Da Il Gazzettino del 18/12/2005
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INCONTRO CON STIZ E LORENZON

Piazza Fontana, in pochi per la strage "nata" in città

di Alessandra Vendrame

Il testimone, il giudice e una storia italiana di giustizia mancata che comincia dalla Marca. Guido Lorenzon il teste trevigiano per la strage di Piazza Fontana e il magistrato Giancarlo Stiz, il giudice istruttore del troncone veneto dell'eccidio, si sono ritrovati insieme ieri mattina all'auditorium del collegio Pio X a raccontare i trentasei anni della vicenda giudiziaria dell'attentato alla Banca nazionale dell'agricoltura di Milano; iniziata il 12 dicembre 1969 con sedici morti e conclusa il 3 maggio di quest'anno senza nessun colpevole.
Poche classi di studenti e pochi sindaci invitati hanno partecipato all'incontro organizzato dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil e dall'Unione degli studenti, una delle rare occasioni - la seconda per la precisione - in cui il testimone e il giudice sono stati invitati a sedersi allo stesso tavolo per parlare della strage. Un "tormentone", per Lorenzon, durato ben undici processi che l'hanno visto testimone chiave nella vicenda giudiziaria relativa ai responsabili, senza tuttavia che nessun tribunale pronunciasse definitivamente nome e cognome degli esecutori. E un'indagine, per Stiz, che dalle vittime di Milano è finita dritta nella Marca sulle tracce dei colpevoli e a caccia della verità: "Siamo qui per ricordare i morti e ricordare che sono vittime che non hanno avuto giustizia. Non sappiamo chi ha provocato la loro morte - ha detto Lorenzon -, una bomba scoppiata in un momento di pace li ha uccisi. La verità su quella strage lo Stato non è in grado di dirla, quindi alle vittime non è stata data giustizia".

Milano non era poi così lontana da Treviso. Non c'è solo il groviglio di mosse e contromosse messe in atto dai diversi tribunali italiani e raccontati nel libro di Guido Lorenzon "Piazza Fontana. La pista di Treviso", pubblicato quest'anno come riedizione del suo primo libro "Teste a carico", scritto nel '76. Il radicamento della strage ha radici profonde nella Marca trevigiana, che dalle pagine del libro e dai racconti di chi cercò di far giustizia se ne esce come una terra "ovattata", "che ha sempre conservato sul proprio ruolo nella vicenda un silenzio assordante". Sono trevigiani i nomi e cognomi: primo fra tutti quello di Giovanni Ventura. E i luoghi: dal centro di Treviso - dove Ventura aveva una libreria sotto i portici - a Castelfranco, città d'origine del libraio, dove nella casa dell'ingegner Giancarlo Marchesin è stato trovato un arsenale delle armi di Ventura. Sono questi i luoghi e i nomi della Marca che hanno scandito le tappe della vicenda giudiziaria, trascinando con sé la vicenda personale di Lorenzon: "Il lunedì successivo la strage - racconta - sono andato a Vittorio Veneto dall'avvocato Alberto Steccarella che era in contatto con l'avvocato Dino De Poli. Dovevo dire cosa avevo saputo negli ultimi anni, mesi e giorni da Giovanni Ventura. Il mio percorso di teste inizia a Vittorio Veneto. Dovevo portare sulla mia città le vicende che riguardavano tutto il Paese".

Al testimone un certo Vincenzo Vinciguerra aveva avuto l'ordine di dare una "lezione". Lo ha dichiarato nell'aula bunker di Mestre durante il processo nella seconda metà degli anni '80: "Senza Lorenzon non sarebbe iniziato nessun procedimento penale - ha ammesso il giudice Stiz -, come cittadino ha riferito quanto sapeva. Se fosse un dovere generale certe cose non sarebbero successe".

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