce endemicamente sia chi ne sente parlare dalla televisione.
Convinti che questo sia un altro momento opportuno per rilanciare la lotta al crimine organizzato, abbiamo chiesto a Gianni Speranza, sindaco di Lamezia Terme, più volte oggetto di intimidazione da parte della ‘ndrangheta ma per nulla intimidito, quale sia la strada per contrattaccare con le armi della democrazia.

Mafia e quotidianità: Lamezia è un caso emblematico. Un comune messo sotto scacco dalla ‘ndrangheta. Cosa è successo negli ultimi anni e perché oggi vi trovate in questa situazione.
«Partiamo dai fatti. Nel 2001 al voto per le amministrative il centro destra ha ottenuto il 75% dei consensi. Una maggioranza schiacciante. Nell’ottobre del 2002 il Ministero dell’Interno ha sciolto il consiglio comunale “per rimuovere le cause del grave deterioramento e inquinamento dell’amministrazione comunale” e perché c’erano “collegamenti diretti e indiretti tra parte dei componenti del consiglio e la criminalità organizzata”. Uno sfacelo economico, politico e morale con il quale non possiamo non misurarci anche oggi, perché se da un punto di vista politico le cose sono un po’ cambiate, il problema economico è ancora emergenziale. Non avendo rispettato il patto di stabilità per due anni il comune di Lamezia si trova ancora sotto vincolo da parte dello Stato. Fino al gennaio prossimo non potremo fare un mutuo, assumere, pagare consulenze. Niente. Impegnarsi sulla strada della legalità senza fondi è difficile eppure ci stiamo provando. Nei giorni scorsi, nel corso di un seminario sul lavoro nero è emerso un dato preoccupante: il 30% delle persone impiegate lavora in nero. Una voragine di insicurezza e speculazione in cui la criminalità si muove a suo piacimento.»

Come giudica la nomina di De Sena a Prefetto di Reggio Calabria con poteri speciali di coordinamento e contrasto alla ‘ndrangheta. E’ il segnale giusto? Arrivano i nostri?
«Quella di De Sena, che è un esperto investigatore, sarà una presenza giusta e importante. Ma non carichiamola di troppi pesi. La divisione dei poteri dello Stato esige altrettanto impegno da parte di tutti gli organi istituzionali. Il Csm cosa ha in mente di fare sugli organici della magistratura? Continueranno a mandare solo giudici ragazzini? Servirebbe qualche investigatore al livello di De Sena anche nella magistratura. Per quanto riguarda l’ordine pubblico poi non sarei contrario ad un limitato dispiegamento dell’esercito nella misura utile a sollevare Carabinieri e Polizia dai compiti non fondamentali per concentrare invece gli sforzi sul contrasto del sistema mafioso.
La guerra alla ‘ndrangheta si combatte sul campo e con tutti i riflettori accesi. Abbiamo bisogno allora anche dei media, arma vitale della democrazia. In cantiere ci sono delle idee perché l’attenzione al fenomeno resti alta, come ad esempio l’istituzione di una giornata “contro la mafia”.»

Quale è la sua strategia politica. Come vede la Lamezia di domani?
«Probabilmente la persona che sogna di meno in tutta Lamezia è il suo sindaco. La mia è una visione concreta del futuro. Diciamo così: la prima cosa importante è una città che esista per davvero; e perché ci sia una città c’è bisogno di costruire luoghi e momenti nei quali le persone possano coltivare un senso di appartenenza nuovo, di comunità. Pensare che possa esistere una Lamezia domani significa rimboccarsi le mani oggi perché l’immagine della nostra città non sia solo quella di un comune sciolto per mafia. Anche a costo di fare una politica di basso profilo, del giorno per giorno. Non avendo nemmeno la prevalenza numerica nel consiglio comunale, considerato che il sindaco è di sinistra ma la maggioranza al consiglio è di centro destra, la sfida naturale è quella dell’equilibrio: tenere unita questa città che non c’è per il maggior tempo possibile. I sogni li ho già tolti dal cassetto e ora sono sulla mia scrivania: se riuscirò a governare per cinque anni ho intenzione di realizzare un centro di alta formazione per i laureati della Calabria e del Paese. Per sprovincializzare la nostra realtà formativa senza costringere i nostri giovani ad andare al nord per poi non fare più ritorno. In questo senso vedo anche la valorizzazione dell’area industriale di Lamezia. Perché il lavoro ci sarebbe e anche per tanti. Ma ci vogliono naturalmente sicurezza e servizi efficienti. E qualche soldo da spendere… »

Sono passate due settimane dalla barbara esecuzione di Francesco Fortugno nel seggio delle Primarie a Locri. Qual’è la molla che scatta nella mente di un cittadino responsabile, di un sindaco, quando dalle intimidazioni si passa al sangue, quando a cadere sotto i colpi della ‘ndrangheta non sono più solo i pregiudicati ma anche i politici, i colleghi?
«Accanto all’indignazione e alla paura resta lo spazio per un po’ di speranza. Ognuno di noi tende sempre a pensare che forse a lui non accadrà. Razionalmente poi uno capisce che può succedere a tutti. Da questo punto di vista non ci sono certezze. Più si fa un discorso razionale e più ci sono ragioni per essere preoccupati. Nel mio caso, mi riferisco alle minacce che ho ricevuto, al proiettile e al portone bruciato, si è trattato certamente di una intimidazione preventiva. Le indagini infatti non hanno portato a niente ed io personalmente non ho voluto dare enfasi a queste cose. Il fatto di avere una scorta o di subire continui segnali, sono cose sulle quali non amo soffermarmi se non nella misura in cui riproducono l’emblema di una realtà distorta e ben più larga. Molti miei colleghi politici mi rimproverano il fatto che parli di mafia e di ‘ndrangheta quotidianamente poiché ritengono quella della Calabria una criminalizzazione immotivata. Io non condivido per niente questo discorso untuoso e falso perché il problema c’è e deve essere sotto gli occhi di tutti: la gente oggi a Lamezia vive male. Io però sostengo che questa considerazione non sarà l’ultima parola sulla nostra regione. Basta pensare alla recente formazione di una associazione antiracket e al forte valore simbolico e non solo che essa rappresenta in un quadro fosco come quello che abbiamo fin qui tratteggiato. Piccoli segnali ma di grande impatto.»

Un ultima considerazione. Lei è stato eletto sindaco nel 2005 con il 66% dei voti, come ha fatto?
«Anche io ho riflettuto a lungo sul perchè uno come me abbia preso una barca di voti. Come ho fatto? Sono giunto alla conclusione che sulla questione sindaco la mafia se ne è un po’ fregata. Ha ritenuto che su questo problema non fosse opportuno monopolizzare il voto inibendo il desiderio di cambiamento della gente di Lamezia. Ecco il senso del portone bruciato prima ancora che divenissi sindaco: ricordati che comunque vada noi ci siamo e comandiamo. Anche io ci sono, staremo a vedere.»

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