Da Panorama del 20/12/2005
Originale su http://www.panorama.it/opinioni/archivio/articolo/ix1-A020001034070
Sì, le Br erano manovrate dal Kgb
Seguendo le tracce di Carlos, la commissione Mitrokhin è giunta a una conclusione scioccante: i nostri terroristi compivano azioni chieste dai servizi segreti russi
di Paolo Guzzanti
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Le Brigate rosse erano o no un braccio armato del Kgb? Si può dire oggi che la risposta è un sì definitivo. Altro che serial killer idealisti: il loro gruppo di comando faceva parte di una struttura operativa guidata dai servizi sovietici che affidavano la pianificazione del terrorismo alla Stasi tedesca cui spettava il compito di smistare le richieste ad agenzie di fiducia: dai Lupi grigi turchi alla banda di Ilich Ramirez Sanchez, più noto come Carlos, detta Separat nella Germania comunista, la Raf tedesca, Action directe francese e le Brigate rosse italiane.
La questione è stata affrontata nella Commissione parlamentare Mitrokhin con una missione al Palazzo di giustizia a Parigi un anno fa e poi a Budapest.
Ed è stato proprio dai documenti ungheresi, già noti alla magistratura italiana, che la verità è emersa nel modo più scioccante: le Br facevano parte del sistema operativo del Kgb, compivano azioni richieste dal Kgb e rispondevano al Kgb attraverso una ferrea catena di comando.
La verità è emersa seguendo le tracce di Carlos che sconta l’ergastolo in Francia ma che è tuttora molto attivo in depistaggi: costui, fra gli anni Settanta e Ottanta, guidava una agenzia paramilitare con basi nell’Iraq di Saddam Hussein, nella Repubblica popolare dello Yemen del Sud con la più importante base navale sovietica, a Bucarest, Varsavia e infine a Budapest, dove però era a mala pena tollerato per i gravi problemi di ordine pubblico che i suoi guerriglieri provocavano nelle strade della capitale. Ma era comunque a lui che venivano commissionati i più importanti attentati e omicidi, insomma le «covert operations» più sporche.
Sono dunque gli anni del rapimento di Aldo Moro, della strage di Ustica, della strage di Bologna, dell’attentato al treno del Natale 1984 e dell’ondata terroristica delle Brigate rosse e in genere del terrorismo e dell’eversione.
Se l’inchiesta ventennale del leggendario giudice istruttore francese Jean-Louis Bruguière è indispensabile per comprendere lo scenario internazionale del terrorismo guidato dall’Unione Sovietica, i documenti più espliciti per quel che ci riguarda vengono invece dall’Ungheria, la cenerentola del Patto di Varsavia: a Budapest, Carlos aveva i suoi covi più riforniti di armi, documenti, munizioni e denaro e da qui partiva in missione lasciando tutti i suoi materiali a disposizione degli agenti ungheresi, che in sua assenza perquisivano e fotocopiavano per redigere rapporti destinati ai superiori russi e tedeschi orientali circa le mosse del terrorista.
È stato frugando fra le carte di Carlos gestito dalla Stasi e dal Kgb che sono saltate fuori centinaia di pagine sulle Brigate rosse come parte integrante di un sistema eversivo diretto dall’estero. È una storia che a tratti sfiora il grottesco: quando, nel 1977, i sovietici annunciarono agli ungheresi che Carlos stava per istallarsi a casa loro, gli ungheresi per precauzione dettero ordine di pedinarlo con una macchina del ministero degli Interni. Ma Carlos, che si sentiva più a casa sua degli ungheresi, scaricò il caricatore della sua pistola contro l’auto mettendo in fuga gli agenti disarmati e terrorizzati che furono immediatamente rimessi in riga dai russi: niente pedinamenti, niente misure attive, ma soltanto intercettazioni e perquisizioni, con l’obbligo di consegnare subito a loro tutto il materiale raccolto. Una piccola parte di quei materiali è rimasta nelle mani degli ungheresi i quali, caduto il regime, l’hanno messa a disposizione della procura di Roma e della Commissione parlamentare sul Dossier Mitrokhin.
Si tratta di più di mille pagine con la vera storia di una sezione operativa del Kgb che agiva usando le Brigate rosse. I nomi ricorrenti sono talvolta noti, come quelli di Valerio Morucci e Antonio Savasta, talvolta meno noti, come quello di Alessandro Girardi, o storpiati come quello di «Curzio», che secondo gli ungheresi doveva essere Renato Curcio.
A questo punto lo stesso delitto Moro assume una definizione molto più grave di quella che fu prefabbricata dallo stesso Kgb con l’operazione di disinformazione detta Shpora, attraverso la quale si è fatto credere che Moro fu eliminato dagli americani per ordine di Henry Kissinger che non voleva il compromesso storico, quando è dimostrato, sia dalle interviste di Kissinger che da un recente libro di Maurizio Molinari sui documenti della Cia in Italia, che è vero il contrario: gli Usa volevano aiutare il Pci a sganciarsi dall’Unione Sovietica e Moro era l’uomo sul quale puntavano per questo risultato. Ci sembra che la recente storia del nostro Paese debba essere riveduta.
La questione è stata affrontata nella Commissione parlamentare Mitrokhin con una missione al Palazzo di giustizia a Parigi un anno fa e poi a Budapest.
Ed è stato proprio dai documenti ungheresi, già noti alla magistratura italiana, che la verità è emersa nel modo più scioccante: le Br facevano parte del sistema operativo del Kgb, compivano azioni richieste dal Kgb e rispondevano al Kgb attraverso una ferrea catena di comando.
La verità è emersa seguendo le tracce di Carlos che sconta l’ergastolo in Francia ma che è tuttora molto attivo in depistaggi: costui, fra gli anni Settanta e Ottanta, guidava una agenzia paramilitare con basi nell’Iraq di Saddam Hussein, nella Repubblica popolare dello Yemen del Sud con la più importante base navale sovietica, a Bucarest, Varsavia e infine a Budapest, dove però era a mala pena tollerato per i gravi problemi di ordine pubblico che i suoi guerriglieri provocavano nelle strade della capitale. Ma era comunque a lui che venivano commissionati i più importanti attentati e omicidi, insomma le «covert operations» più sporche.
Sono dunque gli anni del rapimento di Aldo Moro, della strage di Ustica, della strage di Bologna, dell’attentato al treno del Natale 1984 e dell’ondata terroristica delle Brigate rosse e in genere del terrorismo e dell’eversione.
Se l’inchiesta ventennale del leggendario giudice istruttore francese Jean-Louis Bruguière è indispensabile per comprendere lo scenario internazionale del terrorismo guidato dall’Unione Sovietica, i documenti più espliciti per quel che ci riguarda vengono invece dall’Ungheria, la cenerentola del Patto di Varsavia: a Budapest, Carlos aveva i suoi covi più riforniti di armi, documenti, munizioni e denaro e da qui partiva in missione lasciando tutti i suoi materiali a disposizione degli agenti ungheresi, che in sua assenza perquisivano e fotocopiavano per redigere rapporti destinati ai superiori russi e tedeschi orientali circa le mosse del terrorista.
È stato frugando fra le carte di Carlos gestito dalla Stasi e dal Kgb che sono saltate fuori centinaia di pagine sulle Brigate rosse come parte integrante di un sistema eversivo diretto dall’estero. È una storia che a tratti sfiora il grottesco: quando, nel 1977, i sovietici annunciarono agli ungheresi che Carlos stava per istallarsi a casa loro, gli ungheresi per precauzione dettero ordine di pedinarlo con una macchina del ministero degli Interni. Ma Carlos, che si sentiva più a casa sua degli ungheresi, scaricò il caricatore della sua pistola contro l’auto mettendo in fuga gli agenti disarmati e terrorizzati che furono immediatamente rimessi in riga dai russi: niente pedinamenti, niente misure attive, ma soltanto intercettazioni e perquisizioni, con l’obbligo di consegnare subito a loro tutto il materiale raccolto. Una piccola parte di quei materiali è rimasta nelle mani degli ungheresi i quali, caduto il regime, l’hanno messa a disposizione della procura di Roma e della Commissione parlamentare sul Dossier Mitrokhin.
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