Da La Repubblica del 04/01/2006
Originale su http://www.repubblica.it/2006/a/sezioni/cronaca/rostagno/rostagno/rost...
A 17 anni dall'omicidio del giornalista ultimo tentativo di evitare l'archiviazione
Delitto Rostagno, caccia ai video spariti. La sorella: "Riaprite l'inchiesta"
I nastri sarebbero stati portati via dai killer: "Sono la chiave del mistero"
di Attilio Bolzoni
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TORINO - Sono scomparse subito dopo l'omicidio, la notte del 26 settembre 1988. Erano sempre nella sua borsa. Poi ne sono sparite altre. In più circostanze. In quelle cassette forse c'è il movente di uno dei grandi delitti siciliani, un altro di quei casi "a carico di ignoti" che sta per finire in archivio. Ma 17 anni dopo la morte di un giornalista sognatore la sorella Carla chiede d'indagare ancora: "L'inchiesta ha troppi vuoti, ci sono testimoni mai ascoltati e reperti mai cercati...". È il giallo delle registrazioni di Mauro Rostagno che non hanno mai trovato.
La riapertura di un affaire che sembrava destinato a perdersi in qualche deposito giudiziario viene chiesta ufficialmente, alla vigilia della sentenza sull'ennesima richiesta di archiviazione per l'uccisione di Sanatano, ultimo nome di uno dei fondatori di Lotta Continua, l'arancione, il sociologo del '68 di Trento, l'animatore del Macondo di Milano sceso in Sicilia per tendere una mano ai ragazzi più fragili della comunità Saman e raccontare la città più impenetrabile dell'isola: Trapani.
Una lettera è partita da Torino - dove vive sua sorella Carla e dove Mauro è nato - indirizzata al sostituto procuratore Antonio Ingroia e al giudice Marcello Viola, i magistrati palermitani che qualche anno fa ereditarono i 34 faldoni trasmessi dai loro colleghi trapanesi. Li ricevettero "per competenza territoriale", in quanto tra le possibili causali del delitto emerse anche una traccia mafiosa. Su quelle vaghe rivelazioni dei pentiti, rallentarono e poi si arenarono le investigazioni sull'uccisione di quello strano giornalista vestito di bianco che dagli schermi di una tivù locale attaccava i potenti.
L'hanno ammazzato con sei fucilate in una sera di fine estate in mezzo alla campagna di Lenzi dove c'era Saman, l'inchiesta che ne seguì fu segnata per 8 anni da una spaventosa serie di depistaggi e lacune. Nel 1996 fu presa in mano dal procuratore capo Gianfranco Garofalo che si convinse dell'esistenza di una pista interna, dell'ipotesi di "un delitto tra amici". Ma anche l'inchiesta di Garofalo naufragò, tra polemiche e testimoni giudicati inattendibili. Poi fu solo scandita da richieste di archiviazione. "Garofalo è il primo che ha indagato a fondo sul delitto e non ha avuto il tempo di concludere le sue investigazioni, comunque è nelle varie fasi che le indagini non sono state accurate come dovevano essere", accusa oggi Carla Rostagno. E tra le pieghe della vicenda giudiziaria indica uno a uno gli intrighi su quelle cassette scomparse.
Le prime sono quelle che suo fratello non lasciava mai dalla fine di quella primavera del 1988. "Pressappoco dai giorni in cui parlò con il giudice Falcone", ricorda Carla. Una era una cassetta audio e l'altra era una cassetta video con su scritto "Non toccare". Qualcuno sospetta che su quei nastri ci siano le immagini di un traffico d'armi, un filmato girato segretamente tra il giugno e il settembre dell'88 all'aeroporto abbandonato di Kinisia, che è a qualche decina di chilometri da Trapani. Probabilmente quelle cassette le hanno prelevate i killer.
Ma ce ne sono altre quattro che non si trovano più. Sono quelle che Caterina Bulgarella, l'editrice di Rtc - la televisione che Mauro dirigeva - consegnò tre settimane dopo ai carabinieri di Trapani. Agli atti dell'inchiesta questi nastri non ci sono. Nessuno ne conosce il contenuto. E nessuno ha mai chiesto a Caterina Bulgarella se lei avesse visto o meno quei filmati.
Nella lista delle cassette mai arrivate all'autorità giudiziaria c'è anche un'intervista concessa alla Rai (e mai trasmessa) da Alessandra Faconti, una ragazza della comunità di Saman che era molto vicina a Mauro. Il regista la consegnò sempre ai carabinieri ma dalla caserma non arrivò mai in tribunale. Un maresciallo ricordò inizialmente di averla ricevuta, in un secondo tempo precisò "che era stata consegnata ma non direttamente a me".
Tanti "buchi", tanti reperti introvabili. Come quelle bobine, le intercettazioni telefoniche ordinate qualche mese dopo il delitto sulle utenze della comunità Saman gestita dal guru Francesco Cardella. Sparite alcune conversazioni. E altre smagnetizzate tra il 5 e il 14 gennaio del 1991, su una richiesta formale firmata dal vecchio procuratore capo Antonino Coci. Con le bobine sono scomparsi dalla cancelleria anche i brogliacci, dieci libroni. Il procuratore Garofalo scoprì pure che non c'era traccia di un deposito ufficiale delle intercettazioni. E che il numero di fascicolo dove avrebbero dovuto inserirle, corrispondeva a quello di un'indagine su una discarica pubblica. "Credo che ci siano abbastanza elementi per non chiudere l'inchiesta e per capire come ci sono state tante anomalie", dice Carla Rostagno.
La decisione di chiedere un'altra indagine Carla Rostagno l'ha maturata dopo un viaggio in Sicilia. È andata a Trapani a riprendersi con un furgone quasi 3 mila videocassette sepolte in un magazzino, tutti gli interventi di suo fratello a Rtc. La tivù dove lavorava ha chiuso e gli editori hanno venduto i locali a un'agenzia pubblicitaria, le videocassette le hanno lasciate là a marcire. A ritrovarle è stata per prima Norma Ferrara, una studentessa che sta preparando una tesi sul "caso Rostagno e la stampa". Poi è arrivato in quel magazzino anche Alberto Castiglione, regista palermitano che ha girato "Una voce nel vento", un bel documentario sulle denunce televisive di Mauro Rostagno.
Come finirà l'inchiesta? "Sono pronto a riprenderla se il gip dovesse ordinare nuovi accertamenti, mi sono fermato per la scadenza dei termini", spiega il sostituto Ingroia. Dopo 17 anni forse si ricomincerà a indagare, come capita spesso in Sicilia quando in troppi vogliono la morte di qualcuno. Quando un delitto si decide per quella che chiamano "una convergenza di interessi".
La riapertura di un affaire che sembrava destinato a perdersi in qualche deposito giudiziario viene chiesta ufficialmente, alla vigilia della sentenza sull'ennesima richiesta di archiviazione per l'uccisione di Sanatano, ultimo nome di uno dei fondatori di Lotta Continua, l'arancione, il sociologo del '68 di Trento, l'animatore del Macondo di Milano sceso in Sicilia per tendere una mano ai ragazzi più fragili della comunità Saman e raccontare la città più impenetrabile dell'isola: Trapani.
Una lettera è partita da Torino - dove vive sua sorella Carla e dove Mauro è nato - indirizzata al sostituto procuratore Antonio Ingroia e al giudice Marcello Viola, i magistrati palermitani che qualche anno fa ereditarono i 34 faldoni trasmessi dai loro colleghi trapanesi. Li ricevettero "per competenza territoriale", in quanto tra le possibili causali del delitto emerse anche una traccia mafiosa. Su quelle vaghe rivelazioni dei pentiti, rallentarono e poi si arenarono le investigazioni sull'uccisione di quello strano giornalista vestito di bianco che dagli schermi di una tivù locale attaccava i potenti.
L'hanno ammazzato con sei fucilate in una sera di fine estate in mezzo alla campagna di Lenzi dove c'era Saman, l'inchiesta che ne seguì fu segnata per 8 anni da una spaventosa serie di depistaggi e lacune. Nel 1996 fu presa in mano dal procuratore capo Gianfranco Garofalo che si convinse dell'esistenza di una pista interna, dell'ipotesi di "un delitto tra amici". Ma anche l'inchiesta di Garofalo naufragò, tra polemiche e testimoni giudicati inattendibili. Poi fu solo scandita da richieste di archiviazione. "Garofalo è il primo che ha indagato a fondo sul delitto e non ha avuto il tempo di concludere le sue investigazioni, comunque è nelle varie fasi che le indagini non sono state accurate come dovevano essere", accusa oggi Carla Rostagno. E tra le pieghe della vicenda giudiziaria indica uno a uno gli intrighi su quelle cassette scomparse.
Le prime sono quelle che suo fratello non lasciava mai dalla fine di quella primavera del 1988. "Pressappoco dai giorni in cui parlò con il giudice Falcone", ricorda Carla. Una era una cassetta audio e l'altra era una cassetta video con su scritto "Non toccare". Qualcuno sospetta che su quei nastri ci siano le immagini di un traffico d'armi, un filmato girato segretamente tra il giugno e il settembre dell'88 all'aeroporto abbandonato di Kinisia, che è a qualche decina di chilometri da Trapani. Probabilmente quelle cassette le hanno prelevate i killer.
Ma ce ne sono altre quattro che non si trovano più. Sono quelle che Caterina Bulgarella, l'editrice di Rtc - la televisione che Mauro dirigeva - consegnò tre settimane dopo ai carabinieri di Trapani. Agli atti dell'inchiesta questi nastri non ci sono. Nessuno ne conosce il contenuto. E nessuno ha mai chiesto a Caterina Bulgarella se lei avesse visto o meno quei filmati.
Nella lista delle cassette mai arrivate all'autorità giudiziaria c'è anche un'intervista concessa alla Rai (e mai trasmessa) da Alessandra Faconti, una ragazza della comunità di Saman che era molto vicina a Mauro. Il regista la consegnò sempre ai carabinieri ma dalla caserma non arrivò mai in tribunale. Un maresciallo ricordò inizialmente di averla ricevuta, in un secondo tempo precisò "che era stata consegnata ma non direttamente a me".
Tanti "buchi", tanti reperti introvabili. Come quelle bobine, le intercettazioni telefoniche ordinate qualche mese dopo il delitto sulle utenze della comunità Saman gestita dal guru Francesco Cardella. Sparite alcune conversazioni. E altre smagnetizzate tra il 5 e il 14 gennaio del 1991, su una richiesta formale firmata dal vecchio procuratore capo Antonino Coci. Con le bobine sono scomparsi dalla cancelleria anche i brogliacci, dieci libroni. Il procuratore Garofalo scoprì pure che non c'era traccia di un deposito ufficiale delle intercettazioni. E che il numero di fascicolo dove avrebbero dovuto inserirle, corrispondeva a quello di un'indagine su una discarica pubblica. "Credo che ci siano abbastanza elementi per non chiudere l'inchiesta e per capire come ci sono state tante anomalie", dice Carla Rostagno.
La decisione di chiedere un'altra indagine Carla Rostagno l'ha maturata dopo un viaggio in Sicilia. È andata a Trapani a riprendersi con un furgone quasi 3 mila videocassette sepolte in un magazzino, tutti gli interventi di suo fratello a Rtc. La tivù dove lavorava ha chiuso e gli editori hanno venduto i locali a un'agenzia pubblicitaria, le videocassette le hanno lasciate là a marcire. A ritrovarle è stata per prima Norma Ferrara, una studentessa che sta preparando una tesi sul "caso Rostagno e la stampa". Poi è arrivato in quel magazzino anche Alberto Castiglione, regista palermitano che ha girato "Una voce nel vento", un bel documentario sulle denunce televisive di Mauro Rostagno.
Come finirà l'inchiesta? "Sono pronto a riprenderla se il gip dovesse ordinare nuovi accertamenti, mi sono fermato per la scadenza dei termini", spiega il sostituto Ingroia. Dopo 17 anni forse si ricomincerà a indagare, come capita spesso in Sicilia quando in troppi vogliono la morte di qualcuno. Quando un delitto si decide per quella che chiamano "una convergenza di interessi".
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