Da Articolo 21 del 08/02/2006
CHE DIRE?
di Barbara Carazzolo, Alberto Chiara, Luciano Scalettari
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Che dire? Di fronte al comunicato diffuso il 6 febbraio 2005 a firma del Presidente della Commissione “Alpi-Hrovatin” Carlo Taormina avevamo davvero pensato a uno scherzo di cattivo gusto. Non solo per i contenuti, ma anche per il linguaggio, tali che non ci sentiamo di darne esemplificazione in queste righe. Invece no. La provenienza era autentica, molti altri colleghi avevano ricevuto nelle e-mail e nei fax delle rispettive redazioni lo stesso testo. E i lanci d’agenzia del giorno successivo (7 febbraio) – rincarando la dose – ci costringevano a credere che quelle affermazioni erano state diffuse proprio dal Presidente di una Commissione d’inchiesta della Camera dei Deputati, espressione del Parlamento italiano.
Che dire? Preferiamo sottolineare che due giovani colleghi, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, in un caldo pomeriggio di 12 anni fa hanno perduto la vita a Mogadiscio mentre svolgevano il loro lavoro. Preferiamo sottolineare che questi colleghi – che sfortunatamente non abbiamo conosciuto se non attraverso il loro lavoro – non meritano solo che si sappia la verità sulle ragioni del loro assassinio, ma meritano anche il rispetto, l’onore della memoria, il riconoscimento dell’alta professionalità che hanno dimostrato sul campo. Preferiamo sottolineare che due famiglie sono state distrutte da quel tragico pomeriggio di marzo e che Luciana e Giorgio Alpi, con ammirevole dignità, con compostezza e infinita pazienza, chiedono da 12 anni alle istituzioni del loro (e nostro) Paese di fare luce su quanto è accaduto prima, durante e dopo quel drammatico 20 marzo 1994.
Preferiamo ancora sottolineare che, alla interminabile serie di silenzi, omissioni, inerzie a cui abbiamo assistito da parte di quelle stesse istituzioni, in tutto questo tempo c’è stato soltanto il mondo dell’informazione – con i poveri mezzi di cui dispone – a tener viva l’attenzione sul caso “Alpi-Hrovatin”. E ci sono stati magistrati, poliziotti, carabinieri, persone comuni, perbene e mosse da autentica generosità, che in tanti momenti di questi lunghi anni hanno cercato di dare un contributo alla ricerca di quella verità.
Preferiamo infine sottolineare che tante speranze avevano salutato la nascita della Commissione parlamentare dedicata al duplice omicidio.
Ecco, allora, cosa dire: dobbiamo oggi davvero pensare che fra poche settimane la relazione finale ci consegnerà quella verità che l’onorevole Carlo Taormina ha voluto anticipare? Davvero sarà quello il risultato di due anni e mezzo di lavoro, della raccolta di centinaia di migliaia di documenti, dell’opera di 20 parlamentari e più o meno altrettanti consulenti?
No. Vogliamo invece sperare che le recenti affermazioni esprimano soltanto l’ennesima personale interpretazione di Carlo Taormina; che gli altri 19 parlamentari che formano la Commissione – di destra e di sinistra, non importa – si dissoceranno dai modi e dai contenuti di quelle dichiarazioni.
Quindi, se non è uno scherzo di cattivo gusto, se dobbiamo veramente prendere in considerazione quella “verità anticipata” in una ventina di righe di comunicato stampa, allora occorre dire – a gran voce – che è dovere di un organismo politico operare con piena trasparenza, rendendo pubblici non solo il risultato del lavoro svolto, ma anche le modalità con cui lo si è conseguito; che l’opinione pubblica italiana ha diritto di conoscere non solo la relazione finale della Commissione, ma anche tutta l’enorme mole di documentazione (testimonianze, atti, fascicoli, procedure d’indagine, metodo di lavoro) che hanno portato a quel documento conclusivo.
Altrimenti, resterebbe perlomeno un dubbio: che si trova ciò che si cerca. Oppure, in altre parole, che non si troverà mai quello che non si cerca.
Che dire? Preferiamo sottolineare che due giovani colleghi, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, in un caldo pomeriggio di 12 anni fa hanno perduto la vita a Mogadiscio mentre svolgevano il loro lavoro. Preferiamo sottolineare che questi colleghi – che sfortunatamente non abbiamo conosciuto se non attraverso il loro lavoro – non meritano solo che si sappia la verità sulle ragioni del loro assassinio, ma meritano anche il rispetto, l’onore della memoria, il riconoscimento dell’alta professionalità che hanno dimostrato sul campo. Preferiamo sottolineare che due famiglie sono state distrutte da quel tragico pomeriggio di marzo e che Luciana e Giorgio Alpi, con ammirevole dignità, con compostezza e infinita pazienza, chiedono da 12 anni alle istituzioni del loro (e nostro) Paese di fare luce su quanto è accaduto prima, durante e dopo quel drammatico 20 marzo 1994.
Preferiamo ancora sottolineare che, alla interminabile serie di silenzi, omissioni, inerzie a cui abbiamo assistito da parte di quelle stesse istituzioni, in tutto questo tempo c’è stato soltanto il mondo dell’informazione – con i poveri mezzi di cui dispone – a tener viva l’attenzione sul caso “Alpi-Hrovatin”. E ci sono stati magistrati, poliziotti, carabinieri, persone comuni, perbene e mosse da autentica generosità, che in tanti momenti di questi lunghi anni hanno cercato di dare un contributo alla ricerca di quella verità.
Preferiamo infine sottolineare che tante speranze avevano salutato la nascita della Commissione parlamentare dedicata al duplice omicidio.
Ecco, allora, cosa dire: dobbiamo oggi davvero pensare che fra poche settimane la relazione finale ci consegnerà quella verità che l’onorevole Carlo Taormina ha voluto anticipare? Davvero sarà quello il risultato di due anni e mezzo di lavoro, della raccolta di centinaia di migliaia di documenti, dell’opera di 20 parlamentari e più o meno altrettanti consulenti?
No. Vogliamo invece sperare che le recenti affermazioni esprimano soltanto l’ennesima personale interpretazione di Carlo Taormina; che gli altri 19 parlamentari che formano la Commissione – di destra e di sinistra, non importa – si dissoceranno dai modi e dai contenuti di quelle dichiarazioni.
Quindi, se non è uno scherzo di cattivo gusto, se dobbiamo veramente prendere in considerazione quella “verità anticipata” in una ventina di righe di comunicato stampa, allora occorre dire – a gran voce – che è dovere di un organismo politico operare con piena trasparenza, rendendo pubblici non solo il risultato del lavoro svolto, ma anche le modalità con cui lo si è conseguito; che l’opinione pubblica italiana ha diritto di conoscere non solo la relazione finale della Commissione, ma anche tutta l’enorme mole di documentazione (testimonianze, atti, fascicoli, procedure d’indagine, metodo di lavoro) che hanno portato a quel documento conclusivo.
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