Da Panorama del 24/02/2006
Originale su http://www.panorama.it/italia/cronaca/articolo/ix1-A020001035031

Ilaria Alpi, il caso è chiuso

di Stefano Vespa

Un tentativo di sequestro andato male, non un omicidio premeditato per nascondere inconfessabili segreti; e mille depistaggi, giornalistici e investigativi, su cui indaga la magistratura. È la conclusione della commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, giornalista e operatore del Tg3, uccisi in Somalia il 20 marzo 1994. Una vicenda sulla quale per anni si è scritto che nascondeva traffico di armi o di rifiuti tossici di cui Alpi era venuta a conoscenza e per i quali era stata vittima di una esecuzione, con un colpo di pistola sparato a contatto con il cranio.

Già nello scorso autunno si dimostrò che così non era, dopo il recupero della Toyota su cui viaggiava la troupe della Rai e dopo le accuratissime analisi della polizia scientifica. Fu un somalo della scorta a sparare per primo quando vide l'auto circondata, causando una reazione a colpi di kalashnikov (da oltre 5 metri, stabilisce la perizia): un proiettile colpì a morte Hrovatin, seduto sul sedile anteriore. Piegatosi in avanti, l'operatore del Tg3 «liberò» lo schienale che fu perforato da un altro proiettile, quello che colpì al capo Ilaria Alpi, accovacciata dietro al sedile. Una perizia sulla quale la commissione presieduta da Carlo Taormina (Forza Italia) è stata d'accordo all'unanimità.

D'accordo fu anche il consulente dei genitori di Ilaria, Giorgio e Luciana, che però insistono sulla teoria del complotto. «La situazione a Mogadiscio era pericolosissima» riepiloga Taormina a Panorama. «Il generale Carmine Fiore, comandante del contingente italiano, e l'imprenditore Giancarlo Marocchino avevano avvertito i giornalisti di non allontanarsi. Ma Alpi e Hrovatin erano già andati a Bosaso, non sapevano nulla, e subito prima dell'agguato Ilaria era serena quando telefonò alla madre, tanto da dire: "Questa volta è quasi una vacanza"». Una frase poi smentita dalla madre, ma confermata dal giornalista del Tg3 al quale Luciana Alpi l'aveva confidata.

Alcuni giornali italiani hanno cercato prove di scandali legati alla cooperazione italiana in Somalia, al traffico di armi e a quello di rifiuti tossici. Nessuna prova e, scrive Taormina nella relazione conclusiva, quegli argomenti «non possono costituire, non solo sul piano strettamente probatorio, ma nemmeno su quello dell'illazione o della congettura, fonte di consapevolezza causativa dell'uccisione dei due operatori dell'informazione, in quanto portatori del pericolo di divulgazione». L'opposizione in commissione, pur approvando la dinamica dell'agguato, insiste sul dubbio del «non può escludersi che...». Ma senza prove, tanto che nel 2005 una spedizione italiana che tentava di individuare in Somalia interramenti di rifiuti tossici o radioattivi non ha trovato nulla.

Perché 12 anni di polemiche? Taormina nella relazione usa termini pesantissimi: «Ragioni economiche e politiche hanno fatto sì che intorno a determinati settori dell'informazione si costituisse una vera e propria centrale dedita al depistaggio rispetto all'accertamento di una verità che sembrava fin troppo semplice». Depistaggio non delle testate ma dei singoli, che hanno avviato contatti con forze dell'ordine e procure «inducendo singoli investigatori a dire o scrivere quello che serviva per avallare il grande teorema».
Ce n'è anche per i vertici del Sismi dell'epoca. Le informative provenienti da Mogadiscio, scrive Taormina, «non solo si fermavano e venivano chiuse nei cassetti, ma in non pochi casi venivano sbianchettate, nel senso che venivano espunte di aspetti molto significativi che rendevano inesistenti circostanze di capitale importanza per l'accertamento dei fatti». Taormina chiude la relazione con un omaggio a Ilaria e Miran, «due eroi del giornalismo italiano». Nessun segreto sulla morte, molti su tutto il resto.

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