Da L'Unità del 28/01/2006

Ilaria Alpi, tutti gli omissis di una verità nascosta

Ilaria Alpi, tutti gli omissis di una verità nascosta. Mogadiscio, 1994: le inchieste e la passione della reporter del tg3. L’agguato, i mandanti e i troppi misteri di una storia italiana

di Mariangela Gritta Grainer

Ilaria Alpi, come si uccide una cronista
Ilaria Alpi: non c’è nessuno, credo, che non la conosca. Tutti la conoscono come vittima di quell’agguato in cui, insieme a Miran Hrovatin, fu assassinata a Mogadiscio, oltre undici anni fa, il 20 marzo 1994. Si è parlato e si parla di lei e ancora non si conosce la verità sul duplice delitto. O per lo meno non tutta la verità. Si sa che si è trattato di una esecuzione. Si sa che a Mogadiscio in quei giorni c’erano ancora migliaia di soldati dell’Onu; che il generale Carmine Fiore comandava il contingente italiano; che il colonnello Luca Rayola Pescarini era responsabile del Sismi; che il colonnello Fulvio Vezzalini era a capo dell’intelligence dell’Unosom; che Mario Scialoja era ambasciatore italiano in Somalia.
ANCHE un nucleo di carabinieri del Tuscania con compiti di indagine era lì. (...) Si sa che non vennero sequestrate le armi dell’autista di Ilaria né della scorta, non vennero interrogati i testimoni. Si sa che nessuna inchiesta è stata finora conclusa
da parte delle istituzioni che avevano il dovere di indagare e di assicurare alla giustizia esecutori e mandanti. Si sa che non fu disposta l’autopsia ma solo un esame esterno del corpo. Il 22 marzo 1994 al cimitero Flaminio, il dottor Giulio Sacchetti, perito medico scrive: «... trattasi di ferita penetrante al capo da colpo d’arma da fuoco a proiettile unico; mezzo adoperato pistola, arma corta... Quanto ai mezzi che produssero il decesso si identificano in un colpo d’arma da fuoco a proiettile unico esploso a contatto con il capo».
(...) Si sa che sono spariti il certificato di morte redatto sulla nave Garibaldi, e il body anatomy report redatto dalla compagnia Brown Root di Huston, insieme a bloc notes di Ilaria e a videocassette registrate. Si sa che un giovane somalo Hashi Omar Assan è in carcere condannato a 26 anni (con sentenza definitiva e dopo sentenze contrastanti) per concorso in omicidio plurimo.
Si sa anche però che il teste principale d’accusa Ahmed Ali Rage detto Jelle non testimoniò neanche al processo di primo grado perché venti giorni prima dell’arrivo a Roma di Hashi Omar Assan si era già reso irreperibile e che il secondo testimone è morto dopo la condanna definitiva di Hashi. Si sa che la sentenza di assoluzione (primo processo) di Hashi Omar Assan definirà tutto il procedimento come «la costruzione di un capro espiatorio» stante che «il caso Alpi pesava come un macigno nei rapporti tra Italia e Somalia» e stante che «alcune piste potrebbero portare a ritenere che la Alpi sia stata uccisa, a causa di quello che aveva scoperto, per ordine di Ali Mahdi e di Mugne (presidente della Shifco, società a cui appartenevano i pescherecci, compresa la Fara Omar sequestrata a Bosaso e su cui Ilaria stava indagando, n.d.r.)».
Si sa che la sentenza di condanna all’ergastolo di Hashi (secondo processo), nelle sue motivazioni, indica un solo movente di quella che definisce una esecuzione premeditata e organizzata. «... e che questi scopi siano da individuarsi nella eliminazione e definitiva tacitazione della Alpi e di chi collaborava professionalmente con la giornalista perché divenuta costei estremamente “scomoda” per qualcuno è ipotesi non seriamente contestabile (...). Gli argomenti trattati dalla giornalista durante il colloquio avuto poco prima della sua partenza per Bosaso con Faduma Mohamed Mamud nonché quelli oggetto dell’intervista con il sultano di Bosaso difficoltosamente ottenuta, l’interesse dimostrato in relazione al sequestro della nave della società Shifco, la visita dei pozzi oggetto di uno scandalo connesso con la cooperazione, il tenore della telefonata intercorsa tra la Alpi e il suo caporedattore Massimo Loche nel corso della quale la giornalista aveva anticipato al collega di avere in mano cose molto grosse... sono tutte circostanze che inducono fondatamente a ritenere che Ilaria Alpi avesse nella sua attività di giornalista scoperto fatti ed attività connesse con traffici illeciti di vasto ambito (...)».
Si sa che una Commissione parlamentare d’inchiesta si è insediata il 21 gennaio 2004 con il mandato di verificare la dinamica dei fatti, le cause ed i motivi che hanno portato al duplice omicidio (...), esaminare e valutare le possibili connessioni tra l’omicidio, i traffici illeciti di armi e di rifiuti tossici e l’azione di cooperazione allo sviluppo condotta dallo Stato italiano in Somalia; analizzare le modalità, la completezza e l’attendibilità dell’operato delle amministrazioni dello Stato, anche in relazione alle inchieste della magistratura.
Si sa che la Commissione e il suo Presidente, Onorevole Carlo Taormina, stanno lavorando con grande impegno consapevoli anche dell’attesa che c’è nei confronti dei risultati dell’inchiesta che si sta sviluppando e che saranno resi noti entro l’anno. Si sa che senza l’impegno e la determinazione di Luciana e Giorgio Alpi questo «caso» sarebbe chiuso da anni. Sono tutte cose quelle dette fin qui che, più o meno, si sanno. Ma chi era Ilaria Alpi?
Chi era lei, la donna, la giornalista. (...) L’associazione «DonnaSi» che promuove questa pubblicazione ha come mission principale quella di far crescere forza femminile, di valorizzare, fare conoscere profili di donne di talento in vari campi. (...) La prima pubblicazione è dedicata a Ilaria (...). Nel 1999 pubblicammo un altro libro: L’esecuzione, inchiesta sull’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (...). Da allora sono passati altri sei anni. Forse la verità è più vicina. E anche noi che cosa vogliamo? Nient’altro che la verità, tutta la verità. In «chi era Ilaria» c’è la verità.

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